Dopo un agosto da paura nelle borse europee e italiane, in cui i mercati hanno dimostrato ancora una volta il potere di infrangere tutte le regole lì dove queste sono state create per essere infrante; dopo una lunga lotta tra paesi decadenti (Spagna, Italia, Portogallo, Irlanda e Grecia) e quelli più “virtuosi (Francia e Germania) si scopre che molti dei politici europei hanno in serbo il germe del pessimismo nei riguardi del futuro dell’euro e dell’eurozona.
Eccone alcuni ben impostati dal sito di Zerohedge:
- Stephane Deo, Paul Donovan, and Larry Hatheway of Swiss banking giant UBS: “Under the current structure and with the current membership, the euro does not work. Either the current structure will have to change, or the current membership will have to change.”
- EU President Herman Van Rompuy: “L’Euro non ha mai avuto le infrastrutture necessarie che che richiede”
- Deutsche Bank CEO Josef Ackerman: “Non è‘ un segreto che numerose banche europee non sarebbero in grado di sopravvivere se rivalutassero il debito da loro posseduto nei conti”
- ECB President Jean-Claude Trichet: “We are experiencing very demanding times”
- International Monetary Fund Managing Director Christine Lagarde: “Gli sviluppi di questa estate hanno indicato che stiamo andando in una zona pericolosa (riferendosi all’euro)”
- Prince Hermann Otto zu Solms-Hohensolms-Lich, the Bundestag’s Deputy President: “Dovremmo considerare se non sarebbe meglio per l’Unione Europea e per la Grecia ristrutturare (manca un punto essenziale: ristrutturare a favore di chi?) il debito e quindi uscirne”
- Alastair Newton, a strategist for Nomura Securities in London: “We believe that we are just about to enter a critical period for the eurozone and that the threat of some sort of break-up between now and year-end is greater than it has been at any time since the start of the crisis”
- Former German Chancellor Gerhard Schroeder: “The current crisis makes it relentlessly clear that we cannot have a common currency zone without a common fiscal, economic and social policy”
- Bank of England Governor Mervyn King: “Dealing with a banking crisis was difficult enough, but at least there were public-sector balance sheets on to which the problems could be moved. Once you move into sovereign debt, there is no answer; there’s no backstop.”
- George Soros: “We are on the verge of an economic collapse which starts, let’s say, in Greece. The financial system remains extremely vulnerable.”(ha parlato uno dei maggiori fautori della crisi della lira del 1992)
- German Chancellor Angela Merkel: “The current crisis facing the euro is the biggest test Europe has faced for decades, even since the Treaty of Rome was signed in 1957.”
- Professor Giacomo Vaciago of Milan’s Catholic University: “It’s clear that the euro has virtually failed over the last ten years, even if you are not supposed to say that.”
- EU President Herman Van Rompuy: “We’re in a survival crisis. We all have to work together in order to survive with the euro zone, because if we don’t survive with the euro zone we will not survive with the European Union.”
- German Chancellor Angela Merkel: “If the euro fails, then Europe fails.”
- International Monetary Fund Managing Director Christine Lagarde: “There has been a clear crisis of confidence that has seriously aggravated the situation. Measures need to be taken to ensure that this vicious circle is broken”
- German Chancellor Angela Merkel: “L’euro è in pericolo… se non troviamo un accordo le conseguenze per noi in Europa sono incalcolabili”
E’ pacifico che i soggetti suesposti, molti dei quali interessati alle sorti dell’euro, abbiano ben presente il futuro che si profila davanti all’Europa, Italia compresa.
In questo pensiero macroeconomico, del quale non vediamo una via d’uscita se non quella di ripudiare il debito, appaiono all’orizzonte delle nuvole minacciose che si stanno assiepando in una parte del mondo che è sempre stata quella più delicata negli equilibri strategici dell’occidente. Parliamo del medio-oriente e di tutte quelle nazioni che, ad opera dei vincitori della seconda guerra mondiale, sono state create dal nulla; di fondo nazioni fantoccio, i cui confini, rivisti nei diversi trattati, hanno sovvertito le popolazioni, le culture e le abitudini. Basti pensare a tutta la fascia mediterranea dal Marocco alla Siria per comprendere che all’epoca della suddivisione l’unico interesse che animava i futuri vincitori era il controllo delle risorse energetiche e geopolitiche di quella parte di mondo occidentale nei riguardi del blocco sovietico impedendo di fatto all’URSS di potersi affacciare alle sponde del Mare Nostrum e il controllo delle risorse immense del continente africano.
A distanza di 66 anni (un bel numero cabalistico, per chi ci crede) i fatti contingenti non fanno sperare che quanto creato allora abbia ormai raggiunto un equilibrio tale da rasserenare gli animi dei diversi popoli. Le così dette primavere arabe, sono una rappresentazione di come alcune forze estranee al Mediterraneo intendano procedere per riordinare gli equilibri ridisegnando, con molta probabilità, l’intero panorama sud europeo. Gli avvenimenti a cui assistiamo ormai da anni in quell’area e così pure in Europa, non possono non far pensare che a guidare determinati sovvertimenti nazionali siano gli stessi stati oggetto delle rivoluzioni interne. La Libia, come la Siria, l’Egitto, la Tunisia sono emblematici per farci capire che a soffiare non è la coscienza del popolo, perché questo è un falso assoluto. Nessun popolo della terra ha mai cambiato nulla se non spinto da altri, forniti di mezzi economici e finanziari tali da sostenere le spese necessarie alle rivoluzioni.
In un quadro così desolante che vede l’Europa ridotta a scendiletto dei mercati finanziari, il cui unico scopo è solo il profitto a danno della cultura e della morale di ogni popolo, il medio-oriente in subbuglio è pronto per un cambio estremo che ci porterà ad assistere da attori passivi, ma anche attivi in quello che tra poco tempo molto probabilmente accadrà.
Nel frattempo si osserva che Israele così come la stessa Italia ha subito un “downgrade” da parte delle note agenzie di “rating”. Svalutazione tanto peggiore quanto il fatto che a farla è stata proprio un’agenzia americana la Standar & Poor e se teniamo conto che il 28% delle esportazioni israeliane prende la strada degli Usa e un altro 30% viene esportato in Europa, la cosa si complica non poco. Il 7 agosto passato la borsa di Israeliana ha perso il 7% nel silenzio stampa europeo.
Qualche giorno fa un responsabile dell’IDF israeliano ha menzionato che le tensioni in corso in medio-oriente potrebbero portare Israele ad usare, localmente, delle armi di distruzione di massa e nel frattempo le tensioni tra Turchia e Israele sembrano non trovare quella pace che c’era prima del massacro compiuto l’anno scorso sulla Mavi Marmara: il blocco delle attività congiunte militari e la dura risposta di Erdogan alle pseudo scuse israeliane, l’espulsione dell’ambasciatore israeliano dalla Turchia e l’ultimo assalto in Egitto dell’ambasciata Israeliana, paiono puntare ad una serie di scenari futuri poco rosei.
Nel frattempo le richieste di Abu Mazen di far riconoscere lo stato Palestinese alle Nazioni Unite come membro permanente, mette in tensione quella sottile corda spesso strappata dalla codardia israeliana di pretendere più terra di quel che in effetti necessita, rubandola alle popolazioni palestinesi ormai ridotte allo stremo. I fatti dimostrano che Germania ed Inghilterra voteranno contro, così come farà anche l’Italia, rappresentata dal sionista di Frattini, il rimanente dell’Europa voterà quasi certamente per un percorso diplomatico: “Continuiamo a credere che sia l’unico modo per raggiungere la soluzione dei due Stati che il popolo palestinese auspica” è strano come funzionino certe cose: 66 anni fa fu creato lo stato di Israele in maniera unilaterale ma le Nazioni Unite lo ammise subito come membro permanente.
Il nostro inviato Pagliara, sionista pure lui, ci invia invece una pagina palestinese all’ultimo grido, carica di lustrini, di ricchezza e di palazzi in via di costruzione, con attività frenetiche di un popolo tutto sommato “senza grandi problemi”. L’immagine è quindi quella di una popolazione palestinese che non necessita di chissà quale diritto, perché a vedere le immagini e a sentire le parole di Pagliara i palestinesi stanno effettivamente bene: hanno lavoro, denaro, case, tutti i generi di prima necessità, divertimenti e quant’altro: cosa serve chiederne il riconoscimento? Anche lui, ben foraggiato dai servizi, propone la cosi detta hasbara (הסברה )
ovvero quel sistema di disinformazione che umilia l’avversario ingigantendo quella parte di informazioni che dimostrano l’esatto contrario della realtà.
