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Etica del lavoro, prega per noi

Creato il 16 aprile 2011 da Dallomoantonella

Etica del lavoro, prega per noi

Etica del lavoro, prega per noi. Mai  litania fu più ben detta di questa…

Tale   riflessione parte dal concetto che noi siamo molto bravi a riconoscere le nostre personali necessità ed i nostri sacrosanti diritti, ma non siamo altrettanto bravi a riconoscere le necessità ed i diritti, anche quelli più palesi, di chi ci sta accanto.

Quante volte ci capita di  farlo, anche inconsapevolmente, anche senza metterci particolare perfidia, anche senza essere detti  palesemente  parlando,  degli  stronzi?

Succede nella frenesia del nostro quotidiano  che non ci suggerisce   più il buonsenso  di riflettere, di prenderci un piccolo spazio, indispensabile e salutare,  per riuscire ad essere noi e solo noi  a governare  la nostra giornata  e non  il nostro capoufficio, o il nostro dirigente, o il collega  con cui lavoriamo e che avrebbe la pretesa di dominarci o di contare un pezzo di più…

Come riuscire a trovare il nostro sacrosanto e doveroso equilibrio? Come riuscire ad esercitarlo anche nei momenti più difficili, più critici, dove può facilmente accadere   una   scivolata di stile, una caduta di tono, una perdita del centro?

Innanzitutto sapendo sempre fare un passo in retromarcia; quando ci accorgiamo che non è giornata, non tira l’aria giusta   e si può solo peggiorare la situazione, è sempre meglio desistere, è sempre meglio tirarsi indietro.

Una volta fatto questo,  si può rivedere la dinamica dei fatti, degli eventi.

Ci accorgeremmo senz’altro di avere commesso degli errori; potrebbero essere errori di impostazione, di approccio, di premesse,  di interpretazione o di forma, l’importante è che non siano errori di sostanza, perché se fossero tali  allora noi saremmo inequivocabilmente senza possibilità d’appello dalla parte  del torto.

Non che gli sbagli non si possano commettere, ma chi commette  errori deve essere pronto a riconoscerli e a rimediarli tutti e subito.

Se non lo dovesse fare, se non lo dovessimo fare,  allora potrebbe  essere   qualcun altro a  venirci  a chiedere spiegazioni e noi ci troveremmo nel difetto  di avere voluto  fare i furbi.

Già, i furbi, come se il mondo non ne fosse abbondantissimamente pieno…

Perché il problema è proprio questo,  l’etica  del rispetto ha lasciato dominio quasi assoluto alla logica del più  disonesto.

I genitori lo insegnano ai figli, i figli lo insegnano ai compagni, gli insegnanti  lo confermano come regola che non può essere fermata od ostacolata, tutto il sistema sociale  lo conferma come un morbo dal quale si può solo sperare di non esserne  travolti…

E poi  c’è l’equivoco,   c’è sempre l’insidia  ancora più sibillina e contorta  dell’equivoco; ci sono persone che non hanno per carattere la capacità di dare fiducia al prossimo.

Queste persone  instaurano intorno a loro, per un loro bisogno prioritario,   un  regime  di  controllo e di sorveglianza  ossessiva e costante; trasmettono questa forma  mentis ai propri collaboratori, ai propri sottoposti, ai propri colleghi, alla famiglia, agli amici, agli amici degli amici…fino a che tutto  viene stritolato e travolto da una sorte di  malcontento generale, dove le cose solo in apparenza sembrano funzionare in maniera ineccepibile, ma in verità  è solo che tutto rimane  taciuto e segreto  perché bloccato nella libera espressione.

Questo è un cancro  sociale che vige negli ambienti lavorativi in genere, in tutte le grandi aziende, nelle istituzioni,  nei grandi palazzi, ma anche nelle piccole realtà di paese,  dove le comunità  ristrette  rendono  tutto più ingigantito, tutto più  drasticamente   amplificato.

Personalmente     credo che questo cancro sociale può essere fermato o comunque pilotato dalle volontà  dei singoli.

E’ straordinaria la forza che può avere una persona all’interno di una comunità.

Se questa persona decide di non lasciarsi assorbire da queste dinamiche perverse  e distruttive,  può  facilmente trovare all’interno dell’ambiente lavorativo che pratica  un valido alleato con cui confrontarsi.

Possiamo pensare che le  azioni di ostruzionismo  alla esaltazione dei disvalori  siano già diventate due.

Ma non si esclude  che potrebbero diventare tre, e se una   persona può lanciare il primo sasso, due possono fare una bella coppia, cosa potrebbero mai fare tre persone aperte, dinamiche e non  preconfezionate in meccanismi  chiusi,  che la pensano alla stessa maniera, ossia  che viene sempre prima il rispetto della persona e della sua dignità, a qualunque altra esigenza?

Credetemi, possono fare moltissimo.

E’ per questo che io rimango fiduciosa.

Plaudo  le meravigliose persone che  so esistere,  che so  albergare nelle nostre quotidianità,  che so  resistere nonostante le fatiche e le difficoltà  sempre in crescita,  di cui conosco il valore  profondo e meritevole.

E’ questa la banale meritocrazia  che ogni  reticolato di persone  dovrebbe auspicarsi e incrementare;  credetemi, non sono baggianate, non sono vuote parole, sono  le condizioni di vita  di tutti   noi che ogni giorno dobbiamo affrontare l’onda nera  dell’impersonalità,  l’ipocrisia  del borghese e dell’invidioso  che ci vorrebbe vedere  schiacciato,  e solo per goderne in maniera  perversa…

Dico  personalmente grazie a tutti quegli speciali  individui  del tutto comuni e del tutto ordinari   che  non si lasciano annullare, che non si lasciano succhiare dalle logiche del più forte e del più frustrato,  ma che semplicemente sanno rimanere se stessi dentro il marasma  del sospetto, della discriminazione,  del pregiudizio  e dell’assenza d’amore.

Del resto ricordiamoci  che  chi non sa amare, ossia avere rispetto delle persone,    è solo qualcuno che non si è mai sentito  amato.

E ricordiamoci  che rispettare un lavoratore significa rispettare   il lavoro stesso, evitare  ogni genere  di  malcontento inutile,  prevenire le lamentele e le denunce  che possono sfociare in dolorosi e complessi  quanto spesso   inutili   iter giudiziari;   vuol dire dunque voler bene all’economia, volere bene al Paese, voler bene al  nostro prossimo tutto,   sapendo immaginare, dentro questo  nostro  traballante  circuito   che si chiama  per noi   civiltà  tecnologica,   i nostri stessi   figli   che un giorno diventeranno adulti.

E poi se ancora non dovessero bastare tutte queste premesse, allora ragazzi, ricordiamoci anche che ci sono strumenti senz’altro più diretti ed efficaci attraverso i quali far valere i propri diritti…se non vogliamo fare la fine di quell’idiota che  scelse di  morire a soli trentatre anni…

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