Questo è un post pubblicato su facebook il 10 febbraio, quando già questo blog dava segni di crisi. Ora che sono di nuovo a regime, recupero lo spazio perduto.
Le crisi servono. Servono a distinguere chi “c’è” da chi “ci fa”, a capire su chi si può contare e su chi no, da che parte stare eccetera.
Così questo meraviglioso cabaret che è diventata l’Italia negli ultimi mesi, oltre a farmi risparmiare sul cinema, mi permette di individuare al volo chi davvero comprende cosa sta accadendo e chi, invece, no.
Capisco che la situazione è ingarbugliata e saltano i punti fermi insieme ai nervi — e quanti ce n’è, di scoperti…: al punto che gira un sacco di gente convinta che tutto il polverone sollevato attorno al personaggio Berlusconi sia frutto del solito moralismo ipocrita di chi, per dirla con De André, «dà buoni consigli / se non può dare cattivo esempio». Sul web, in particolare, si leggono delle squisitezze: ci sono fora “fascisti” che difendono il premier a spada tratta perché “è meglio degli altri” e perché “contribuisce ad affossare questa repubblica” (anche se sotto sotto affiora la certezza del sacrosanto diritto di ogni macho che si rispetti a trombare quando quanto come dove e con chi vuole); e ci sono signore convinte che tutta la faccenda sia un ottimo punto di partenza per un ripensamento dei rapporti fra i sessi.
Però, gente mia, il punto nodale della questione non è che un attempato signore assai più che benestante si dia bel tempo con qualche disinvolta figlia di Eva che potrebbe essergli non figlia ma nipote dietro esborso di somme che in questa particolare congiuntura storica costituiscono un affronto alla miseria, cosa che da sola giustificherebbe un’insurrezione popolare — se esistesse un popolo.
Il punto, invece, è che a darsi bel tempo eccetera sia il presidente del Consiglio: in parole più semplici, il punto è che il capo del governo si circonda abitualmente di puttane e lenoni, ai quali apre la porta di casa sua, e per gestire i rapporti coi quali si serve di esponenti del suo partito arrivando al punto di reclutare come paladino il ministro della giustizia.
Questa, e solo questa, è la materia del contendere. Negare questo, non capirlo o fingere di non capirlo è la via più breve per collezionare una figuraccia senza appello.
Anche perché la pratica del sesso a pagamento è antica quanto l’umanità — il mestiere più vecchio del mondo è la prostituzione, non il turno di otto ore alla catena di montaggio.
Del pari, le prestazioni sessuali come moneta di scambio per favori, privilegi e compromessi fanno parte dell’economia sociale fin dai suoi albori (l’Antico Testamento, per esempio, offre una vasta casistica). Quindi il “ripensamento dei rapporti fra i sessi” a partire da sdegno ed esecrazione di certi presidenziali comportamenti mi suona un po’ come le pie illusioni dell’on. Merlin, che pensava in buonafede di eliminare la piaga della prostituzione abolendo le case chiuse (a proposito, quand’è che le riapriamo?).
Ma torniamo al punto di partenza: al fatto, cioè, che in queste settimane abbiamo appreso che il presidente del Consiglio è solito circondarsi di persone avvezze a guadagnarsi il pane non col sudore della fronte bensì a mezzo di altri liquidi corporei — alla meccanica dei fluidi non è estraneo il concetto di lavoro.
Diciamo, allora, che dal premier di una nazione, sia pure sgangherata come la nostra, sarebbe lecito attendersi un altro tipo di frequentazioni; e aggiungo che la sfacciata familiarità col presidente del Consiglio esibita da personaggi che definirò bonariamente discutibili non depone a favore della consapevolezza del proprio ruolo che dovrebbe esser prerogativa di una così alta carica dello Stato.
Confondere l’etica con la morale denota una profonda incomprensione della vicenda nei suoi risvolti più seri, nonché una plateale ignoranza di tutto ciò che attiene alla dimensione del Politico. Perché soltanto un recupero dell’etica, forse, potrebbe consentire a questo sciagurato Paese di rinsaldare la sua vacillante dignità. Forse, ripeto. E forse soltanto fino alla prossima volta. Meglio che niente.