Raramente capita che un esposizione sia anche un autodafé freudiano, un atto di accusa implicito contro il Paese che la ospita. Ma il miracolo è riuscito all’Expò di Milano dove si concentrano tutti i mali e i vizi del Paese, la corruzione, come la mancanza di visione di una classe dirigente, spiaggiata ormai sulla sua stessa nullità.
Il fatto che la manifestazione si presenti incompleta, monca, affollata da camouflage, come una sorta di squallida periferia in costruzione, che dopo la scoperta della corruzione a tappeto dalla quale è stata soffocata, si sia persino costretti a rinunciare a qualunque controllo e a fidarsi delle autocertificazioni per i lavori e i rattoppi, non è un incidente, ma soltanto l’ovvia conclusione della logica vera in cui è nata: creare un’occasione di speculazione e di tangenti per un milieu affaristico – politico dipendente dalle grandi opere e dai grandi eventi come da una droga. Il vero obiettivo era quello, non la nutrizione del pianeta e non certo la creazione di un biglietto da visita per l’Italia migliore, ma solo una nuova boccata di aria viziata per alimentare un sistema entrato in apnea per la crisi.
Così a questo peccato strutturale che ha portato non a valorizzare aree pubbliche, ma ad acquisirne di nuove dai soliti privati che immagino si saranno mostrati riconoscenti, se ne sono aggiunti molti altri a cominciare dalla massiccia infiltrazione delle mafie, alle concessioni senza gara al ristoratore ufficiale del renzismo, ovvero l’eatalian Farinetti, probabilmente nient’altro che la punta di un’ iceberg di situazioni non propriamente candide, alla scelta di Expò come luogo di sperimentazione dell’umiliazione del lavoro con i diecimila “volontari” pagati zero o stagisti retribuiti con buoni pasto, alla sfacciata connivenza con le multinazionali del cibo, dell’agricoltura e dell’acqua che di fatto imporranno una visione insostenibile per la nutrizione del pianeta, fatta di business selvaggio, deforestazioni, omologazione alimentare, concezione proprietaria delle sementi, sequestro dei beni comuni e quant’altro. McDonald e Coca cola, sponsor della’esposizione sono davvero una barzelletta, come lo sono del resto i buoni propositi del “protocollo di Milano” sulla nutrizione prodotto dagli uffici della Barilla Center for Food & Nutrition.
Non c’è da meravigliarsi se i lavori sono in grande ritardo, se alcuni sono stati cancellati, altri saranno terminati solo ad Expò chiuso, se non si riesce a capire quanti biglietti siano stati effettivamente venduti se gli otto milioni che “narra” il commissario unico Sala o i tre milioni citati da Renzi, se l’obiettivo finale consista ancora nei 20 milioni di tagliandi totali (una cifra comunque già da flop) o i 10 milioni di cui si è vantato il premier. Nè è chiaro come verranno gestiti terreni e strutture alla fine della fiera. Insomma ciò che i cittadini dovranno pagare per questo pantagruelico magna magna, tanto per rimanere in tema di cibo. Ma con due paradossali certezze finali: che l’Expò è già certamente fallito da ogni punto di vista, ma che sarà sbandierato come un successo con la complicità dei media, qualunque sia il risultato.
In effetti la classe dirigente italiana ha già ottenuto molti ritorni: dalle speculazioni iniziali a quelle finali ancora da definire, dall’affermazione di una logica di lavoro gratuito in caso di emergenza come virtuoso precedente, ai guadagni finali sulle opere affidate alla solita costellazione di imprese fidate, alle tangenti e infine al lucro politico che verrà fatto su tutto questo. Al Paese invece rimangono molti soldi pubblici sperperati, l’immagine di un’esposizione messa in piedi alla carlona, abborracciata, fangosa, di gusto cementizio, tribuna ideologica di spacciatori globali di cibo industriale e di sementi col copyright confusa con la vendita ipocrita, ma a caro prezzo di retorica alimentare strapaesana. E la certezza di avere mostrato al mondo ciò di cui siamo incapaci.