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Essere Online Vs Essere Parte della Rete

Creato il 22 dicembre 2014 da Pedroelrey

Beppe Sever­gnini sce­glie di ammor­bare l’ultimo wee­kend di shop­ping nata­li­zio con un arti­colo con­tro i com­menti all’interno dei siti web dei gior­nali, e ci riesce.

Ci sono diversi pas­saggi ed aspetti di quanto scritto da Sever­gnini che vale la pena di approfondire.

Un primo aspetto riguarda le cita­zioni, i rife­ri­menti che ven­gono fatte dalla firma del Cor­riere che non ven­gono mai lin­kate. È pro­ba­bil­mente il più banale ma indi­ca­tore di quale sia la men­ta­lità, l’attitudine di fondo. Un’ atti­tu­dine che si ritrova anche nella ver­sione car­ta­cea dell’articolo che a lato riporta “Puoi con­di­vi­dere sui social net­work le ana­lisi dei nostri edi­to­ria­li­sti e com­men­ta­tori: le trovi su www.corriere.it”.

Non c’è inte­resse al dia­logo, non esi­ste bidi­re­zio­na­lità, non vi è la pos­si­bi­lità di appro­fon­dire. Si pon­ti­fica con un solo obiet­tivo quello di avere traf­fico sul sito del gior­nale, pre­oc­cu­pati che possa scap­pare asse­gnando alle per­sone, al mas­simo, il ruolo di ampli­fi­ca­tori sociali del brand della testata e dei suoi giornalisti.

Cinismo Commenti Severgnini

Dopo il para­grafo di aper­tura si scrive che: “I siti d’informazione non hanno né la voglia né i titoli per diven­tare guar­diani della morale pub­blica”.

Detta così è un’affermazione abba­stanza grave sia per­ché smen­ti­sce l’ipotesi, sem­pre pro­po­sta quando di pro­pria con­ve­nienza, che l’informazione [ed i gior­nali in par­ti­co­lare, mi rac­co­mando eh!] sia ele­mento per­niante, indis­so­lu­bile, delle demo­cra­zie moderne, che per­ché disco­no­sce l’influenza che i mezzi di comu­ni­ca­zione di massa di fatto hanno sull’opinione pub­blica, sulla deco­di­fica della realtà e sull’agenda set­ting, motivo per il quale pro­prio nel nostro Paese nes­suna della testate è di pro­prietà di edi­tori puri.

È, ancora, un’affermazione grave poi­ché è chiara mani­fe­sta­zione di non aver com­preso come con la Rete il ruolo dei gior­nali, o almeno di quelli che vogliono soprav­vi­vere, e dei gior­na­li­sti sia cam­biato. Come giu­sta­mente scrive Man­tel­lini, “Esat­ta­mente come il bravo cro­ni­sta di ieri entrava den­tro la mani­fe­sta­zione di piazza per meglio com­pren­dere umori e punti di vista e poi rac­con­tar­celi, oggi spor­carsi le mani signi­fica vivere la rete come ambito di inter­pre­ta­zione sociale. Per­ché le cose del mondo suc­ce­dono spes­sis­simo da quelle parti. Diver­sa­mente, se così non sarà, se que­sto cam­bio di visuale non sarà accet­tato, il destino della pro­fes­sione gior­na­li­stica è il destino già segnato di un pro­gres­sivo evi­dente allon­ta­na­mento dalla com­pren­sione del mondo. Che è poi quello che spes­sis­simo vediamo rap­pre­sen­tato nei gior­nali ita­liani”.

Ruolo dei gior­na­li­sti che una recente ricerca dimo­stra essere rile­vante anche pro­prio nel man­te­nere un buon livello di con­ver­sa­zione poi­ché il loro coin­vol­gi­mento diretto ridu­cendo sen­si­bil­mente com­menti oltrag­giosi e/o offensivi.

I troll sono un pro­blema non c’è dub­bio, ma abbiamo la sen­sa­zione che alla base della deci­sione di chiu­dere i com­menti la “que­stione troll” spesso sia solo una scusa. Die­tro a que­ste deci­sioni c’è, in un momento nel quale il for­mato pub­bli­ci­ta­rio emer­gente è [e sarà sem­pre di più] il native adver­ti­sing ed i con­te­nuti spon­so­riz­zati, quello di creare spazi aset­tici, sem­plici da gestire e certo più “con­for­te­voli” per i con­te­nuti pagati dai brand dove le cri­ti­che – giu­sti­fi­cate o ingiu­sti­fi­cate che siano – sareb­bero certo ancora più dif­fi­cili da mode­rare e cree­reb­bero ancora più imba­razzo senza l’utilizzo di pro­fes­sio­na­lità ade­gua­ta­mente for­mate [che poi qual­cuno, se vuole, anche se non ci piace, può anche chia­mare “guar­diani dello zoo”]. Ma que­sto modo di ragio­nare dimo­stra ancora una volta di non voler affron­tare la que­stione ma sem­pli­ce­mente di ten­tare di girarci attorno. E forse, di non avere pro­prio gli stru­menti “cul­tu­rali” per affrontarla.

commentsfailure

Pro­se­gue Sever­gini spie­gando che la gestione dei com­menti richiede un tempo e delle risorse, umane ed eco­no­mi­che, che non tutti i gior­nali pos­sono per­met­tersi di inve­stire. Anche su que­sta affer­ma­zione è oppor­tuno sof­fer­marsi ed ana­liz­zarne le implicazioni.

