F-35 sì o F-35 no? Si discute della questione da prima delle elezioni di febbraio in cui alcuni partiti come Sel e MoVimento 5 stelle fecero
Un F35 si appresta a essere rifornito in volo
Photo MSgt John Nimmo Sr., US Air Force
dell’abolizione di questa spesa militare uno dei loro cavalli di battaglia, per trovare risorse da destinare ad altre politiche. In questo ore anche il PD si è mosso presentando una mozione nella quale si richiede che la decisione in merito l’acquisto dei cacciabombardieri non venga presa senza passare esplicitamente dal parlamento.
Per tracciare una panoramica della vicenda dobbiamo partire da un po’ più lontano. Il programma di collaborazione allo sviluppo di questo velivolo è stato varato dal governo Prodi nel 1998 con una piccola spesa di 10 milioni di euro. La decisione di entrare nel programma di sviluppo con la spesa di un miliardo di dollari è stata presa dal governo Berlusconi nel 2002. Gli accordi operativi per la produzione e la costruzione della fabbrica italiana di assemblaggio sono opera del governo Prodi nel febbraio 2007 e nell’aprile 2008. Il progetto è in mano alla Lockheed Martin, il colosso statunitense degli armamenti. I paesi che hanno aderito al programma chiamato inizialmente Joint Strike Fighter hanno ottenuto una partecipazione allo sviluppo proporzionale all’investimento. La Gran Bretagna è partner di primo livello, con circa 2,5 miliardi di dollari, con un ruolo chiave dell’industria Bae. L’Italia è partner di secondo livello, con una spesa prevista di circa un miliardo di dollari, assieme all’Olanda, circa 800 milioni. Nel terzo livello sono inclusi Canada, Australia, Norvegia e Danimarca.
Per la Marina la scelta è obbligata: l’F-35 B è il solo aereo a decollo verticale sul mercato e quindi l’unico che può sostituire gli Harrier operanti dalle nostre portaerei Garibaldi e Cavour. L’Aeronautica ritiene che si tratti del migliore velivolo disponibile per le missioni d’attacco. Nel 2009 il governo aveva deciso l’acquisto di 131 F-35 con un costo stimato di 12,9 miliardi di euro. L’anno scorso sono stati ridotti a 90: 60 nella versione A e 30 nella versione B a decollo verticale (15 per l’Aeronautica e 15 per la Marina). L’assemblaggio del primo comincerà nella base di Cameri (Novara) a luglio: l’ingresso in servizio è previsto per il 2015 nel 32esimo stormo di Amendola (Foggia). L’ultimo dovrebbe arrivare nel 2027. Finora gli ordini firmati riguardano solo 3 aerei del lotto di produzione sesto, mentre l’Italia si prepara a firmare il contratto per altri tre del settimo lotto. Nell’immediato futuro ne sono previsti quattro dell’ottavo lotto. Ma quanto costano i velivoli? Il prezzo di ognuno dei primissimi esemplari è cresciuto da 89 milioni preventivati dalla Lockheed fino a 207 milioni di dollari.Nel 2010 la stima era di 133 milioni. Oggi il prezzo dovrebbe essere di circa 120 milioni ma il Pentagono insiste perché venga ridotto sotto i cento. La Lockheed sostiene che nel 2018 un F-35 verrà 67 milioni di dollari, motore incluso. Si ritiene che ogni ora di volo verrà a costare circa 25 mila dollari.
Il problema sarà la spesa per l’aggiornamento. Come in un sistema informatico, ogni velivolo dovrà ricevere un pacchetto di software e componenti per arrivare alla versione definitiva. Il cui prezzo non è ancora stato ipotizzato. L’Italia è l’unico partner europeo che ha deciso di costruire un impianto per assemblare gli F-35 utilizzando componenti prodotte altrove. La fabbrica chiamata Faco è stata completata nella base militare di Cameri (Novara) a spese del governo. Il costo è stimato dalla rivista Aviation Week in un miliardo di dollari. Lo stabilimento è stato realizzato ipotizzando la costruzione di 250 F-35, inclusi 131 per l’Italia e 85 per l’Olanda. Solo con questi numeri si rientrerà dell’investimento.L’Italia però li ha già ridotti a 90 e l’Olanda ha ritardato l’acquisto in attesa che siano pronte le versioni operative mentre si pensa di limitare l’ordine a soli 50. Eventuali altri compratori invece dovranno trovare più conveniente far assemblare gli F-35 nell’impianto piemontese e non dalla Lockheed. Le forze armate ritengono che si potranno creare 10 mila posti di lavoro e ci sarà una ricaduta per le aziende italiane pari a 18,6 miliardi di dollari. Queste stime si basano però sulla prospettiva che altri acquirenti dell’F-35, ad esempio la Turchia e Israele, affidino allo stabilimento piemontese la manutenzione dei loro caccia. Al momento non ci sono accordi firmati il che lascia tutto sul piano ipotetico. Lockheed invece ha prospettato una ricaduta per l’Italia pari a 9 miliardi di dollari, senza calcolare l’attività di supporto e manutenzione, più altri quattro miliardi di dollari da assegnare. Contrariamente ai programmi del passato, per l’F-35 non ci sono accordi scritti che garantiscono all’Italia un carico di lavoro in cambio dell’acquisto degli aerei. Lockheed ha assegnato all’Alenia la produzione di parte delle ali ma ogni fornitura deve rispondere a requisiti di qualità e convenienza imposti da Lockheed. I vertici della Difesa ritengono che questo obbligherà Alenia a uscire dal mercato protetto dei vecchi contratti e la spingerà ad essere più competitiva. Il rischio è che le nostre aziende si trovino a lavorare in perdita o rinunciare ai contratti per effetto della concorrenza americana o di altri produttori. Alenia, Selex, Aerea, Secondo Mona e Sirio Panel stanno producendo componenti dell’F-35 per conto di Lockheed.
Sicuramente in un momento così difficile l’opinione pubblica non vede di buon occhio queste spese che se effettuate nella loro completezza porterebbero ad un costo assai vicino ai 50 miliardi di euro complessivi. Un costo immenso se paragonato ai sacrifici che gli italiani sono stati chiamati a fare in questi anni. Tuttavia non si può non ammettere che l’Italia non possa scendere così in fretta dal palcoscenico internazionale; certi tagli, pur giustificati, sia nel personale che negli armamenti rischiano di consegnarci un esercito inadeguato ad affrontare le missioni internazionali alle quali i governi degli ultimi venti anni hanno sempre amato partecipare.
Articolo di Francesco Boccardo.