Di Consiglia Grande. L’agenda di Mario Draghi sembra sempre più quella di un operatore delle istituzioni che ha un vuoto politico da colmare. Lo testimoniano la visita di Matteo Renzi in elicottero alla sua casa delle vacanze in Umbria; le telefonate con Angela Merkel e e la visita all’Eliseo dal capo dello stato francese François Hollande. Costui ritiene che l’euro resti di gran lunga troppo forte, sebbene in primavera abbia dimostrato di stare calando. Eppure alla Francia e agli esportatori italiani non può bastare il calo del 5,3% dai picchi di 1,39 di inizio maggio.
Draghi sa bene che un maggior deprezzamento della moneta potrebbe risolvere problemi senza eccessivi costi politici. La questione sarà affrontata giovedì a Francoforte, sul tavolo del consiglio direttivo della Bce. D’altronde, nella gestione del tasso di cambio, il problema rimane sempre il medesimo:le falle politiche di Eurolandia, che la Bce cerca di riempire supplendo il vuoto politico dei governi. Il livello dell’euro rispetto alle altri grandi valute sarebbe una competenza condivisa fra la Bce e i leader dei Paesi dell’area, ma questi ultimi sembrano incapaci di esprimere un orientamento: hanno posizioni troppo diverse fra loro.
La Bce al momento ha difficoltà a proporre vendite dirette di euro in cambio di dollari. In realtà le banche centrali europee sulla questione sono già intervenute in tempi recenti: Nel novembre del duemila l’Eurotower, la Fed ed altre banche centrali irruppero insieme sui mercati per comprare euro, caduto a 0,82 sul dollaro, asserendo che non ne avrebbero più tollerato un’ulteriore scivolata. Ora però se la Bce si muovesse da sola, senza l’assenso della Fed, verrebbe accusata di violare il patto (informale) fra banche centrali del G7 di non interferire mai con le monete degli altri.
Draghi però è consapevole che Eurolandia ha bisogno di questi interventi isolati. Per cui la Bce vuole far vendere al mercato euro, acquistando dollari. Il mercato quindi ha chiesto un taglio dei tassi della Bce. Quello principale scenderebbe da 0,15% a 0,05%. I prestiti al momento sono a buon mercato, per cui molte grandi private sarebbero spinte a finanziarsi in Bce e poi a vendere euro per investire a rendimenti più alti in dollari, in sterline, in real brasiliani o in rand sudafricani. È quello che i tecnici chiamano “carry trade”: indebitarsi in una valuta che richiede bassi tassi d’interesse e investire in titoli a reddito fisso in un’altra valute che offre più interessi più alti. La valuta di finanziamento perde valore perché viene venduta in modo sistematico.
Ma tutto questo riuscirà a bloccare la scivolata verso la deflazione ?