Magazine Società

Essere il frutto di quel comunismo

Creato il 06 gennaio 2011 da Speradisole

ESSERE IL FRUTTO DI QUEL COMUNISMONelle recenti parole di Berlusconi “comunisti in cachemire” vi leggo qualcosa di più, rispetto alle solite uscite.
Con queste parole il silvietto disprezza e rigetta tutte le conquiste sociali di uguaglianza, pace e giustizia che il comunismo ha portato nel secolo scorso.

Non sono i comunisti a dargli fastidio, ma i figli di operai diventati professori, magistrati, imprenditori, manager (appunto quelli che ora possono indossare il cachemire).
Sono i figli di povera gente che si permette la macchina, la casa, le vacanze, i computer e le tecnologie al pari dei padroni.
Sono i poveracci che sanno ribellarsi agli sfruttamenti padronali, sono i lavoratori della terra che pretendono il giusto prezzo di quanto producono, sono gli operai che pretendono sicurezza. Sono gli offesi che pretendono giustizia.

Vi leggo tutto questo ed una grande nostalgia per i servi della gleba di un tempo, per i contadini soggetti al “commiato”, per i servi che dovevano sgobbare tutto il giorno ed essere pagati solo con un piatto di pasta (quando andava bene), altrimenti con gli scarti della mensa padronale.

Io sono un frutto di quella pace, giustizia sociale e diritto allo studio del novecento. Ho una particolare sensibilità contro le ingiustizie vissute dai miei nonni, operai, braccianti, scalzi e con un solo paio di pantaloni, e so cosa significa la prepotenza padronale.
Mi auguro che non si ritorni a questo sistema, che comunque leggo nelle parole del nanerottolo di arcore.

 ….

Pier Paolo Pasolini…

Come sono diventato marxista?
Ebbene… andavo tra fiorellini candidi e azzurrini di primavera,
quelli che nascono subito dopo le primule,
– e poco prima che le acacie si carichino di fiori,
odorosi come carne umana, che si decompone al calore sublime
della più bella stagione –
e scrivevo sulle rive di piccoli stagni
che laggiù, nel paese di mia madre, con uno di quei nomi
intraducibili si dicono “fonde”,
coi ragazzi figli dei contadini
che facevano il loro bagno innocente
(perché erano impassibili di fronte alla loro vita
mentre io li credevo consapevoli di ciò che erano)
scrivevo le poesie dell’“Usignolo della Chiesa Cattolica”;
questo avveniva nel ‘43:
nel ‘45 “fu tutt’un’altra cosa”.
Quei figli di contadini, divenuti un poco più grandi,
si erano messi un giorno un fazzoletto rosso al collo
ed erano marciati
verso il centro mandamentale, con le sue porte
e i suoi palazzetti veneziani.
Fu così che io seppi ch’erano braccianti,
e che dunque c’erano i padroni.
Fui dalla parte dei braccianti, e lessi Marx.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazine