Europa: la croazia continua a crederci

Creato il 05 febbraio 2012 da Pasudest
Di Marina Szikora [*]Recentemente ho accompagnato il leader radicale Marco Pannella a Zagabria. Il suo ritorno in Croazia ha risvegliato ricordi emozionanti: vent’anni fa, il Capodanno di Osijek, trascorso nelle trincee sotto gli attacchi dell’aggressore, in divisa croata come segno di solidarietà, da non violento, insieme ai compagni radicali per chiedere l’immediato cessate il fuoco e il riconoscimento internazionale della Croazia indipendente. Sin da quei giorni così duri, bagnati di sangue e dell’ingiusta interruzione di molti ideali e progetti giovanili, la Croazia sognava un sogno unico: essere uno stato indipendente ed europeo, far parte della vecchia signora Europa cui da sempre apparteneva.
Per tutti questi anni, affrontando un destino consueto per molti paesi in transizione, con tante debolezze, frustrazioni, pur sempre appesantita dalle conseguenze della guerra (ancor oggi il Paese non è tornato al livello economico di prima della guerra), durante un processo di negoziati di adesione così lungo e sfiancante, il più lungo rispetto a tutti gli altri paesi che oggi fanno parte dell’Ue, la Croazia è rimasta fedele al suo obiettivo europeo. Alla domanda, come la trova oggi, questa Croazia rispetto a quel paese per la cui libertà e riconscimento lottava con le armi della nonviolenza, Pannella ha risposto fermamente: proprio così come me la immaginavo, incamminata con successo verso l’Europa, non quella delle patrie ma quella della Patria europea.
Forse, sapendo con quanta lealtà verso l’Europa la Croazia ha affrontato tutte queste difficoltà, non dovrebbe sorprendere l’esito del referendum dello scorso 22 gennaio che ha visto la vittoria del Sì croato all’Ue. In un momento così particolare per questa Unione così debole e nel più profondo della sua crisi, il voto croato dovrebbe risvegliare l’attenzione di tutti quelli in Europa che forse consideravano questo Paese marginale e di poco conto: il prossimo 28-esimo paese membro dell’Ue forse catturerà l’attenzione e permetterà un momento di riflessione seria: sì, ci sono ancora quelli che vogliono credere nell’Europa, forse più che mai nell’Europa dei suoi fondatori. Secondo me, non importa in questo momento la più bassa affluenza alle urne dei cittadini croati rispetto alle altre nazioni delle precedenti adesioni. Domani questo si dimenticherà…
Le spiegazioni del perché sono diverse. La più facile è quella che deriva dalle preoccupazioni per quello che accade nelle vicinanze: a partire dalla durezza ungherese, per non parlare dell’ormai incancrenita situazione greca, aggiungendovi la gente in piazza in Romania… E poi l’Italia, il Bel Paese che per i croati è sempre stata la destinazione preferita. Le rigidità di Regno Unito e Francia, che storicamente non hanno mai optato a favore della Croazia. Il costante pensiero: che cosa comporta l’ingresso nel club dei 27? La perdita dell’identità nazionale che è stata conquistata con così tanto sangue e sudore? Quasi sette anni di un processo così frustrante e con condizionamenti che non sembravano finire mai, la delusione verso il Tribunale dell’Aja per i crimini commessi in ex Jugoslavia. Comprensibilmente, tutta questa confusione desta preoccupazione e molti dubbi. E poi, nell’ultimo mese prima del referendum, molto molto chiasso da parte degli euroscettici entrati in gara contro la campagna di tutti i partiti parlamentari.
Altra spiegazione: a differenza degli altri paesi finora aderenti, la Croazia ha avuto le elezioni parlamentari solo poco meno di due mesi fa. Oltre le aspettative, i cittadini della Croazia ormai stanchi di otto anni di un governo i cui più alti rappesentanti devono rispondere per diversi scandali di corruzione, a partire dall’ex premier Ivo Sanader, avevano risposto con una alta partecipazione al voto scegliendo con una maggioranza netta la coalizione dei partiti della sinistra guidati dall’attuale premier Zoran Milanović. Va sottolineato che nel Parlamento sono entrati tutti i partiti proeuropei, e soltanto un seggio è stato affidato alla parlamentare il cui partito si oppone all’ingresso della Croazia nell’Ue, almeno per ora. In questo senso, già questo è stato un forte Sì degli elettori croati al futuro europeo del loro Paese.
Infine, un altro particolare da tener presente: un dato bizzarro che per anni ha sorpreso l’opinione pubblica croata e questa volta non è stato trascurato nemmeno dalle agenzie di stampa internazionali: oltre quattro milioni e mezzo di elettori in uno stato che secondo l’ultimo censimento di fine giugno 2010 conta appena 4,2 milioni di abitanti. Si tratta senza dubbio di una rarità in termini mondiali. Il nuovo governo di coalizione intende già da quest’estate adottare le modifiche della Legge sulla residenza e permanenza dei cittadini:ciò consentirebbe di aggiornare entro la metà del 2013 e la data delle elezioni locali il numero degli elettori. Proprio per questo particolare così bizzarro, la percentuale reale dei votanti a questo referendum europeo sarebbe più alta rispetto al 43,51% dei dati ufficiali della Commissione elettorale statale.
Il segnale dato all’Europa, in ogni caso, è forte. Nessuno nel Paese si attende miracoli o miglioramenti dall’oggi al domani. ”Per la Croazia, soprattutto per il governo, quello attuale e qualche futuro, il risultato del referendum è un obbligo grande e difficile a continuare le rifome e far sì che la Croazia sia completamente compattibile con gli alti standard in tutti i settori della vita. Soltanto così potrà affronatare i cittadini che hanno votato CONTRO e dire loro che avevano temuto l’Europa ingiustamente. è importante che la Croazia, e soprattutto il potere, non siano presi da un esagerato euroottimismo, dalle aspettative che l’Ue di per se sarà la medicina per tutte le nostre debolezze. L’Europa ci sarà utile così come saremo in grado di lavorare”, ha scritto il presidente croato Ivo Josipović.
Ed è assolutamente vero: è solo l’inizio, le nostre speranze e l’ottimismo che pur esistono devono diventare azione e risultato. Ne saremo all’altezza? Dipende da noi, ma dipende anche dall’Europa, se saprà riconoscerci e valutarci. Noi ci crediamo quando molti sembrano non crederci più.
[*] Corrispondente di Radio Radicale, collaboratrice di Passaggio a Sud Est. Questo articolo è stato pubblicato in origine su Libertiamo.It

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