Fabbricando scuole, dai un tuo contributo personale all’istruzione,
subappalti corruzione e bustarelle da un milione,
Rino Gaetano, Fabbricando case (1978)
A una quindicina di giorni dall’inizio di Italia 90, il veterano dei giornalisti sportivi Antonio Ghirelli scrive sulla Stampa che “non è stato facile realizzare nei tempi stabiliti i 236 progetti allestiti dai tecnici per un complessivo di oltre 3 mila miliardi, che poi si sono moltiplicati (chi dice fino a 5400, chi addirittura fino a 10 mila)”.[1] E, dopo aver snocciolato questi dati, aggiunge che il suo collega (nonché deputato della Sinistra Indipendente) Cederna già parla del Mondiale come di un’occasione per aggirare ancora una volta i piani regolatori e costruire tante opere incompiute. Il classico l’ha detto lui che permette allo stesso Ghirelli di denunciare indirettamente il colossale business immobiliare che ha caratterizzato la preparazione del grande evento sportivo.
Demolizione dello stadio Delle Alpi (2008)
A parte il mancato, o non voluto, collegamento con la criminalità organizzata, ex post diremmo che Ghirelli ci ha preso in pieno. Sorprende, però, il tono soft dell’articolo, spiegato (più che dal committente, la Stampa, o dalle simpatie di Ghirelli per il PSI) da quella parola ancora contenuta nella considerazione di Cederna. Dal boom economico in poi la speculazione edilizia è, infatti, un dato di fatto e, visto che Tangentopoli non è ancora scoppiata, il sistema non sembra vacillare.
Negli anni precedenti il Mondiale, in nome del necessario riammodernamento e con la protezione dalle facce pulite del presidente del Comitato Organizzatore di Italia 90 Luca Cordero di Montezemolo e del presidente del CONI Franco Carraro, si sono fabbricate infrastrutture, servizi e soprattutto stadi.[2]
Le partite da disputare sono 52, gli stadi da mettere a posto o rifare sono ben 12, col risultato che in alcuni di essi si giocheranno solo tre incontri. Dal nulla è sorto il San Nicola a Bari, grazie all’insistenza dei Matarrese, dal nulla è sorto anche il Delle Alpi a Torino. E se il primo è almeno un gioiello architettonico a firma Renzo Piano, il secondo diventerà il simbolo degli sprechi sportivi: progettato male, fatto in fretta, sarà odiato dai tifosi e tirato giù nel 2008.
Ovunque si sono ampliate gradinate, curve e tribune per aumentare la capienza, ma sugli spalti a Verona, Udine o Bari ci saranno spesso pochi spettatori, nonostante l’alto numero di biglietti venduti. Nei cantieri, aperti per la costruzione degli impianti, ci sono state anche delle morti bianche, una ventina. Tanto che il Leoncavallo a Milano ha diffuso una cartolina con la scritta “Una squadra è già stata eliminata” e, sopra, una versione killer di Ciao.
Internet, infatti, ancora non esiste, ma l’idea che modificando delle immagini ben note si possano veicolare meglio le proprie richieste viene in quel maggio 1990 anche ai metalmeccanici in sciopero per una vertenza contrattuale, che riuscirà a rimandare solo di due anni l’abolizione della scala mobile. Come ricordano Antonio Papa e Guido Panico in Storia sociale del calcio in Italia, nelle manifestazioni degli operai compare come logo un Ciao con i piedi e le mani sostituite da bulloni. Del resto un campionato del mondo organizzato in una nazione che si ciba di calcio è un fenomeno che attraversa tutti gli strati della società, affascina con la sua potenza evocativa, disturba con la sua onnipresenza e suscita nei singoli e nei gruppi sentimenti e obiettivi contrapposti, ma è un fenomeno troppo complesso per essere liquidato con indifferenza.
Ed è per questo che l’unica cosa che ci sembra veramente datata è la posizione sostenuta, in quelle giornate da Italia 90 alle porte, dal cosiddetto gruppo di Capalbio. Formato da intellettuali del calibro di Asor Rosa, Federico Zeri e Nanni Moretti, il gruppo rimane ancorato all’idea che attorno al Mondiale impellente c’è troppa attenzione e, quindi, è meglio ritirarsi nella località toscana e la sera tenere la televisione spenta. Sempre che ce lo si possa permettere.[3]
federico
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[1] cfr. Stampa, 22 maggio 1990. Antonio Ghirelli (1922-2012) è l’autore di Storia del calcio in Italia (Einaudi, 1954), è stato direttore del Corriere dello Sport tra il 1965 e il 1972 e capo ufficio stampa del presidente Pertini (1978-1980) e del governo Craxi (1983-1986)
[2] Quando il 19 giugno 1984 la FIFA ufficializza l’assegnazione dei Mondiali all’Italia, Carraro dichiara “Il Mondiale di calcio sarà l’occasione più opportuna per dimostrare non solo le nostre capacità organizzative, ma anche l’alto livello tecnologico raggiunto in tutti i settori della vita nazionale”.
[3] I nomi riportati vengono associati al gruppo di Capalbio (col beneficio del dubbio) nel già citato articolo di Ghirelli. Fa specie la presenza di Zeri, che sedeva in commissione per la scelta del logo del mondiale (cfr. qui). Dubbi per la scelta un po’ snob del gruppo si mostra anche nell’articolo dell’Unità “Quei venticinque milioni di poveri out” (11/6/1990), dove si legge: “Beati loro che possono andare un mese intero a Capalbio! Vuol dire che possono permetterselo, non ha tanti impegni, stress da lavoro, problemi economici”