Fatto sta che nel 2013 l'agenzia letteraria del nostro ha finalmente trovato nella Dante Alighieri una casa editrice disposta a pubblicare il libello dal titolo decisamente esplicito: Eugenio Scalfari. L'intellettuale dilettante. Prima di inoltrarci in alcuni dei temi scandagliati da Francesco Bucci, una breve ma importante premessa: non si pensi che Eugenio Scalfari. L'intellettuale dilettante sia un libro pedante e serioso. È serio ma leggero: l'autore non manca certo di senso dell'umorismo, oltre che di modi schietti e spirito piuttosto arguto; oltre a ciò rivela di muoversi agevolmente e con padronanza tra i testi sacri (e non solo) della cultura soprattutto contemporanea, al punto da essere in grado – lui – di fornire agili e utili strumenti di conoscenza, approfondimento e riflessione a quei lettori curiosi e desiderosi di capire meglio il loro passato e il loro presente politico e culturale, ma che rischiano di perdersi nel mare magnum di pubblicazioni non tutte di pari valore. Entriamo ora dunque nel merito di Scalfari «specialista di dilettantismo». I suoi saggi, che ambirebbero a trattare soprattutto di filosofia, letteratura e morale, si collocherebbero a metà tra il diario spirituale adolescenziale e la tesina scolastica, secondo il Cesare Garboli citato da Bucci. Affermazioni apodittiche, ma confuse e contraddittorie, fumose e vaghe, si susseguirebbero senza soluzione di continuità, contraddicendosi l'una con l'altra nel tracimante monologo narcisistico scalfariano ricco di assiomi ma povero di argomentazioni. Si tratterebbe, insomma, di un caso di puro sfoggio di quanto è stato superficialmente assorbito, magari attraverso letture di seconda o terza mano. Esemplifichiamo, per rapidi cenni, con il concetto di modernità tanto caro al giornalista, per il quale la modernità sarebbe sulla via del naufragio. Tutto per colpa di Nietzsche che ne avrebbe decretato la fine distruggendo la metafisica e gli assoluti, inaugurando il regno del relativismo. Senonché il relativismo superficialmente tratteggiato da Scalfari non sostituisce l'assoluto, bensì l'universale, ossia ciò che è comune a tutti gli uomini. Il diritto alla vita è un universale, non un assoluto. Ma forse sono solo quisquilie terminologiche... Piuttosto interessante è poi che, senza fornire al lettore le necessarie coordinate per orientarsi, Scalfari proponga un'interpretazione «irenica» di Nietzsche, che appare depurato dei suoi aspetti più discussi sulla scia di certi revisionismi del secondo Novecento. Il giornalista inforcherebbe, insomma, le lenti di Marcuse e Deleuze (tra gli altri), per i quali il filosofo sarebbe il «paladino della liberazione dell’uomo» da una civilizzazione castrante e manipolatoria, imposta dall'alto – da uno Stato e da una Chiesa con interessi convergenti – non allo scopo di educare, bensì di rendere mansueti e domabili i propri sudditi. Nietzsche, dunque, come profeta non del «superuomo» bensì dell'«oltreuomo di massa», capace di spezzare le catene che imbrigliano i suoi istinti e le sue potenzialità. Sorvoliamo sul fatto che, in alcuni passaggi, Scalfari dichiari niente affatto morta la modernità. Una tra le tante contraddizioni, di quelle che possono capitare a un professionista del giornalismo dalla penna facile e allenatissima a giostrarsi tra le parole. Ricordiamo, invece, che una disarmante confusione regna quando il nostro «intellettuale dilettante» si dedica a fornire la data di nascita della modernità. Qui a spiccare è la figura di Montaigne in quanto inaugurerebbe una prospettiva relativistica. Il relativismo, dunque, dà inizio o pone fine alla modernità? Sorvoliamo. Limitiamoci ad affidarci a Bucci, il quale, per fortuna, anche per rendere giustizia a Montaigne, cita al riguardo lo studioso Gianni Paganini. Secondo quest'ultimo, il saggista francese avrebbe proposto un «universalismo non antropocentrico né etnocentrico» da una parte, dall'altra una morale senza «motivazioni eterne e trascendenti» bensì laica, elaborata razionalmente e sulla base della legge naturale. Montaigne non sarebbe, dunque, un relativista ma uno scettico. E, mi piace sottolineare qui una volta per tutte, non si tratta per nulla di pignoleria terminologica da specialisti, se consideriamo la filosofia non una materia da studiare per ottenere un bel voto a scuola, bensì uno dei massimi strumenti culturali a disposizione di un'umanità (di qualunque classe, etnia e livello d'istruzione) capace di maturare anche attraverso la riflessione e assunzione personale delle opere dei grandi pensatori del passato. Montaigne, in effetti, rifugge dal relativismo, che giustificherebbe il genocidio tanto praticato nell'epoca in cui gli imperi coloniali nelle Americhe da poco scoperte si stavano consolidando a costo di scempi immani.
