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Eugenio che aspirava veleni

Da Brunougolini
E’ una delle tante storie che costellano i lavori, non quelli sorpassati degli anni 70, ma quelli moderni. Eugenio è un operaio provetto, partito quattordicenne, nella corsa della vita, a Milano, come tornitore fino ad arrivare a collaborare a un progetto aerospaziale. Ed eccolo trascorrere anni e anni in un minilocale, aspirando i veleni del Frion R113 (derivato dal metano e  dal l’etano) mescolati al metanolo. Liquidi atti a pulire le valvole di un prezioso missile europeo. Un’attività che lo porta ad accusare, in un’escalation drammatica, giramenti di testa, depressioni. Lo sbocco finale è il morbo di Parkinson.  Segue una lunghissima e tormentata trafila per far riconoscere dall’Inail (aiutato dalla Cgil) la malattia professionale.Il caso apre il volume “Il lavoro che ammala” di Giampiero Rossi, un giornalista che è stato anche cronista di questo giornale. La sua narrazione appare come un breve girone dantesco. E’ uno spaccato dell’Italia, soprattutto delle piccole imprese e che testimonia come – lo sottolinea Guglielmo Epifani nella prefazione – certo siano in diminuzione gli infortuni mortali, ma siano in crescita le malattie professionali. E anche qui altri morti. Ogni anno, spiega Luciano Gallino, nell’introduzione, sono registrati circa cinquemila decessi per patologie legate al lavoro. Le vittime appartengono a quella categoria degli “invalidi” spesso oggetto di una forsennata campagna governativa e di stampa che non sa distinguere fra truffatori e persone che hanno sacrificato la salute all’altare del lavoro.
Troviamo così le vicende di Giorgio e Luciano con le schiene spezzate. Conosciamo il significato di “tunnel carpale” ovverosia dei polsi logorati di Teresa che mette insieme le catene da neve o di Grazia addetta alla cucitura dei bordi di materassi.  Storie di dolore, di corpi che si rompono, si frantumano, si appassiscono. Con mesi e anni di coda agli sportelli  dell’Inail (ente ricchissimo e duramente burocratico) per far capire che non è un imbroglio. Con tecnologie moderne usate per aumentare la produttività, non per tutelare il capitale umano, non per difendere la salute. Le mani martoriate o le spalle rovinate per sempre, non compaiono in alcuna voce della contabilità aziendale, spiega Luciano Gallino.
Così come nel girone dantesco di Giuseppe Rossi, compare poco il sindacato aziendale. Sono aziende di dimensioni ridotte e di diritti ridotti. Una constatazione che dovrebbe indurre al decentramento sindacale accanto al decentramento produttivo. Ma anche dove il sindacato c’è spesso è venuta meno la presa sull’organizzazione del lavoro, sulle “nocività”, sull’integrità psico-fisica. La salute non è all’ordine del giorno. All’ordine del giorno sono i diritti dell’impresa, non quelli del lavoro. Perché, come spiega ogni giorno Marchionne, non sono più gli anni Settanta.

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