Il grande pro­blema per i pros­simi anni per i siti online, com­presi quelli dei gior­nali, ovvia­mente, sarà dimo­strare che die­tro ai mil­le­mila utenti unici men­sili messi in bella evi­denza e ai fan­ta­smi­lioni di pagine viste dichia­rate ci sono per­sone reali. Il 35% del traf­fico inter­net è – già adesso – gene­rato da “bot” [ed è un numero desti­nato a salire sem­pre più per molte ragioni], met­tia­moci anche grossi pro­blemi con vere e pro­prie truffe e “gio­chetti vari” che gon­fiano que­sti numeri a dismi­sura [famoso è il caso di una cam­pa­gna di Mercedes-Benz dove si è sco­perto che il 57% delle 365mila ad impres­sion era gene­rata da bot]. Per tutto que­sto agli occhi di un inve­sti­tore pub­bli­ci­ta­rio sarà sarà sem­pre più impor­tante capire quanto die­tro a quelle cifre espo­ste ci sono per­sone vere che vanno al super­mer­cato o entrano in una con­ces­sio­na­ria auto.

Quindi il valore di un gior­nale online sarà sem­pre più diret­ta­mente pro­por­zio­nale alla sua capa­cità di dimo­strare di avere, oltre ai soliti “numeri”, anche quelli rela­tivi a misu­rare una comu­nità di let­tori real­mente coin­volti e attenti, ovvero che abbiano voglia di con­di­vi­dere idee, con­te­nuti, che desi­de­rano dia­lo­gare con gli autori degli arti­coli, che par­te­ci­pino agli eventi orga­niz­zati da quel gior­nale, che si sen­tano insomma, coin­volti con­cre­ta­mente nel pro­getto edi­to­riale e lo per­ce­pi­scano come un valore.

I com­menti agli arti­coli non sono certo più, da tempo, l’unico stru­mento per fare tutto que­sto ma in qual­che maniera que­sto lavoro andrà fatto. E ci sem­bra che all’azione di chiu­dere i com­menti ben poco si fac­cia in altra dire­zione e con altri stru­menti. Tanto per citare un paio di esempi: al Guar­dian [che tra le grandi testate inter­na­zio­nali rea­lizza le reve­nue da digi­tale più alte] hanno fatto del “Com­ment is free” un emblema. Nella pagina di Guar­dian Labs [la divi­sione interna che vende ser­vizi ai brand] vedrete che la prima cosa che viene messa in bella evi­denza agli spon­sor è l’avere una comu­nità glo­bale attiva e for­te­mente “enga­ged” con le atti­vità e i con­te­nuti del gior­nale. Ma anche in Ita­lia potremmo fare l’esempio del Fatto Quo­ti­diano, unico tra le nuove testate nate in que­sti ultimi anni capace di navi­gare con una certa tran­quil­lità nelle agi­tate acque edi­to­riali nostrane, che ha il suo punto di forza in una comu­nità deci­sa­mente coin­volta, e che molto com­menta i sin­goli articoli.

Se, come pare, Corriere.it ha inten­zione di pas­sare dall’inizio dell’anno a paga­mento attra­verso una qual­che forma di mem­ber­ship le idee di Sever­gnini sono peri­co­lose per la sua stessa testata. Cre­diamo dav­vero che la domanda da porsi non sia se e quali testate pos­sano per­met­tersi la gestione dei com­menti, che peral­tro può essere faci­li­tata da appo­siti sup­porti come avviene, ad esem­pio, per l’Huffington Post, ma esat­ta­mente all’opposto di chie­dersi quali gior­nali pos­sano non permettersela.

Corsera Social

L’articolo di Sever­gnini si chiude affer­mando che “[…] togliendo la sezione com­menti, cru­deltà, vol­ga­rità e insulti si tra­sfe­ri­scono sui social (Face­book, You­Tube, Twit­ter etc). È vero, pur­troppo. Ma almeno non è più un pro­blema dei gior­nali, che di pro­blemi ne hanno abba­stanza[…]”.

Viene da sor­ri­dere [ma è riso amaro come dimo­stra l’immagine sopra ripor­tata pro­prio della pagina Face­book del Cor­riere]  a vedere come nella stra­grande mag­gio­ranza dei casi, gli account uffi­ciali dei gior­nali ven­gano gestiti. Quanti esempi pos­siamo fare di buone pra­ti­che dove su Face­book, Twit­ter e gli altri social i gior­nali, i gior­na­li­sti dia­lo­gano con i let­tori, met­tono a dispo­si­zione degli spazi per coin­vol­gerli o sem­pli­ce­mente si “spor­chino le mani” a moderare?

È la mio­pia che si dimo­stra del volere dal let­tore sola­mente un click su un titolo. Niente, asso­lu­ta­mente niente di più. La gestione di un brand, anche quello dei gior­nali, appunto defi­niti “new­sbrand”, passa sem­pre più dalla rela­zione, dalla con­ver­sa­zione, come si suol dire. Spo­stare il pro­blema sui social, senza gestirlo, signi­fica accom­pa­gnarne il deca­di­mento, la per­dita di valore.

La NON tra­scu­ra­bile dif­fe­renza tra essere online ed essere parte della Rete è que­sta caro Beppe, meglio pren­derne atto.

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