Francesco Bucci
Non può anche non colpire, in Scalfari, la compresenza di definizioni di “morale” difficilmente conciliabili tra loro. La morale, altro argomentuccio di poco rilievo, sarebbe ora fondata sull’istinto di sopravvivenza della specie, ora sarebbe una morale eroica tendente al «trascendimento di sé nell’altro», ora sarebbe il frutto di considerazioni razionali. Vige insomma sempre una «festosa incoerenza delle idee» nei “saggi” scalfariani, che – badate bene – non solo si auto-confutano tra loro, ma si compiacciono anche, e senza alcun imbarazzo, di presentare tesi contrapposte a quelle sostenute negli articoli del giornalista. Almeno però, se la confusione non lo sommergerà, chi legge i volumi scalfariani si sentirà stimolato a porsi molte domande. Ad esempio, il romanzo moderno inizia con Rabelais, col Don Chisciotte o con i testi libertini del '700? Perché Scalfari di volta in volta cambia idea e... allora che sia il lettore a non cogliere il punto? La risposta di Bucci è un reciso no. Bisognerebbe, insomma, allegare un bugiardino ai testi scalfariani, perché sono molti i danni culturali in cui si incorre se li si leggono senza le adeguate precauzioni. Non affidarsi a lui, mai, si raccomanda Bucci. Nemmeno quando il giornalista indica come elementi caratterizzanti il romanzo moderno la pluralità dei punti di vista e la loro evoluzione, la rilevanza data all'introspezione e la tematica amorosa. Cito l'Auerbach di Mimesis richiamato da Bucci: a fondamento del romanzo moderno vi sono «da un lato, la rappresentazione seria della realtà quotidiana e il fatto che ceti sociali più estesi e socialmente inferiori siano assurti a oggetti di una raffigurazione problematico-esistenziale; dall’altro lato, l’inserimento di persone e di avvenimenti qualsiasi e d’ogni giorno nel filone della storia contemporanea, del movimentato sfondo storico». A questo punto poco importa che manchino riferimenti alla modernità nel campo delle arti figurative e della musica, e che si passi completamente sotto silenzio il postmodernismo. Anzi, forse quasi quasi è meglio. Queste righe offrono solo alcuni esempi del lavoro di scandaglio portato avanti da Bucci, che, mentre affonda la penna nelle pagine di Scalfari, irrobustisce il sistema immunitario del lettore medio (quello a cui il giornalista in sostanza si rivolge) grazie alle sue citazioni precise e chiare oltre che in forza di uno stile brioso e ironico. Ma ci vuole avvertire, il Sig. Bucci, che non abbiamo a che fare né con un intellettuale le cui interpretazioni possano avere un credito né con un serio divulgatore. E così facendo intende additarci l'ennesima delle tristi e avvilenti cadute emblematiche dell'attuale realtà culturale italiana. Perché, sapete, c'erano una volta i Meridiani...(già pubblicato, con varianti, qui: http://www.sulromanzo.it/blog/eugenio-scalfari-l-intellettuale-dilettante-di-francesco-bucci)