Le esultanze hanno cambiato il modo di vivere il calcio, offrendo immenso spazio di creatività, ma anche di diffusione di messaggi politici ai calciatori
Nel mondo del calcio le esultanze sempre più spesso rappresentano uno stile di vita, un marchio di fabbrica. L’apice sportivo ed emotivo del gioco del pallone viene vissuto, da giocatori e tifosi, nel momento in cui il pallone gonfia la rete. Tuttavia ciò che giunge dai grandi stadi d’Europa e del mondo fin nei campetti di periferia sono proprio le esultanze dei beniamini di giovani sognatori, che emulano i festeggiamenti più caratteristici dei campioni sullo schermo.
Esultanze italiane
Il territorio italiano è (ed è stato) bacino ricco di esultanze personalizzate, che hanno definito moltissimi calciatori al di là del loro stile di gioco. Primo tra tutti, salta alla mente Alessandro Del Piero, ex capitano della Juventus, che tirò fuori la linguaccia per la prima volta a San Siro il 12/02/2006, dopo una punizione magistrale che lasciò impietrito Julio Cesar.
Proprio nel 2006, anno del quarto trionfo Mondiale italiano, ottennero grande fama altre tre esultanze: il violino di Alberto Gilardino, nella gara contro gli Stati Uniti dopo un gol di testa in tuffo, lo svitaorecchio della scarpa d’oro Luca Toni, collaudato qualche anno prima tra le file del Palermo, e il pollice in bocca del Pupone Francesco Totti, in onore dei propri figli.
Tornando in campo nazionale, sempreverdi sono gli aeroplani(ni) di Totò Di Natale e Vincenzo Montella, passando per l’airone di Andrea Caracciolo, la spanna di Sebastian Giovinco per guadagnare qualche centimetro in altezza e le dediche sul parastinco di Daniele De Rossi. Sono diventate vero e proprio copyright anche le esultanze di Alessandro Matri, nata in collaborazione con Andrea Lazzari nel Cagliari a significare “ve l’ho fatta, ho segnato di nuovo”, e di Giampaolo Pazzini, che porta le dita agli occhi invitando il pubblico ad ammirare ciò che ha fatto.
Oltre a quelle degli azzurri citati, in Serie A hanno catalizzato l’attenzione le esultanze di molti calciatori stranieri, a partire dalla mitragliatrice di Gabriel Batistuta prima e di Pablo Osvaldo poi. Celeberrimi sono il cuore di Alexandre Pato (poi riproposto da Vidal alla Juventus, da Di Maria e Bale al Real Madrid), gli indici al cielo di Ricardo Kakà e il ciuccio di Carlos Tevez nei pantaloncini, per non dimenticare la sistemata alla cresta di Marek Hamsik, la statua di Mark Bresciano o l’idea di Mirko Vucinic di togliersi i pantaloncini, perché sfilandosi la maglietta sarebbe stato ammonito. Indimenticabili sono poi le danze brasiliane a ritmo di samba dei fantasisti Ronaldinho e Robinho, o i salti mortali dell’ex nerazzuro Oba Oba Martins.
Esultanze di squadra
Gli attaccanti sono i finalizzatori delle sortite offensive, ma senza una squadra diventa difficile anche per loro. Ecco che, oltre ai più classici abbracci e ammucchiate vicino alla bandierina e sotto la curva, molti giocatori hanno ideato esultanze di coppia o addirittura di gruppo, come nel curioso caso dello Ungmennafélagið Stjarnan.
Più semplicemente nota come FC Stjarnan, questa squadra islandese di prima divisione (un titolo nazionale nel 2014, un play-off di Europa League contro l’Inter perso per 9-0 tra andata e ritorno) ha conquistato fama internazionale per le proprie esultanze piuttosto che per il gioco espresso. Non importa infatti che un gol nasca da un calcio di rigore, un tap-in o una deviazione fortunata: l’importante è esultare nel modo più stravagante possibile. Dalla simulazione del water al nuoto agonistico (con tuffo da trampolino umano), dalla sala parto alla cyclette, da rambo all’esplosione di una granata, fino al canottaggio e alla pesca grossa: queste sono solo alcune delle tantissime esultanze made in Stjarnan, e non ci stupiremmo se dovessero idearne di nuove.
