In Marocco, i membri della minorità cristiana si riuniscono in segreto per leggere e discutere insieme il Vangelo, ma sanno che pesa su di loro un articolo del codice penale marocchino che può condannarli a tre anni di prigione, in un paese dove “abbandonare” l’Islam è proibito. Un articolo apparso sul giornale La Razon nella sua edizione di lunedì 14 ottobre prende ad esempio la storia di Mohammed Al Biladi, condannato da un tribunale marocchino per aver fatto “ oscillare la fede di un musulmano”. Non è facile per un marocchino vivere la sua fede cristiana in Marocco. Mohammed Al Biladi si difende e dichiara che non ha mai provato a convertire un altro musulmano alla religione cristiana, né mai ha offerto delle Bibbie; riconosce invece di aver risposto, a volte, alle domande che alcuni suoi compatrioti le hanno rivolto sulle ragioni della sua conversione al cristianesimo, religione che segue con fervore da sette anni, convinto da alcuni programmi ascoltati alla radio. Nel settembre scorso Mohammed è stato arrestato nel villaggio di Ulas Amar, a 70 km da Fès, dopo essere stato denunciato dai suoi “amici”. In soltato 48 ore è stato interrogato dalla polizia, giudicato da un tribunale e condannato in prima istanza a 2 anni e mezzo di prigione, senza condizionale. Rilasciato dopo una forte mobilitazione nazionale e internazionale, dovrà comparire il 26 dicembre prossimo per rispondere di questi fatti, accompagnato dai suoi avvocati, ben 12, che stanno preparando la sua difesa, avvocati voluti da diverse ONG internazionali. La Costituzione marocchina parla di “libertà di religione” ma nella realtà dei fatti questa libertà non esiste se non per le comunità straniere residenti nel paese.
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