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EUFOR RCA, ultima chiamata per la Repubblica Centrafricana?

Creato il 16 maggio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

rca_crisi

di Danilo Giordano

Dopo ripetuti rinvii, il 1° aprile la portavoce del Consiglio d’Europa, Susanne Kieffer, ha annunciato che durante l’ultima seduta dello stesso organismo prima del quarto Vertice UE-Africa (2-3 aprile) è stata approvata l’operazione militare europea EUFOR RCA nella Repubblica Centrafricana. Oltre all’Italia, che ha messo a disposizione alcuni veicoli e una quarantina di uomini, saranno otto i Paesi che schiereranno i propri militari: Spagna, Svezia, Estonia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Georgia e Francia. Proprio quest’ultima, già operativa sul suolo africano con una propria missione di circa duemila soldati (Opération Sangaris), ha fatto grandi pressioni sui partner europei affinché si costituisse EUFOR RCA che andrà ad affiancarsi alle truppe francesi e a quelle della missione internazionale MISCA a guida dell’Unione Africana e composta da altri 6.000 uomini.

I militari dell’UE saranno guidati dal Generale francese Philippe Pontiès, la missione durerà almeno sei mesi e lo Stato Maggiore operativo sarà a Larissa, in Grecia, mentre lo Stato Maggiore della forza tattica sarà nell’aeroporto di Bangui, la capitale centrafricana. Il costo stimato dell’intera operazione dovrebbe aggirarsi intorno ai 26 milioni di euro (per i primi sei mesi). Il contingente europeo che doveva prevedere 1.000 uomini sarà tuttavia meno numeroso di quanto preventivato, anche a causa del forfait di Germania, Regno Unito e Romania, e vedrà impiegati solo 800 soldati con funzioni principalmente di peacekeeping. Il contributo italiano alla missione dovrebbe essere costituito da una squadra del genio militare, specializzata in lavori “di costruzione”: realizzare i campi e i ripari, predisporre le strade, rafforzare le strutture esistenti. Nel corso di un incontro con la stampa, il generale Pontiès ha spiegato che il dispiegamento del contingente europeo permetterà alle altre forze internazionali presenti di intervenire in altre zone del Paese non ancora in sicurezza. La forza europea avrà come scopo quello di rendere sicuro l’aeroporto di Bangui e alcuni quartieri della capitale contribuendo, inoltre, agli sforzi internazionali per proteggere le popolazioni più vulnerabili e a creare le condizioni per la fornitura di aiuti umanitari: obiettivo finale – precisa il comunicato dell’Unione Europea – sarà quello di trasferire, successivamente, la competenza ad una missione dell’ONU o dei partner africani.

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Opération Sangaris (situazione al 17 febbario 201) – Fonte: Le Figaro

La decisione di Bruxelles di intervenire attivamente in territorio centrafricano è frutto dell’amara constatazione che la guerra civile in cui il Paese sub-sahariano è precipitato sta attraversando una fase di elevata criticità che a molti è sembrato avere dei punti in comune con altri tragici eventi del passato. I continui scontri violenti tra le milizie musulmane Séléka e quelle cristiane anti-Balaka, con annesse rappresaglie che si succedono una dopo l’altra, hanno riportato alla mente i tragici inizi di quello che fu il genocidio avvenuto in Ruanda nel 1994: nell’arco di pochi mesi, un milione di ruandesi di etnia tutsi venne sterminato dall’etnia rivale hutu. Come nel caso del Ruanda, l’attuale situazione della Repubblica Centrafricana è figlia tanto del passato coloniale, quanto dell’evoluzione politica da Paese indipendente.

