Magazine Maternità
Mi sono innamorata dell'iniziativa Il cervello di mamma e papà da quando ho cominciato a scrivere questo blog e l'ho scoperta. Oggi ho letto la testimonianza di Bianca e mi è così piaciuto il suo coraggio che ho sentito il desiderio di parlare, di raccontare la mia storia, che è poi la storia di tante, forse troppe donne che decidono di diventare mamme e di continuare a lavorare e ad avere una dignità professionale. Forse, purtroppo, la mia storia è una storia quasi banale, che assomiglia a tante altre storie di cui ho già letto e sentito raccontare, ma è la mia storia. Prima di diventare mamma e prima di decidere di voler avere un figlio, ero una classica donna in carriera, sempre in giro tra aerei e alberghi e con poche occasioni di mettere piede a casa se non a sera tarda. Sempre di corsa, sempre piena di scadenze e to do, con la mail intasata e la scrivania sommersa di carte. E tra queste mille faticose corse riuscivo ad ottenere le mie promozioni e i miei benefit. Poi decido che il mio compagno di avventure è la persona giusta, non solo per condividere un percorso di vita insieme ma anche per costruire una famiglia. Ci proviamo. Siamo fortunati. Rimango incinta del mio ometto. Arriva il momento. Quel momento in cui comunichi al tuo boss che sei incinta. Basta, dici solo questo. Nient'altro. Non chiedi riposo, meno riunioni, meno impegni, meno lavoro. Non ti prendi nessuna astensione dal lavoro. Stai solo per diventare mamma. E ti arriva un bel sorriso e una pacca sulla spalla di congratulazioni e tu pensi "Fantastico, non è cambiato niente. Sono proprio fortunata". Lavoro fino all'ottavo mese, senza sosta e prendendo aerei fino al termine ultimo per prenderli con la mega panciona. Tutto resta identico. Orari tardi, riunioni, mia disponibilità anche nel week end. Poi vado in maternità con la promessa fattami, prima della mia comunicazione di gravidanza, della promozione. Ovviamente, la promozione non arriva. Allora chiedo "perchè, cosa è cambiato, che cosa ho sbagliato, cosa è successo per cambiare idea così". Risposte vaghe, confuse. Insisto, non mollo. Passo i primi due mesi del mio ometto incollata al telefono, cercando di capire. Battagliera, incredibilmente, tra una poppata e l'altra e le occhiaie di chi non dorme più la notte. Non cedo. Cedono loro. Stremati da una mamma con gli ormoni in subbuglio e la psiche anche. E meno male che non mi è venuta la depressione post partum altrimenti avrei imbracciato un mitra per sterminarli tutti. Forse non mi è venuta proprio perchè stavo sempre al telefono. Chissà?! Con la mia promozione sotto braccio affronto la maternità obbligatoria e poi rientro a pieno ritmo al lavoro. Con il desiderio di dimostrare (ebbene si, oltre tutto quello già dimostrato) che come mamma potevo essere meglio e più di prima e che la promozione non l'avevo presa solo perchè non ce la facevano più a sostenere le mie telefonate esasperate. Ci riesco. Addirittura ottengo un rilancio economico e di posizione quando decido di andare via, cambiare lavoro. Che soddisfazione in quel momento. Ma decido di andare. Ho un nuovo lavoro, un nuovo capo, una donna. L'ometto è cresciuto e ci piacerebbe dargli un fratellino o una sorellina, non troppo più piccolo, per poterli vedere un giorno giocare e condividere esperienze insieme. Siamo ancora fortunati. Aspetto la mia besolina, la mia bimba meravigliosa. Ho delle minacce di aborto e decido, prima della fine dei tre mesi canonici in cui si aspetta per dire che si è incinta per vedere se la gravidanza procederà o meno,di parlare con il mio capo. Mancano poche settimane alla fine del mio periodo di prova. Lo faccio perchè ho rispetto per lei e perchè sono una persona molto scrupolosa. Per paura di dover restare a casa dei giorni per queste minacce la avviso del problema e le comunico quindi la mia gravidanza. Poi, per fortuna, non resto mai a casa e continuo a lavorare senza sosta e senza orario. La storia finisce con lei che mi fa mandare via perchè non soddisfatta del mio lavoro. Ovviamente la vera motivazione non era quella. La mia grande delusione è stata quella di dover ricevere questo trattamento proprio da una donna. L'ho avvertito come un tradimento perchè pensavo che una donna, a prescindere dalla mammità o meno, fosse in grado di comprendere e sostenere questo momento nella vita di un'altra donna. Non ha avuto neanche la lungimiranza di pensare che questo potesse essere un valore aggiunto nel mio background professionale. Lei non ha potuto scoprirlo. Io sì e anche molte altre persone con cui condivido oggi il mio percorso di persona e di professionista. La riflessione resta amara perchè ancora oggi bisogna lottare con le unghie e con i denti per dimostrare che essere mamma non è un deficit ma è, a mio parere, un vantaggio competitivo nel cv. Io non mi arrendo e sposo il cervello di mamma e papa e sul mio cv c'è già la 'mammità' infilata tra la conoscenza dei sistemi informativi e la lingua inglese. Credo che, oltre a diventare mamme, diventiamo delle persone molto più forti e soprattutto consapevoli. La consapevolezza, come dice una mia cara amica, è un traguardo importante e faticoso. Ecco, penso a quel capo donna come ad una persona che non ha saputo diventare consapevole, che non ha saputo andare oltre, una persona che non darà alla vita quello che la vita le ha dato, che non restituirà quanto ha ricevuto. E penso a lei con tanta comprensione e anche tanta pena. Poi penso alle splendide persone che conosco, a quelle che ancora devo incontrare e a quelle mamme che sanno acrobaticamente conciliare l'essere mamma con un un ruolo importante nel mondo del lavoro. E penso "Mica sono tutti così ottusi i capi! L'ho scampata bella".
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