di Matteo Zola
pubblicato su Quotidiano Piemontese
Non so davvero come scriverlo questo articolo. Sono un giornalista, sì, ed è il mio lavoro ma qui manca la giusta distanza per fare della polvere qualcosa che somigli a una frase. Già, polvere. Polvere quella che si conficca nei polmoni e uccide, polvere quella che è rimasta dei nostri morti e polvere quella che oggi ci buttano negli occhi. E metterla insieme tutta questa polvere, per me che Casale Monferrato è la mia città, non è facile. Manca la giusta distanza. Non me ne sono mai occupato del processo Eternit, c’era già tanta gente più quotata e poi di cosa occuparsi ancora? L’Eternit ce l’abbiamo tutti, e ce l’avremo ancora visto che gli studi dicono che il picco di mortalità deve ancora essere raggiunto.
Ecco, provo a partire da qui: dal futuro. L’eventuale decisione del sindaco di Casale Monferrato, Giorgio Demezzi, di accettare la transazione offerta dai legali di Schmidheiny in cambio dell’uscita dal processo non ha che fare solo con la polvere del passato, con nomi di morti da conservare nella memoria quotidiana, ma con i volti dei figli e con i nostri di oggi. Eternit, non a caso, richiama all’eternità. La durata del materiale è la durata del rischio di malattia. La latenza va dai quindici ai quarantacinque anni. Accettare la transazione diventa allora una resa davanti ai figli, una colpa davanti ai malati di oggi e, tristemente, di domani che vivranno in una città che ha deciso di dismettere il suo ruolo di testimone. Resteranno solo le voci dei familiari delle vittime, domani come oggi, orgogliose e miti.
Ma il domani, mi si potrà forse ribattere, si costruirà migliore con i venti milioni di Schmidheiny. Un toccasana per il bilancio comunale. Si potrà finanziare la ricerca. Anche ammesso che quei soldi non finiscano in parcheggi, in corruttele varie, mi domando se pecunia olet qualche volta. Anche perché qualche denaro arriverà comunque con la sentenza di condanna, certo non così tanti ma quand’anche fossero meritoriamente spesi quei soldi resteranno i soldi dell’avidità che vince sulla dignità. Della cupidigia che non conosce limite all’offesa.
Poiché accettando la transazione il sindaco Demezzi e la sua giunta offenderanno la città – proprio loro che sono chiamati a farsene portavoce – e la dignità di una comunità lacerata che ha trovato in questo processo una rinnovata forza di condivisione, di crescita, di confronto. Ricordo quando un pomeriggio di primavera tornai a Casale, dalla Torino in cui vivo e lavoro, e mi sorpresi dei balconi imbandierati con tricolori listati a lutto. Portavano la scritta nera: “Eternit: giustizia”. La richiesta di giustizia nei confronti di Schmidheiny e Cartier, ex dirigenti della Eternit Ag, che sapevano della pericolosità dell’amianto e hanno continuato a fare i loro profitti condannando a morte migliaia di persone, ebbene la richiesta di giustizia aveva ridestato quella città spersa nella nebbia della piccola provincia. Quella città caduta nell’oblio che, offesa, tornava a gridare dai muti balconi. E la giustizia va oltre la legge, oltre il processo. Oltre la polvere d’oro che ci viene gettata negli occhi.
Se il sindaco Demezzi accetterà i denari di Schmidheiny romperà il desiderio di riconciliazione che sottende a qualsiasi desiderio di giustizia. Riconciliazione con il dolore, in questo caso. Farà così il gioco dell’imputato che, indebolendo il fronte accusatorio, alleggerisce la propria posizione auspicando una sentenza più mite. Poiché è questo che si vuole fare: rompere il fronte delle parti civili. E che il sindaco della città martire dell’amianto si presti a questo vile gioco è non meno vile.
Il processo Eternit è stato anche il successo di una piccola comunità unita, capace di inchiodare alla sbarra un potente come Stephan Schmidheiny, che è stato consigliere di Bill Clinton, rappresentante Onu per lo sviluppo sostenibile, docente di globalizzazione in università pontificie, fondatore del consiglio mondiale commerciale per lo sviluppo sostenibile, ideatore della Swatch, azionista dell’Ubs e della Nestlè, filantropo pluripremiato e recordman di beneficenza con 1,5 miliardi di dollari versati per questa o quella causa, come scritto da Giampiero Rossi nel libro inchiesta La lana della salamandra.