Demetra = Dhè motër
Figlia di Crono e di Rea. Era considerata una importante dea della “terra coltivabile e fertile”. Ricordiamo brevemente che i Pelasgi sono stati i primi ad introdurre la coltura dei cereali in Europa. Demetra era la dea dei frutti e di tutte le ricchezze della terra. Era simbolo della civiltà antica: abbondanza del raccolto e dello sviluppo economico-sociale. Il suo culto venne preservato in alcune regioni della Grecia antica e soprattutto in Arcadia, dove i Pelasgi mantennero più a lungo le loro tradizioni. Una leggenda vuole che Demetra fosse arrivata in Grecia provenendo da Creta. I Greci la chiamarono la madre dell’avena. Tutti gli antichi la consideravano come la dea Terra (Tokë o Toka – mëmë: Terra madre in lingua albanese). L’origine del nome in lingua albanese è molto chiara: significa terra sorella (Dhe – Motër). È interessante notare il collegamento fra i nomi Demetra (dea della fertilità della terra) e Persefone (sua figlia), che veniva chiamata anche Kora o Core (in albanese korr significa mietere): e cioè la madre pianta e la figlia miete.
Ade = Hadi
Figlio di Crono e di Rea. Era il dio dell’altro mondo, il regno dei morti. Ci viene raffigurato alla guida del regno degli Inferi con uno scettro in mano, con il quale regnava come un sovrano senza pietà sulle anime dei morti. I Greci hanno tradotto il suo nome come l’Invisibile; invece nella lingua albanese troviamo Ha deks (dialetto Ghego) e Ha vdeks (dialetto Tosko). In tutti e due i casi significa Colui che mangia i morti, appellativo che gli si addice molto di più che non l’Invisibile.
Esione= Hesiona
Esistono due diverse credenze a proposito di Esione. Nella prima ella è una ninfa Oceanina, moglie di Prometeo. Nella seconda è figlia di Laomedonte. Legata in catene, nuda, vestita soltanto dei suoi monili, deve la sua vita ad Eracle che la liberò dalle catene. Il suo nome si spiega in maniera perfetta con la lingua albanese: E zanë (ghego) oppure E zënë (tosko), significando in tutti e due i dialetti catturata.
Odisseo = Odise
Ulisse, dopo aver combattuto per dieci anni, ne impiegò altri dieci in un avventuroso viaggio di ritorno. Penelope, sua moglie, lo aspettò fedele durante i vent’anni della sua mancanza da casa. Ulisse è conosciuto per i suoi “viaggi”. Il suo soprannome ce lo dimostra. Odisseo è l’appellativo che gli venne dato per via del suo burrascoso ritorno in patria, e si spiega con le parole albanesi Udhës, Udhësi, Udhëtar (viaggiatore) che, a loro volta, derivano dalla parola albanese Udhë (strada). Ulisse era un nome latino; anche questo nome può essere collegato alla parola albanese Ulic, e cioè strada piccola.
Penelope = Pen-e-lypi
Figlia della ninfa Periboea e di Icario, fratello di Tindaro. É la moglie del famoso Ulisse. Durante l’assenza di suo marito, per reprimere i pretendenti che la volevano in sposa, mise in atto uno stratagemma: dichiarò che non avrebbe preso in considerazione nessuna proposta prima di aver finito di tessere un sudario per suo suocero Laerte; di notte, però, disfaceva ciò che tesseva durante il giorno. Il suo nome, Penelope, si spiega molto bene ricorrendo alle parole albanesi Pen e lyp (Il cotone chiede), Colei che ha bisogno del cotone. I Greci lo spiegano con: colei il cui viso è coperto da un velo. Penelope è un appellativo.
Hippos = Hipos
Questa parola in greco significa cavallo. Essa deriva però dalla lingua pelasgo-albanese e più precisamente dalla parola hip (salire). In realtà, per denominare il “cavallo” la lingua albanese ha conservato la forma più arcaica, che è riconducibile alle prime parole dell’uomo preistorico: kal. La confidenza con il cavallo da parte dei greci è stata tramandata dai Pelasgi (i Traci, i Frigi). A quell’epoca, oramai, il cavallo era un animale addomesticato e cioè cavalcabile. I Greci, dopo il loro arrivo nella penisola, chiamarono questo animale Hippos: colui che sale. Gli Albanesi conservarono invece la forma arcaica kal (cavallo).
Omero = Homeri
Questa parola che esprime ammirazione nell’idioma pelasgo-albanese, tipicamente significa: che bello, che piacevole. Questa nostra interpretazione avvalora la tesi di coloro che credono che Omero non sia mai esistito, e che Iliade e Odissea siano dei poemi preellenici, tramandati di generazione in generazione da rapsodi anonimi. In realtà possiamo supporre che questi poeti epici, cantori nel periodo dei Pelasgi (visto che gli antichi ci raccontano che i Pelasgi “possedevano il territorio che oggi si chiama Grecia, prima dell’arrivo dei Elleni”, e noi non possiamo bypassare questa affermazione), abbiano trasmesso oralmente le epopee antichissime, adottate dagli Elleni successivamente al loro arrivo nelle terre dei Pelasgi, e solo dopo le abbiano adattate, rielaborate ed infine trascritte nella loro lingua, conservando intatti i termini e i nomi che essi non capivano, come quelli degli dèi e i toponimi dei Pelasgi. Gli Elleni hanno ascoltato le epopee cantate dai cantori epici e chi con loro ascoltava gli stessi cantori esclamare: O mere (che bello), dialetto ghego del’Albania del Nord. Invece nel Sud del Albania si dice: O mirë.
Liberamente tratto dal libro, Albanie ou l'incroyable odyssée d'un peuple préhellénique dell’autore Mathieu Aref