La storia della Repubblica Centrafricana è comune a tanti Paesi dell’Africa sub-sahariana: un passato coloniale con una potenza europea, la Francia, che dal 1903 al 1960 ha controllato quello che all’epoca era chiamato Obangui-Chari, successivamente confluito nel territorio della Federazione dell’Africa Equatoriale Francese. Il periodo post-coloniale della Repubblica Centrafricana, che ottenne l’indipendenza il 13 agosto 1960, non è stato contrassegnato tuttavia da una maggiore stabilità: il Paese è passato di golpe in golpe, più o meno appoggiati dalla vecchia potenza coloniale francese, fino a giungere alla recente crisi iniziata il 24 marzo 2013 quando i Séléka, un movimento di ribelli musulmani che si opponeva al Presidente François Bozizé sin dalla sua elezione, prendono il potere attraverso un colpo di Stato. Il golpe è arrivato dopo un lungo periodo di tensioni provocate da un accordo di pace tra i ribelli e Bozizé, firmato a Libreville nel Gabon, che concedeva al Presidente di rimanere al potere fino al 2016 in cambio della liberazione di detenuti politici, l’integrazione dei ribelli nell’esercito regolare e la fine del sostegno militare di Sudafrica e Uganda all’Esecutivo in carica. I ribelli Séléka sostenevano che Bozizé avesse disatteso le promesse fatte nell’accordo: il giorno dopo la presa del palazzo presidenziale, il loro leader Michel Djotodia si è autoproclamato nuovo Presidente ad interim della Repubblica Centrafricana. Il primo Capo di Stato musulmano di un Paese a maggioranza cristiana, non riuscendo più a contenere le iniziative isolate delle milizie Séléka, ha deciso nel settembre del 2013 di scioglierle aggravando ulteriormente la situazione. Le milizie, ormai senza controllo, dopo aver incrementato le proprie fila con soldati – alcuni dei quali presunti jihadisti – provenienti dai vicini Ciad e Sudan, hanno iniziato a prendere come bersaglio i cristiani. Il Paese è sprofondato in un caos generalizzato dove violenze, uccisioni, stupri e mutilazioni si susseguono: l’onnipresenza dei Séléka ha costretto i cristiani ad organizzare una propria milizia, chiamata anti-Balaka (ovvero anti-machete), per difendersi autonomamente da quello che ritengono un “genocidio” pianificato, ma che commette, a sua volta, violenze ai danni della controparte musulmana. In questo scenario, la Francia è rimasta un osservatore attento agli sviluppi della situazione, interessato più che altro agli approvvigionamenti di risorse minerarie, mentre il vicino Ciad continua a vedere con preoccupazione le possibili ripercussioni interne. Il 5 dicembre 2013, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 2127 che autorizza i soldati francesi e quelli africani (MISCA) ad usare la forza nella Repubblica Centrafricana, definisce un embargo sulla vendita di armi verso lo stesso Paese e predispone l’ONU ad una possibile missione di peacekeeping.

Le pressioni internazionali, in particolare quelle dell’ingombrante Ciad del Presidente Idriss Déby Itno, e gli attriti con una parte dei militanti Séléka hanno costretto il Presidente Djotodia il 10 gennaio a dimettersi. La disfatta di quest’ultimo ha portato al ritiro disordinato dei Séléka che non hanno più goduto della copertura del governo: i militanti, nel ritirarsi dalle città e dalle postazioni che occupavano, hanno lasciato spazio alle milizie animiste e cristiane degli anti-Balaka che in breve tempo hanno conquistato molti avamposti, sino ad acquisire il controllo effettivo sulla parte occidentale del Paese. Il 20 gennaio il Parlamento della Repubblica Centrafricana ha nominato Presidente ad interim Catherine Samba-Panza, sindaco di Bangui, che ha il difficile compito di guidare il Paese verso le elezioni presidenziali previste per il primo trimestre 2015. Gli anti-Balaka, trovandosi in posizione predominante, hanno dato via ad una serie di operazioni di pulizia etnica contro la popolazione musulmana, colpevole, secondo i miliziani, di essere complice dei ribelli Séléka. Uno degli episodi più tragici è quello del villaggio di Bossemptele, dove il 18 gennaio scorso 100 civili musulmani sono stati trucidati dai guerriglieri. Se l’elezione di Samba-Panza non è riuscita a tranquillizzare gli animi, anche le truppe francesi riescono a fare poco o nulla per stabilizzare almeno la situazione della capitale. In un episodio, la folla inferocita ha linciato gli occupanti di un taxi, presumibilmente musulmani, che si stavano dirigendo all’aeroporto Mpoko, a poche centinaia di metri dal checkpoint controllato proprio dai Francesi senza che i colpi di avvertimento sparati dai militari riuscissero ad intimorire nessuno.

