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Eurexit: fact-checking alla proposta M5S

Creato il 09 dicembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Il Movimento 5 Stelle si è recentemente espresso a favore di un’uscita dall’Euro e ha lanciato la propria piattaforma online con materiale esplicativo, in vista della raccolta firme che partirà il 13 dicembre. Abbiamo deciso di approfondire alcuni profili giuridici ed economici, per valutare la fattibilità e la convenienza della cosiddetta Eurexit.

Come si esce dall’euro?
La sezione del sito Eurexit cita un illustre precedente: il referendum consultivo promosso dal Movimento Federalista Europeo volto a chiedere che, in concomitanza con le elezioni del 1989, i cittadini si esprimessero sul conferimento al Parlamento Europeo di un mandato costituente. Venne chiesto, insomma, di dire “sì” o “no” a una maggiore integrazione europea, verso gli Stati Uniti d’Europa. Il precedente è citato impropriamente. Tuttavia, analizziamo prima cosa indica la Costituzione riguardo al referendum. La Legge Fondamentale ne prevede uno abrogativo e lo vieta sui trattati internazionali (questo perché il costituente ritenne che gli impegni internazionali non dovessero essere abrogati da consultazioni popolari, per ragion di credibilità) e uno confermativo su riforme costituzionali approvate dal Parlamento, nei casi indicati dall’articolo 138. Manca, insomma, quello consultivo. Ecco perché l’iniziativa federalista dell’89, per essere accolta, necessitava di una legge costituzionale che inserisse il referendum consultivo. Il Parlamento di allora fu sensibile alle istanze federaliste e la approvò. Ma quella legge si riferisce alla sola consultazione dell’89. Non ha introdotto una volta per tutte il referendum consultivo e il M5S dovrebbe oggi riuscire ad approvarne un’altra. Ipotesi difficile, dati i suoi numeri in Parlamento, anche se dovessero raccogliere le 50000 firme necessarie per la legge di iniziativa popolare (la legge costituzionale ha bisogno di maggioranze più alte, in aula).

Ma è vero che l’euro ci ha rovinati?
L’ipotesi non è da prendere sotto gamba, né da denigrare a prescindere. Anzi, essa costituisce un ottimo stimolo a riflettere sulle cause profonde della nostra adesione alla moneta unica. Vi sono tuttavia ragioni concrete che suggeriscono che l’Eurexit avrebbe effetti catastrofici sull’economia italiana, sia nella fase di transizione dall’Euro alla nuova moneta sia in una seconda fase di lungo periodo.

Sul sito del Movimento si scrive che le casse dello Stato sono strangolate dagli interessi sul debito, più che dalla reale spesa pubblica. In effetti, l’Italia ha un deficit primario positivo, che diventa negativo proprio a causa dell’accumularsi di debito e della conseguente spesa per interessi. Il trend è preoccupante perché suggerisce che il nostro debito è al momento poco sostenibile. Tuttavia, dobbiamo ricordarci i motivi profondi dell’accumularsi di tale debito. Una spesa pubblica impazzita negli anni ’70-’80 ha contribuito a creare un debito insostenibile se non attraverso la svalutazione della moneta e il calo degli interessi reali tramite inflazione, portando l’Italia a pagare interessi sul debito stabilmente sopra al 10%. E’ questa la ragione primaria per cui decidemmo di entrare nell’Euro: perché il mondo non si fidava, giustamente, delle nostre politiche fiscali e monetarie. L’ingresso nell’Euro ci ha garantito un periodo piuttosto lungo di interessi bassi che non siamo stati in grado di sfruttare, fino alla famosa crisi dello spread. In sintesi, se il problema sono gli interessi, allora l’Euro è una soluzione, non una condanna. Tant’è che ora, in un momento non certo brillante per l’andamento della nostra economia, finanziamo il nostro debito mediamente al 2%, che è un tasso decisamente contenuto. Se invece l’idea è di uscire dall’Euro, dichiarare il fallimento e ripartire da zero, dovremmo poi fare i conti con un mercato globale sicuramente poco incline a prestarci denaro, soprattutto a tassi bassi come quelli attuali.

