Collage per “Neoplasie civili”
di FABIO MARIA SERPILLI
(Ho cercato di isolare quei nuclei poetici che mi avevano particolarmente colpito proprio per la loro valenza poetica e che, quindi, erano autosufficienti letterariamente, indipendentemente dalle implicazioni tematiche, che indubbiamente sono molto forti e avvertite dall’autore che, essendo giovane, ha il sacro fuoco – purtroppo perso dai più – dell’indignazione di fronte e in mezzo alle tante macerie d’ogni ordine: morale, civile, politico, letterario e artistico. Le reazioni di Lorenzo sono primarie, talora senza mediazioni culturali e pertanto senza giustificazioni. La sua sensibilità, assistita da una coscienza limpida, rifiuta le situazioni (complicate e complici) di ingiustizia, violenza, ipocrisia che ‘sporcano’ e soffocano la storia individuale e collettiva. L’intenzione principale sembra dunque quella di denuncia, condanna attraverso una versificazione dai toni forti e senza indugi estetizzanti quasi ad operare interventi chirurgici (‘neoplasie’ non a caso è lemma appartenente al titolo stesso della raccolta e dunque estremamente semantizzante) volti a individuare il male ‘cancerogeno’ che infetta e porta alla distruzione della storia naturale-umana e tentare quindi un recupero valoriale… Questa forte scossa passa dalla scrittura di Lorenzo alla pelle del lettore.)
Gridai senza voce una qualche ballata
…
Il fango a volte
può diventare cemento
…
Le lacrime di un popolano
scivolano copiose, per un momento;
quelle di una madre
non trovano fine.
…
Perché non ti domandasti perché?
…
Non era stata una di loro
perché era stata una di noi.
…
I bambini rubavano il mare
con gli occhi bagnati.
…
La vittoria è un tramestio di nuvole
…
Il cemento si spaccava
sotto un sole impavido
…
L’orologio indispettito
batteva le ore
al contrario
ed era sempre presto.
Impossibile darsi appuntamento.
…
Mi fingevo altro da me
…
il mondo si mascherava…
nella convinzione di un nulla convinto…
ma ora ricerco una via unica.
…
e Dio piangeva a fiumi
…
Allora bandii le preghiere
da quella terra di pianto
…
e l’oceano mangiò se stesso…
Strozzai un bicchiere d’acqua…
…
Impossibilità di vedere una luce…
…
Non seppi più nulla di quell’immagine
…
Il sole sveniva
…
L’inchiostro strillava indomito
…
Alla fine mi sguaiai su un marciapiede
…
Ho guardato la terra e
le ho chiesto dove andasse…
Nessuna risposta
***
Caro Lorenzo, io spero di aver indovinato qualcosa con queste mie scelte di tuoi versi e di mie parole di commento. Mi sembra abbastanza certo comunque di avvertire in te quell’agostiniano «inquietum cor nostrum donec…» con quel che segue… senza disturbare il “Domine” finale…
Ciao e buon Anno… Fabio M. Serpilli
26-12-2014