Etica del lavoro, prega per noi. Mai litania fu più ben detta di questa…
Tale riflessione parte dal concetto che noi siamo molto bravi a riconoscere le nostre personali necessità ed i nostri sacrosanti diritti, ma non siamo altrettanto bravi a riconoscere le necessità ed i diritti, anche quelli più palesi, di chi ci sta accanto.
Quante volte ci capita di farlo, anche inconsapevolmente, anche senza metterci particolare perfidia, anche senza essere detti palesemente parlando, degli stronzi?
Succede nella frenesia del nostro quotidiano che non ci suggerisce più il buonsenso di riflettere, di prenderci un piccolo spazio, indispensabile e salutare, per riuscire ad essere noi e solo noi a governare la nostra giornata e non il nostro capoufficio, o il nostro dirigente, o il collega con cui lavoriamo e che avrebbe la pretesa di dominarci o di contare un pezzo di più…
Come riuscire a trovare il nostro sacrosanto e doveroso equilibrio? Come riuscire ad esercitarlo anche nei momenti più difficili, più critici, dove può facilmente accadere una scivolata di stile, una caduta di tono, una perdita del centro?
Innanzitutto sapendo sempre fare un passo in retromarcia; quando ci accorgiamo che non è giornata, non tira l’aria giusta e si può solo peggiorare la situazione, è sempre meglio desistere, è sempre meglio tirarsi indietro.
Una volta fatto questo, si può rivedere la dinamica dei fatti, degli eventi.
Ci accorgeremmo senz’altro di avere commesso degli errori; potrebbero essere errori di impostazione, di approccio, di premesse, di interpretazione o di forma, l’importante è che non siano errori di sostanza, perché se fossero tali allora noi saremmo inequivocabilmente senza possibilità d’appello dalla parte del torto.
Non che gli sbagli non si possano commettere, ma chi commette errori deve essere pronto a riconoscerli e a rimediarli tutti e subito.
Se non lo dovesse fare, se non lo dovessimo fare, allora potrebbe essere qualcun altro a venirci a chiedere spiegazioni e noi ci troveremmo nel difetto di avere voluto fare i furbi.
Già, i furbi, come se il mondo non ne fosse abbondantissimamente pieno…
Perché il problema è proprio questo, l’etica del rispetto ha lasciato dominio quasi assoluto alla logica del più disonesto.
I genitori lo insegnano ai figli, i figli lo insegnano ai compagni, gli insegnanti lo confermano come regola che non può essere fermata od ostacolata, tutto il sistema sociale lo conferma come un morbo dal quale si può solo sperare di non esserne travolti…
E poi c’è l’equivoco, c’è sempre l’insidia ancora più sibillina e contorta dell’equivoco; ci sono persone che non hanno per carattere la capacità di dare fiducia al prossimo.
Queste persone instaurano intorno a loro, per un loro bisogno prioritario, un regime di controllo e di sorveglianza ossessiva e costante; trasmettono questa forma mentis ai propri collaboratori, ai propri sottoposti, ai propri colleghi, alla famiglia, agli amici, agli amici degli amici…fino a che tutto viene stritolato e travolto da una sorte di malcontento generale, dove le cose solo in apparenza sembrano funzionare in maniera ineccepibile, ma in verità è solo che tutto rimane taciuto e segreto perché bloccato nella libera espressione.
Questo è un cancro sociale che vige negli ambienti lavorativi in genere, in tutte le grandi aziende, nelle istituzioni, nei grandi palazzi, ma anche nelle piccole realtà di paese, dove le comunità ristrette rendono tutto più ingigantito, tutto più drasticamente amplificato.
Personalmente credo che questo cancro sociale può essere fermato o comunque pilotato dalle volontà dei singoli.
E’ straordinaria la forza che può avere una persona all’interno di una comunità.
Se questa persona decide di non lasciarsi assorbire da queste dinamiche perverse e distruttive, può facilmente trovare all’interno dell’ambiente lavorativo che pratica un valido alleato con cui confrontarsi.
Possiamo pensare che le azioni di ostruzionismo alla esaltazione dei disvalori siano già diventate due.
Ma non si esclude che potrebbero diventare tre, e se una persona può lanciare il primo sasso, due possono fare una bella coppia, cosa potrebbero mai fare tre persone aperte, dinamiche e non preconfezionate in meccanismi chiusi, che la pensano alla stessa maniera, ossia che viene sempre prima il rispetto della persona e della sua dignità, a qualunque altra esigenza?
Credetemi, possono fare moltissimo.
E’ per questo che io rimango fiduciosa.
Plaudo le meravigliose persone che so esistere, che so albergare nelle nostre quotidianità, che so resistere nonostante le fatiche e le difficoltà sempre in crescita, di cui conosco il valore profondo e meritevole.
E’ questa la banale meritocrazia che ogni reticolato di persone dovrebbe auspicarsi e incrementare; credetemi, non sono baggianate, non sono vuote parole, sono le condizioni di vita di tutti noi che ogni giorno dobbiamo affrontare l’onda nera dell’impersonalità, l’ipocrisia del borghese e dell’invidioso che ci vorrebbe vedere schiacciato, e solo per goderne in maniera perversa…
Dico personalmente grazie a tutti quegli speciali individui del tutto comuni e del tutto ordinari che non si lasciano annullare, che non si lasciano succhiare dalle logiche del più forte e del più frustrato, ma che semplicemente sanno rimanere se stessi dentro il marasma del sospetto, della discriminazione, del pregiudizio e dell’assenza d’amore.
Del resto ricordiamoci che chi non sa amare, ossia avere rispetto delle persone, è solo qualcuno che non si è mai sentito amato.
E ricordiamoci che rispettare un lavoratore significa rispettare il lavoro stesso, evitare ogni genere di malcontento inutile, prevenire le lamentele e le denunce che possono sfociare in dolorosi e complessi quanto spesso inutili iter giudiziari; vuol dire dunque voler bene all’economia, volere bene al Paese, voler bene al nostro prossimo tutto, sapendo immaginare, dentro questo nostro traballante circuito che si chiama per noi civiltà tecnologica, i nostri stessi figli che un giorno diventeranno adulti.
E poi se ancora non dovessero bastare tutte queste premesse, allora ragazzi, ricordiamoci anche che ci sono strumenti senz’altro più diretti ed efficaci attraverso i quali far valere i propri diritti…se non vogliamo fare la fine di quell’idiota che scelse di morire a soli trentatre anni…
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