In secondo luogo, il Movimento attribuisce all’Euro la responsabilità di aver concorso a scoraggiare la competitività delle nostre imprese, sostenendo che un’eventuale uscita sarebbe sufficiente a rinvigorire la nostra economia. Ovviamente, la nostra uscita dall’Euro potrebbe contribuire a rilanciare la nostra produttività rendendo i prodotti delle nostre aziende meno cari sui mercati internazionali e stimolando il nostro export. C’è però un’altra faccia della medaglia: se la tua moneta vale di meno, le importazioni costeranno di più. Nello specifico, dobbiamo immaginare che le aziende italiane subirebbero un aumento dei costi dovuto ad aumento dei prezzi dell’energia e delle materie importate. Dunque, sarebbe l’ultimo fattore di produzione, il lavoro, a stimolare la nostra competitività: se i salari reali (i salari nominali al netto dell’inflazione) diminuissero a sufficienza da compensare l’aumento dei costi appena descritti, allora la nostra economia ne gioverebbe in termini di competitività. Bisogna però che si spieghi a milioni di lavoratori che il loro salario reale diminuirebbe, in tal caso, di circa un quarto. Inoltre, è ovvio che una competizione al ribasso (sui prezzi e non sulla qualità) non si addice a un’economia come quella italiana, che dovrebbe piuttosto puntare a produrre prodotti di alta qualità, supportati adeguatamente da una moneta forte. Se si pensa di poter competere sui prezzi con realtà come Cina, Bangladesh o Vietnam sul mercato globale attraverso qualche artificio monetario, si rischia di andare incontro a grandi delusioni. Meglio sarebbe concentrarsi su politiche che stimolino la nostra bassa produttività, vero fardello dell’economia.

Sulla competitività c’è inoltre da aggiungere che le nostre grandi aziende (Fiat, Eni, Enel), anche a partecipazione statale, emettono sul mercato obbligazioni denominate in euro in altri paesi e sottoposte a leggi di altre giurisdizioni. Un’uscita dall’Euro le costringerebbe a rinegoziare i propri debiti coi creditori, ponendoli con grande probabilità in una condizione di insolvenza, con tutto quello che ne consegue, sia in termini occupazionali, sia per le casse dello Stato.

Infine, è importante porre l’accento sulla fase di transizione da una moneta, l’Euro, a un’altra. E’ opportuno infatti chiedersi che cosa succederebbe in questa fase. Centrale è il ruolo delle aspettative: se, come è prevedibile, l’uscita dall’Euro fosse anticipata da un periodo di transizione, assisteremmo a una fuga di capitali all’estero e a un ritiro dei depositi bancari (altrimenti esposti a una perdita di valore della stessa entità della svalutazione). Per esempio, se noi decidessimo di svalutare la nuova moneta del 30% rispetto all’Euro, un risparmiatore razionale potrebbe ritirare i propri denari in euro dalla banca e realizzare un ritorno del 30% nella notte di passaggio dall’Euro a un’altra valuta. Questo porterebbe a un collasso bancario, con conseguente congelamento del credito. Esemplificativo, a questo proposito, è il caso dell’Argentina, che nella sua fase di transizione chiuse le banche. Il risultato fu che l’economia argentina ricominciò a crescere dopo la svalutazione, ma il costo della transizione fu pari al 25% del Pil. In ogni caso, anche i fatti recenti legati all’economia argentina suggeriscono che non basta cambiare moneta per cambiare i problemi strutturali di un Paese, che riemergono puntualmente nel medio-lungo periodo.

FAQ
In questa sezione della piattaforma, c’è spazio per qualche via alternativa all’uscita dall’euro, ancorché le risposte spingano verso l’Eurexit. Tra le altre, si distingue quella dedicata alle riforme sui trattati esistenti, più che sulla loro demolizione. Proprio perché più complesse di una scelta aut-aut che il referendum avrebbe per sua natura, queste riforme muovono nella direzione della nota flessibilità. Principalmente, Eurobond e revisione del Fiscal Compact: con i primi, l’Unione potrebbe investire indebitandosi (ad oggi l’Ue ha debito zero, dunque le sue obbligazioni avrebbero valutazione AAA), con la seconda a Bruxelles si potrebbe pensare ad una politica economica anticiclica. Situazioni più strutturate e complesse, come la materia richiede, e in contraddizione ontologica con l’uscita dall’Euro.

di Andrea Cerrato e Lorenzo Berto

Tags:Bruxelles,eurexit,euro,euroscetticismo,Grillo,m5s,The E Justice Next post

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