Esultanze politico-religiose
La libertà di espressione permessa dalle esultanze (e dalla loro visibilità) ha consentito in più di una occasione ai calciatori di esprimere messaggi politici più che sportivi.
Questo caso ha coinvolto da molto vicino il mondo della S.S. Lazio, che per ben tre volte ha subìto deferimenti per i propri tesserati. Primo tra tutti il capitano Paolo Di Canio, pubblicamente fascista, che si rivolse alla Curva Nord (quella laziale) dello Stadio Olimpico con il braccio teso verso l’alto per aizzare la folla. Il saluto romano di Di Canio venne condannato dall’UEFA come simbolo di razzismo, ma l’attaccante si difese così:”Sono fascista, non razzista“. Tra i biancocelesti, qualche anno più tardi, furono colti dalle telecamere e dai fotografi anche Stefan Radu (anch’egli davanti alla Curva Nord, dopo Lazio-Napoli del 07/04/2012) e Mauro Zarate (in Curva Nord tra gli ultras in occasione di Lazio-Bari il 14/03/2010) nell’atto del saluto romano e fascista. Dopo il deferimento a Paolo Di Canio, per Radu, Zarate e la Lazio scattarono deferimento e ammenda, nonostante sia il rumeno sia l’argentino dissero di non conoscerne il significato.
Dopo Roma il saluto nazi-fascista è giunto anche in terra ellenica, ancora una volta in una capitale, ad Atene. Se l’ideologia di Di Canio era già nota ai più, maggiore scalpore desta il caso relativo ad un centrocampista dell’AEK Atene. Vent’anni, Giorgios Katidis ha esultato con il braccio teso verso i propri tifosi al termine di una partita (decisiva per il titolo nazionale) vinta grazie ad una sua rete. In Grecia, a differenza del Belpaese, le ripercussioni per tale gesto sono state immediate: per Katidis, infatti, è stata decretata l’esclusione da qualsiasi selezione della Nazionale per ogni competizione, a vita.
Protagonisti di esultanze simili furono anche l’ex Juventus Nicolas Anelka e i croati Mario Mandzukic e Josip Simunic.
Il francese, che già era stato nell’occhio del ciclone per gli epiteti affibbiati a Domenech in seguito alla disastrosa spedizione del Mondiale 2010, fu pizzicato dalle telecamere ad esultare un gol con la maglia del West Bromwich Albion con il braccio destro teso verso il basso, un gesto palesemente antisemita. Performando la cosiddetta quenelle, Anelka aveva attirato su di sé l’attenzione di Israele e della Moschea di Parigi, spiegando poi:”Mi prendo la totale responsabilità del gesto: era un atto anti-sistema, non capisco che cosa c’entri la religione“. Stando alle parole dell’attaccante transalpino, infatti, il gesto sarebbe dovuto essere riferito al comico ed attore Dieudonne M’Bala M’Bala, accusato di antisemitismo al pari di Anelka per lo stesso gesto.
La questione Mandzukic risale ai tempi del Bayern Monaco, quando l’attaccante festeggiò la rete sul campo del Norimberga con un saluto militare (assieme all’ex compagno di squadra Shaqiri) dopo l’assoluzione in appello dei generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, condannati per crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel 2011. Sebbene Mandzukic dichiarò di non avere intenti politici, ma di voler semplicemente salutare i tifosi e la popolazione croata, il suo agente affermò di essere fiero del gesto del proprio giocatore.
L’avvicendamento di Simunic, infine, ebbe luogo nel corso delle Qualificazioni ai Mondiali 2014. Il difensore della Dinamo Zagabria, classe 1978, si rese protagonista nel post-partita di un Croazia-Islanda vinta per 2-0. Simunic infatti, con un microfono collegato agli speaker dello stadio, celebrò la qualificazione per il Mondiale rivolgendosi alla tifoseria con le parole “Za dom spremni“. Tradotte, esse significano “per la madrepatria, pronti“. Questo motto fu usato negli anni del secondo conflitto mondiale dagli ustascia, i croati di stampo nazista che si battevano per una Nazione pura e priva di minoranze (con particolare accanimento nei confronti di quella serba). La FIFA ha condannato il gesto con una squalifica di 10 gare da tutte le competizioni ufficiali della Nazionale croata, Mondiali compresi, e ha sanzionato con un’ammenda di 30’000 CHF il ricorso della federcalcio croata per ridurre le giornate di squalifica del proprio difensore.
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