Dall’altra parte del Mediterraneo la Turchia procede a grandi passi nella diplomazia bruciando anche quelle europee e colonialiste di Francia e Inghilterra. Erdogan non si lascia intimidire dai grandi della Terra e propone a tutto campo un fermo rifiuto alle sollecitazioni di Usa, Europa ed Israele di porre il veto all’Onu. Erdogan ha dichiarato più volte, anche in occasione della sua visita al Cairo, che è un diritto umano assoluto il riconoscimento dello stato della Palestina e che nessuna nazione si deve sottrarre al suo riconoscimento alle Nazioni Unite. Nel suo viaggio al Cairo ha poi tessuto rapporti commerciali e “militari” con il nuovo governo, al quale ha fatto seguito la risposta del Primo Ministro Essam Sharaf affermando che l’accordo di pace con Israele non è un diritto sacro e che potrebbe essere variato per il bene della regione egiziana. (“The Camp David agreement is not a sacred thing and is always open to discussion with what would benefit the region and the case of fair peace … and we could make a change if needed,”)
Ci troviamo quindi in una situazione di estrema difficoltà, dove le nubi di una guerra incombente sono sempre più minacciose, dove le economie mondiali si sono fatte deboli e le riprese economiche tardano ad essere il motore dello sviluppo umano (non ci credo, ma fa figo dirlo). In Europa, come sopra detto, quasi tutti gli economisti sono concordi che la via migliore per uscire da questa “impasse” economica e finanziaria (direi più finanziaria e conseguentemente economica) sia la ristrutturazione del debito pubblico o per altri un taglio netto con l’eliminazione del debito stesso. Non parliamo della situazione italiana perché già molti hanno le soluzioni ideali e tra queste ovviamente ci si mette anche il noto gufo finanziario Roubini e il massone di Mario Monti, osannato e portato in palmo di mano dai vari Goldaman Sachs, dalla Merkel, da Sarkozy e dagli altri amici con il grembiulino. (L’obbiettivo è semplicemente lo spezzatino della nostra terra con tutto quello che ci sta sopra e come ebbero a fare dal 1992 ad ora, adesso la pretesa di questi signori è quella di concludere quanto iniziato, ma ad un prezzo ancor più basso, visto il debito.), ma di quella più generale dell’Europa che secondo alcuni, potrebbero mancare pochi mesi se non giorni. Il fatto più inquietante è che all’ultimo secondo è arrivato il 7° Cavalleggeri a salvare il fondo schiena di qualcuno (Banche Francesi o Bank of America). Infatti stando alle ultime giornate di borsa s’è potuto verificare una cosa alquanto bizzarra visti i debiti in pancia: BNP Parisbas +22%, Credite Agricole +10%, Sociètè Generale +1,27%. Perché? La risposta è semplice, ovvero si sta pompando liquidità sulle banche maggiormente esposte nei riguardi di alcuni debitori e sui vari depositi in dollari: Bce, Fed e Boj pompano dollari nell’area euro. Gli istituti di credito internazionali (BCE, FED, BoE, BoJ, SNB) pronti a fornire liquidità all’Europa.
E’ evidente pertanto che dopo questa iniezione di liquidità si sta giocando con la credibilità delle diverse banche centrali. Stanno infatti circolando notizie circa la possibilità che l’Europa metta a punto un sistema simile a quello utilizzato in Usa per salvare le porcate dei banchieri e della Fed.
Il sistema prevedeva che la banca centrale acquistasse gli assetti tossici delle banche. Cosa che avvenne con puntualità. Lo stesso Timothy Geithner (sionista con doppio passaporto), segretario del Tesoro Usa, suggerisce ad una soluzione del genere per la banca centrale europea. Il fatto stesso che alcune banche francesi abbiano avuto un incremento molto elevato è una spia sui piani europei di un sistema finanziario ormai agli sgoccioli. La realtà vuole però che prima che bruci la baracca si tolgano dal fuoco iniziale tutte le opzioni che hanno portato a guadagni stellari banche, gruppi speculativi e finanziari. Ovviamente tutto questo sistema di ingegneria finanziaria non ha alcun riflesso sulle economie reali che anzi si vedranno costrette a limitare le proprie attività proprio a causa delle furbate finanziarie e per la mancanza di liquidità tutta impegnata in acrobazie speculative. I guadagni andranno solo da una sponda, mentre nella realtà l’azienda di Mario Rossi avrà difficoltà ad ottenere una linea di credito e sarà spinta a chiudere con evidente danno per la nazione e per i servizi sociali che ne derivano.
Può quindi l’euro in uno scenario del genre poter avere speranza? Assolutamente no! Esso, così come accade con lo SME, sarà costretto a chiudere i battenti e distribuirà a tutte la nazioni partecipanti i saldi negativi delle scorrerie della criminalità bancaria e finanziaria.
C’è quindi l’opzione della guerra in atto nel medioriente, guerra che sarebbe salvifica per quelle banche con le mani in pasta e con bilanci negativi, guerra che porterebbe incassi migliori, in cui le negatività di bilancio verrebbero distribuite nelle evidenti soluzioni debitorie degli stati con misure draconiane spingendo ad una austerità globalizzata.