In questa situazione incontrollata di guerra civile, pochi giorni dopo la decisione dell’Unione Europea di schierare il contingente l’EUFOR RCA, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha anch’esso approvato all’unanimità l’invio di un contingente di 12.000 caschi blu nella Repubblica Centrafricana per ristabilire l’ordine e la sicurezza. Non sono ancora chiari i dettagli, ma la missione ONU dovrebbe andare a sostituire, a partire dal prossimo settembre, i 6.000 peace-keeper dell’Unione Africana ed inglobare i militari francesi dell’Opération Sangaris. Certamente ci si può chiedere, da qui a settembre, la previsione di dispiegamento dei 12.000 caschi blu in Repubblica Centrafricana quale certezza di successo possa avere e, soprattutto, quale situazione possa trovare; ma la probabile staffetta con il contingente europeo dovrebbe assicurare quantomeno una continuità d’intenti.

Per un contingente che arriva, un altro se ne va: si tratta di quello del Ciad che ha iniziato il ritiro a partire dal 4 aprile scorso. La decisione del governo di N’Djamena è stata presa dopo che la Presidentessa Samba-Panza ha deciso di aprire un’inchiesta su un massacro avvenuto a Bangui che avrebbe coinvolto soldati ciadiani. Il coinvolgimento di questi, che partecipano alla missione dell’Unione Africana, è stato evidenziato da Cécile Pouilly, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, secondo la quale l’esercito ciadiano avrebbe sparato in maniera indiscriminata sui civili presenti al mercato di Bangui, uccidendo almeno 24 persone e ferendone più di 100. Il governo di N’Djamena, che ha affermato di aver semplicemente risposto ad un attacco premeditato, da tempo è accusato di sostenere e foraggiare i ribelli musulmani Séléka, così come di aver organizzato l’ascesa al potere di Djotodia. Questo incidente diplomatico è soltanto l’ultimo capitolo di uno scontro che vede affrontarsi sul campo le milizie che si contrappongono, ma che sta coinvolgendo la comunità internazionale a diversi livelli. Difficilmente Samba-Panza riuscirà a rilanciare il dialogo tra le due fazioni in lotta e a portare a termine il proprio mandato, che dovrebbe comunque esaurirsi con le elezioni previste per il prossimo gennaio 2015. È difficile ottenere risultati politici concreti laddove la presenza dello Stato è solo nominale: i funzionari statali non sono pagati, le forze dell’ordine spesso taglieggiano la popolazione, la giustizia non viene esercitata oltre il perimetro di Bangui e i farmaci scarseggiano.

Se la situazione politica è sempre più instabile, quella umanitaria è al tracollo da mesi. UNICEF e UNHCR affermano che nell’ultimo periodo un gran numero di sfollati ha raggiunto il Ciad: si tratta per la maggior parte di donne e bambini che hanno lasciato ogni cosa nella Repubblica Centrafricana per fuggire e mettersi in salvo, nonostante il grande lavoro svolto dalle ONG impegnate sul campo. Al momento, secondo l’agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR), su 4,6 milioni di abitanti nel Paese si contano circa 700.000 sfollati, di cui 207.000 nella sola capitale, mentre più di 80.000 musulmani sono scappati nei Paesi confinanti. La situazione più drammatica è quella dell’aeroporto Mpoko, a poche miglia a nord-ovest di Bangui, dove migliaia di profughi si sono accampati per fuggire dalla guerriglia. Le condizioni igieniche precarie in cui si trovano, con accessi limitati a servizi igienici, cibo e acqua, espongono al rischio di epidemie le persone più deboli come bambini e anziani.

