Trascinato tra le rovine della murail corpo di Ettore schizza pietresobbalza tra i massi argillosi,salta tra buchi e fosse, cane che scappadal maligno bastone che picchia come il solenello zenit del Neghev.Bene fece Ettore a non resistere e placarel’odio col suo perdono di morte, ma tantofu lo stupore che il mondo devastòin palazzi crollati, macerie accatastate,incidentali vivi che scappano come Eneadalla polvere della propria città.Il perdono non ferma le onde deldemone brutale, inerte quello benevolose non nel trasportare le anime, delicato,al loro posto tranquillo, salvare i soccorritorisostenerli nella polvere umida e appiccicosache s’impasta col sole, veri fantasmidai cappelli gialli rossi neri.
Trascinato per i mari vicini dall’iradegli scontenti immortali, lo smagratoUlisse dibatte come meglio puòfra frecce dorate, cantate melodicheconcave figure di sirene, bianchezze diarmenti, acqua brillante prodigiosa,fresche ventilate terrazze. Ma la Magaavida come Achille lo imprigiona perun tempo non contabile e solo la pennad’Omero riesce a portalo a Itaca, dovecontendono pecore e mucche ai villanii suoi fedeli come il cane. Sfinito scompareper interrompere le sequele delle lacrime edei lutti, provocando una tempestapiù forte di Polifemo che s’abbatte seconda,senza intervento del buon dio che non puòinterrompere la libertà responsabile.Sola rimane la stirpe adamitica o puòpensare di risolversi secondo i libri sacri,scritti in multiformi segni segnati tuttinella raccolta dei vivi e dei morti.
Per la terza volta squasso e terroresulla terra non più sopportata da Eroi,nascosti nei panni dei comuni mortalii pompieri che corrono e scavano con bennee mani per ridurre i danni, assistere i feriticon le pance e i baffi pronti a sorreggere i muscolii lobi temporali. Sanno che la volontà loroadesso è il dio pietoso e deciso che si moltiplicaperché gli smarriti, i paurenti sorridano e vivano.
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Giorgio De Chirico, Ettore e Andromaca, 1974