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Così lo sceneggiatore di Eyes Wide Shut, Frederich Raphael, parla dell’imperativo-ossessione di Stanley Kubrick nel restare il più possibile fedele alla Traumnovelle del viennese Arthur Schnitzler. Lo scrittore e il regista di Arancia Meccanica avevano sicuramente molto in comune, a cominciare dalle origini ebraiche e dall'interesse per la psicanalisi di matrice junghiana e freudiana. Proprio questo fattore porterà i due ad addentarsi, all’interno delle loro opere, nell’Mittelbewusstsein o Halbbewusstsein, quel subconscio troppo spesso dimenticato o trascurato.
Il racconto di Schnitzler si sviluppa nell’arco di quarantotto ore. Durante questo breve lasso di tempo i coniugi Fridolin ed Albertinescopriranno –realmente?- quali segreti e quali meccanismi inconsci scorrano attraverso le relazioni di coppia. Il sogno vero è proprio è uno solo, quello erotico e libidinoso che Albertine racconta nei minimi particolari al marito e questo, nel suo sogno presunto segnato da incontri con prostitute sifilitiche, adepte di sette dedite a riti orgiastici e folli Pierrette, capirà come il confine tra realtà e finzione possa essere labile e sottile oltre ogni previsione. È però un doppio sogno quello che travolge l’insospettabile coppia viennese; nel sonno le situazioni diventano complicate, ingarbugliate e tutto ciò che di giorno si esclude di fare o dire diventa possibile. I protagonisti abbandonano così quei valori imprescindibili come la fedeltà e il rispetto reciproco e danno libero sfogo a desideri insoddisfatti, all’aggressività più meschina e ad una sessualità senza freni.
L’intimità di una coppia borghese che, dietro l’apparente tranquillità di una relazione felice e invidiabile, nasconde turbamenti e inquietanti pulsioni è il tentativo di scavare territori inesplorati, laddove Eros convive con Thanatos, dove le nostre pulsioni diurne trovano sfogo e quasi si accoppiano nel (doppio) sogno notturno che non è mai stato così reale.
Ma la penna di Schnitzler non intente (almeno non esplicitamente) tradurre in letteratura una qualche nascente teoria scientifica; la storia di Fridolin ed Albertine è simbolo del disagio esistenziale di un’intera epoca. Il mondo dove si muovono i protagonisti della novella è pieno di insidie, trappole ed enigmi. I contorni tra realtà e fantasia non sono netti e l’apparente sicurezza della vita di tutti i giorni mal cela un senso di malessere e spaesamento. È la “fine dell’Austria”di cui parla Hugo Von Hofmannsthal. In Eyes Wide Shut, lo slittamento dalla realtà viennese a quella newyorkese non è casuale; Kubrick traccia infatti il declino dell’impero americano così come Schnitzler raffigurava il crollo dei valori asburgici. Dice, a questo proposito, Sandro Bernardi: “La New York stanca, sporca, violenta, ridotta a un arcobaleno d'immagini, a un'immensa fantasmagoria, dove tutto sta al posto di tutto, senza che ci sia un centro, appare come l'erede e la continuazione logico - cronologica della Vienna scintillante di allora. Chiuso fra queste due grandi capitali, la prima piena di promesse, la seconda invece di tradimenti e di inganni, il secolo è giudicato. Le grandi speranze di partenza del Novecento trovano una messa in scena che assomiglia molto a una pietra sepolcrale. Collegando New York alla Vienna schnitzleriana, Kubrick sembra intenzionato a chiudere il secolo dentro queste metropoli dell'illusione e della disillusione, mostrando la morte che sta nascosta - come sempre - dietro il canto delle sirene”.
Se in Schnitzler l’intimità svuotata dei coniugi si traduce nello starsene appartati in casa per confidarsi i piú reconditi segreti, la Alice e il Bill di Kubrick non vedono l’ora di allontanarsi dal proprio tetto per rifugiarsi nello scintillio dei party. L’uomo di Kubrick è figlio di una morale patinata e superficiale, il Fridolin di Doppio sogno si ripiega in un orgoglio individualistico che gli permette di uscire dall’insospettabile e stretta monotonia del suo ruolo, mascherandosi sempre più, non solo nel trionfo del Carnevale, ma anche agli occhi della moglie, degli amici, dei colleghi.
Quanto raccontato nella Traumnovelle può essere rappresentato anche come la storia di un abisso che separa due coniugi, un uomo e una donna vittime di un tran tran quotidiano segnato dai silenzi che regnano in camera da letto e dai spospiri della piccola figlia che dorme.
Lui è spinto a cercare avventure altrove, lei solo a sognarle; un sogno unico, inquietante e magistralmente descritto nell’opera di Schnitzler, estetizzato e a tratti ridicolo quello della Kidman/Alice nel film di Kubrick.
Il tutto si conclude così com’è iniziato, tra le mura domestiche, in quella tranquillità borghese presupposto essenziale per una vita “a modo”. Eppure, come dice Fridolin, “nessun sogno è davvero un sogno”.
Lo sa bene lui e lo sa bene Bill Harford e nessun raggio di sole potrà mai cancellare o oscurare le fosche rivelazioni della notte.Articolo originale di Sentieri letterari. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore. I contenuti sono distribuiti sotto licenza Creative Commons.
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