Situazione umanitaria (dati al 9 maggio 2014) - Fonte: UNHCR
Situazione umanitaria (dati al 9 maggio 2014) – Fonte: UNHCR

È abbastanza evidente che la guerra civile in Repubblica Centrafricana è innanzitutto un conflitto per il potere tra due fazioni la cui diversità etnica e religiosa è stata utilizzata solo per innalzare il livello di scontro. La popolazione della Repubblica Centrafricana è costituita all’80% da cristiani e al 15% da musulmani, e queste percentuali rendono facile, per alcuni analisti, sottolineare il valore religioso dello scontro. Quando si parla dei conflitti in corso nell’Africa sub-sahariana è molto semplice liquidare la questione come scontro etnico o tribale. Ma la Repubblica Centrafricana, ricca di oro, diamanti e uranio, è vittima dei mali che caratterizzano la storia di molti Paesi del Continente, dagli strascichi post-coloniali, allo sfruttamento rapace delle risorse naturali, alle divisioni tribali e ai regimi militari. Fattori etnici, antichi odi, assoluta assenza di strutture statali, sessanta anni di regimi militari, povertà (e ricchezze) e ingerenze straniere giocano un ruolo fondamentale in questa crisi più volte annunciata.

Nel suo rapporto sulla Repubblica Centrafricana, Human Rights Watch dimostra che le tensioni non sono esclusivamente religiose, ma sono il risultato di realtà più complesse sul terreno, inclusi i numerosi e violenti contrasti tra gli allevatori nomadi, che spostano grandi mandrie da una zona di pascolo all’altra, e gli agricoltori sedentari che vedono le loro terre invase. Resta forte il dubbio che la religione sia solo un pretesto e che alla base del conflitto ci potrebbero essere cause legate alle ricchezze di cui è dotato il sottosuolo centrafricano, ricco di diamanti, oro e uranio. Non è un caso che gli anti-Balaka, ad esempio, abbiano di recente assaltato una città come Yaloké, 200 km a nord-ovest di Bangui, importante centro di commercio dell’oro estratto in quell’area. Le ricchezze del sottosuolo centrafricano, inoltre, rappresentano una fondamentale fonte di approvvigionamento per la Francia, che mira quindi ad evitare ingerenze da parte di altre potenze. In effetti, François Bozizé, giunto al potere con un colpo di Stato nel 2003 con l’aiuto di Francia e Ciad, non ha resistito alle proposte della Cina che ha moltiplicato gli aiuti, accresciuto gli investimenti sul Continente senza porre particolari condizioni “umanitarie”. Proprio la Cina nel 2008 ha acquistato dalla multinazionale del nucleare AREVA (di proprietà dello Stato francese) il 49% delle quote di UraMin, la società di estrazione che possiede la miniera di uranio di Bakouma. Un cablo risalente al 2009 dell’Ambasciatore statunitense, pubblicato poi da Wikileaks, rivela la “profonda frustrazione” del rappresentante diplomatico francese a Bangui per l’atteggiamento del Presidente Bozizé, ritenuto schierato a favore dei Cinesi.

Oltre ad avere un passato simile a quello di molti altri Paesi dell’Africa sub-sahariana, la Repubblica Centrafricana ha anche un presente comune a quello di altre ex-colonie: un presente fatto di instabilità continua e di incertezza costante che non permette appieno lo sviluppo del Paese e delle sue istituzioni democratiche e che lascia la repubblica ancora fortemente dipendente da altri Stati, in forme diverse da quelle tipiche del periodo coloniale.

Non è dato sapere se l’intervento europeo riuscirà a cambiare la situazione, e soprattutto se sia stato promosso da considerazioni diverse da quelle che hanno sostenuto lo sforzo militare francese, evidentemente legato alla protezione dei suoi approvvigionamenti di uranio. Ciò che è certo è che l’Unione Europea si trova dinanzi ad una nuova prova per dimostrare la propria capacità di agire con voce unica anche sul piano militare: il contingente EUFOR RCA, in un periodo in cui l’unità europea è messa in forte discussione, causa – ma non solo – la crisi economica, potrebbe rappresentare un passo importante in direzione della creazione di un esercito europeo.

* Danilo Giordano è Dottore in Politica Internazionale e Diplomazia (Università di Padova)

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