M’impressiono tutte le volte. Tutte le volte che ci passo, dico.
Dall’incrocio.
E io neanche l’ho visto com’è successo. Non ho visto l’ambulanza; nè il dottore che si è fermato nè il sangue. Non ho nemmeno visto lui a onor del vero. Non so chi era, com’era fatto.
Ma me lo immagino.
In un certo senso lo vedo.Tutte le volte. Tutte le volte che ci passo. E sta sempre lì. E mi guarda. Mi dice che non l’ha scelto mica lui di finire a quel modo: “manifestazione improbabile del posto sbagliato nel momento sbagliato.” Ma io non ci credo al posto sbagliato. Credo solo al momento. E’ sempre una questione di tempistica dopo tutto.
Il tempo è padrone dello spazio. Riesce a estenderlo, a tirarlo, a strapparlo.
E quella volta ha strappato lui.Lui mi dice che è brutto… il fatto che la maggiorparte di quelli che passano da lì non sanno nemmeno perché la barriera non sta al suo posto. Allora gli dico che è normale, che a certe cose uno non ci pensa mentre insegue la vita attraverso il tempo. Uno pensa a quello che deve fare, ai suoi amici, alla sua ragazza… uno pensa che bisogna andare avanti, perché se no il tempo si spreca e il tempo è sempre poco, troppo poco. Non è come lo spazio che è infinito… no. Di tempo non sai nemmeno quanto ne hai.
Allora mi risponde che ho ragione. Neanche lui ci pensava quella volta lì. Ma poi inizia a raccontarmi dell’eco. Mi dice che è un tipo di proroga, di prolungamento. Una sorta di tempo in più che puoi avere. Solo che è funziona solo in certi posti. E in quel posto lì non funzionava. Per questo dice che era pure il posto sbagliato.
Allora ho pensato che lo spazio non è uno schiavo stupido. Ogni tanto lo prende pure in giro il tempo. Per distendersi. Per distendere.
Addio. Sconosciuto.