Eugenio Scalfari vede sfumare il futuro da senatore

Creato il 10 settembre 2013 da Uccronline

Il presidente Giorgio Napolitano ha recentemente nominato nuovi senatori a vita: Carlo Rubbia, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Claudio Abbado. Per quattro che entrano, tanti necessariamente vedono falliti i loro obiettivi.

Uno di questi è il celebre Eugenio Scalfari, fondatore di "Repubblica", un quotidiano che ha la capacità di plasmare buona parte della cultura del paese, quasi sempre in chiave laicista. "Lo zerbinaggio spregiudicato di Scalfari" ha commentato satiricamente "Dagospia", "ai limiti dello stalking, non è servito a nulla. Il povero Eugenio, dopo aver difeso strenuamente per mesi il suo unico padrone, re Giorgio, aveva messo un'ipoteca sulla nomina di senatore a vita". Francesco Borgonovo ha riassuntoquesti anni di zelante zerbinaggio di Scalfari, pur di accaparrarsi l'agognata poltrona.

Grazie ai quattro anni di "impegno" politico diretto nei socialisti, Scalfari si è garantito 2400 euro netti al mese di vitalizio dal 1984, cioè quasi 30mila euro l'anno che in 29 anni superano gli 850mila euro. Nel 1970, lo Scalfari parlamentare, al vigile urbano Gianfranco Baroni di Milano che gli contestava una contravvenzione, così: "Sarebbe meglio che lei facesse una cura ricostituente anziché contravvenzioni, perché lei non sa chi sono io! Io sono l'onorevole Scalfari".

Fino a qualche anno prima, esattamente come Dario Fo (uno che "rovina la gente", secondo lui), Scalfari era un militante della gioventù fascista. Lo ha raccontato Giancarlo Perna nella sua biografia non autorizzata "Scalfari - Una vita per il potere" (Leonardo editore, 1990), parlando della sua attiva collaborazione a "Roma fascista", il settimanale del movimento dove "si mette subito in luce. Per sei mesi la inonda di corsivi e articoli. Un paio di brani, tanto per capire. E' il 16 Luglio del 1942. Gli piace Mussolini. Ma la guerra va male. Ci sono critiche. Il ragazzo insorge: "Noi vogliamo fare del Partito la corporazione dello Spirito, simile a quella 'Decima Corporazione' delineata da D'Annunzio.. Noi siamo pronti a marciare, a costo di qualsiasi sacrificio, contro tutti coloro che tentano di fare mercimonio della nostra passione e della nostra fede. E ancora oggi è la stessa voce del Capo che ci guida e ci addita le mete da attingere". Titolo: "Aristocrazia"".

"Passa l'estate", prosegue Perna, "e gli viene il pallino dell'impero e della razza italiana. Il 24 Settembre esce l'articolo: "Volontà di potenza". "Gli imperi quali noi li concepiamo" scrive Scalfari con un sussiego che sopravviverà al crollo del regime "sono basati sul cardine di razza escludendo perciò l'estensione della cittadinanza da parte dello Stato Nucleo alle altre genti"". Il 10 dicembre 1942 Scalfari pubblica un nuovo editoriale intitolato "L'ora del Partito - Clima nuovo": "Il Partito Nazionale Fascista", scrive, "deve oggi soprattutto essere in linea per la resistenza e la vittoria, fra questi noi vogliamo essere in prima linea". Nel libro di Giancarlo Perna anche che "Scalfari-padre era massone. Una tradizione di famiglia. Eugenio ha i ritratti degli avi che indossarono il grembiulino appesi nella sua villa di campagna, a Velletri. Su ognuno c'è l'emblema massonico scalfariano: uno scudetto a due campi: uno con la scure e l'altro con il ponte (...). Con la caduta del fascismo (...) Pietro (padre di Eugenio) fu tra i fondatori della loggia locale". Un legame con la massoneria è stato svelato anche per il padrone di "Repubblica", Carlo De Benedetti, da parte di Ferruccio Pinotti in "Fratelli d'Italia" (Edizioni Bur): "De Benedetti risulta essere entrato nella massoneria a Torino, nella loggia Cavour del Grande Oriente d'Italia (GOI), "regolarizzato col grado di Maestro il 18 marzo 1975 con brevetto n.21272″ (Ansa, 5 novembre 1993)". L'informazione è accertata in quanto proviene direttamente dal Gran Maestro del Goi Gustavo Raffi, che lo ha dichiarato pubblicamente nel 1993.

