La mia modesta opinione in questo caso sembra validamente confortata da una parte consistente della stampa internazionale e dai commenti degli economisti più autorevoli: per citare i più conosciuti, Paul Krugman (Nobel economia 2008) sul New York Times, Jaques Sapir su Le Monde, Wolfgang Munchau su Der Spiegel (in rete potete trovare traduzioni integrali dei loro articoli). Il succo di questi interventi, largamente ignorati in Italia, è che l'elettorato ha premiato – a mio avviso inconsapevolmente - le forze politiche “euroscettiche” e contrarie all'austerità (di fatto Pdl e M5S) relegando in minoranza l'asse europeista subalterno agli interessi tedeschi (Monti e la sinistra). Ma le élite del nostro paese nel loro insieme - classe politica, lobbies finanziarie, stampa, intellettuali - sembrano afflitte da quella che potremo definire “sindrome di Ceaucescu”; essa consiste in quell'attitudine inconscia e al contempo ostinata, a finire per credere alla rappresentazione della realtà, distorta e per lo più falsa, che si è propagandato per cementare il proprio potere, usque ad sanguinis effusionem (nel caso di Ceaucescu non solo metaforicamente). Bastava sentire l'altra sera la surreale conversazione tra Mieli e Veltroni coi ciambellani di “In onda”, Porro e Telese, per rendersene conto...Naturalmente c'è una specularità tra la ricostruzione dello strabiliante risultato di M5S che l'intellighenzia ci propala con pervicacia e le motivazioni profonde dell'elettorato italiano che, a mio avviso, ha votato in massa M5S in maniera più istintiva che cosciente. Tendo a pensare che l'odio per la casta e le ruberie pubbliche, la mancata riduzione del numero dei parlamentari, dei loro privilegi, il mancato rinnovamento della politica e via discorrendo, siano stati un'arma potente in mano a Grillo e al suo movimento che ha attirato milioni di voti in nome della purificazione del sistema politico; ma ritengo che il motivo principale per cui M5S sia diventato il primo partito italiano risieda in una causa più recondita e ancora del tutto oscura per i ceti dirigenti a ulteriore dimostrazione della sindrome di cui sopra: la paura di un intero popolo, trasversale alle classi sociali e alle fasce anagrafiche, evidente a tutti tranne a chi vive in un mondo dorato e chiuso in se stesso, causata da una delle crisi economiche più devastanti che si ricordi a memoria d'uomo. Ora è probabile che una larga maggioranza degli elettori che ha votato Grillo, creda beatamente che tale crisi discenda direttamente dagli ammanchi di denaro causati dalla corruzione e dai costi della politica, dalla spesa pubblica improduttiva, finendo essa stessa per bersi le amenità sesquipedali che le classi dirigenti hanno ampiamente diffuso a mezzo di un sistema massmediatico largamente asservito agli interessi dominanti. In ciò c'è qualcosa di comico e, in fondo, di giusto: chi di amenità ferisce di amenità perisce.... ed in questa nemesi storica, le stesse menzogne con cui si è imbeccato il popolo italiano, si ritorcono oggi contro chi le ha prodotte. Infatti in questa prima settimana postelettorale il confronto tra i tre poli (sopratutto tra Grillo e PD) si è incentrato sui nodi “mancati” dalla passata legislatura: leggi anticasta, riforme, taglio dei costi della politica, conflitto d'interessi, etc Sporadicamente sono emersi i veri temi, per troppo tempo ignorati vergognosamente dal dibattito pubblico: questione europea, fiscal compact, permanenza nell'euro; ma questi sono stati declinati in maniera per lo più erronea, purtroppo anche da Grillo. Molti economisti e lo stesso FMI stanno da tempo sostenendo che la recessione continentale è sopratutto legata all'indebitamento privato, non pubblico, (segnatamente al Debito Netto con l'Estero, registrato nelle Partite Correnti della bilancia dei pagamenti) e alle rigidità create dalla moneta unica realizzata in un contesto di economie nazionali profondamente diverse tra di loro (teoria delle Aree Valutarie Ottimali, Mundell e altri); quindi diluire i tempi del fiscal compact (Bersani) o ricomprare il debito pubblico collocato all'estero (Grillo), rischiano di essere poco più che pannicelli caldi. Per non dire che un referendum sull'Euro potrebbe essere addirittura dannoso: se si esce dall'Euro - come da anni molti autorevoli economisti sostengono con argomenti rigorosi ed evidenti, nonostante i terroristici tabù degli “euristi” -, lo si deve fare in una notte! Ora è probabile che gettare l'osso delle riforme anticasta all'opinione pubblica possa placarla momentaneamente; ma quando gli elettori capiranno nel giro di pochi mesi, che le loro condizioni economiche non trarranno da ciò il minimo beneficio, l'onda di inquietudine che ha giustamente travolto il sistema politico accecato dall'europeismo più ottuso - soprattutto i partiti di sinistra e il centro montiano – rischia di far cappottare lo stesso M5S se questo continuerà a porre come prioritarie le questioni di cui sopra e non si concentrerà su quelle vere: la crisi economica e le sue reali cause perverse, “questa” Unione Europea e la sua insostenibile moneta unica.
Giacomo Beverati