Scalfari, detto Barbapapà dai suoi giornalisti, non è più direttore di "Repubblica" ma da buon moralista continua a regalare le sue domenicali omelie, interessato da sempre a contrastare la "questione cattolica che affligge il nostro paese". Lui che ritiene "immaturi" coloro che pensano "ad una causa prima" (cfr. "In cosa crede chi non crede", Liberal 1996), che nella sua autobiografia ha raccontato che "le prime esperienze vennero l'anno dopo, passarono attraverso il noviziato dell'epoca che si faceva al bordello. Noviziato che fu all'inzio disastroso, ma ci tolse almeno un po' della timidezza" ( "L'uomo che non credeva in Dio", Einaudi, p. 28) e che stoicamente ha confessato "la dura fatica della bigamia" (e sopratutto del rispetto delle donne!), proprio non la sopporta l'etica cattolica.

Pazienza, forse sarà contento però del fatto che un saggista affermato come Francesco Bucci ancora non è riuscito a far pubblicare un libro di critica al suo pensiero filosofico (non politico): "Eugenio Scalfari, l'intellettuale dilettante" è il nome del libro che nessun editore ha avuto il coraggio di pubblicare per non infastidire il gruppo Espresso-Repubblica. L'autore, dopo vari tentativi, si è rivolto ad un'agenzia letteraria di medie dimensioni chiamata "Bottega editoriale" per agevolare la pubblicazione. Ma anche in questo caso non c'è stato nulla da fare, tanto che l'agenzia stessa ha deciso di diffondere un comunicato stampa: "Ci siamo trovati dinanzi ad una situazione del tutto nuova: diversi editori ci hanno risposto dicendo che il testo era valido, ma non volevano pubblicarlo. Perché? Qualcuno ce l'ha detto direttamente (ma solo rigorosamente a voce...); qualcun altro ce l'ha fatto capire, guardandosi bene però dal dichiararlo. La sostanza, comunque, era uguale: perché mettersi contro il "Partito di Repubblica"? Eppure, il testo, lo ribadiamo, veniva nella gran parte dei casi giudicato valido. Poniamo questo quesito sull'"intoccabilità" di Scalfari, proprio alla vigilia del "Salone Internazionale del Libro di Torino" nella speranza di un ripensamento da parte di qualche coraggioso editore italiano".

Eppure qualcuno, oltre a Perna, è comunque riuscito a scrivere qualcosa su Barbapapà. E' un suo amico, uno che ha lavorato per anni a stretto contatto con lui, vicedirettore di "Repubblica" per 14 anni: Giampaolo Pansa. "Per Scalfari", , "avevo provato, e provavo ancora, una grande ammirazione. Un tempo anche come uomo. Oggi soltanto come insuperabile professionista [...]. La sua figura si è allontanata molto dalla mia vita. Non leggo i lunghi editoriali della domenica, però non ne avverto la mancanza. Li trovo inutili perché sempre ispirati a un partito preso. Temo, per lui, che a contare sia soprattutto il giornale che le stampa: lo strapotente foglio repubblicano guidato da Mauro. Ma è possibile che a Eugenio non importi nulla. Come tutti i signori anziani, me compreso, lui è sensibile soltanto agli omaggi. Specialmente se gli vengono dalle signore dei talk show, come Lilli Gruber e Serena Dandini. Oppure dagli articoli enfatici di Barbara Spinelli, esempio di adulazione concettosa e sempre eccessiva. Spero che Scalfari, arrivato alla gloriosa età di 88 anni, non si adonti se lo colloco nel girone dei bolliti".

La redazione

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