Ogni volta che ci colleghiamo, Facebook ci accoglie con una domanda, alla quale forse non facciamo nemmeno più caso: “A cosa stai pensando?” Quando pubblichiamo video, foto, link o qualche riga di testo stiamo sempre rispondendo a quella domanda. E il social network ha bisogno di avere sempre più risposte, perché è proprio sull’analisi delle informazioni che vengono condivise che si basa il suo business.
Qualche settimana fa è stata diffusa una notizia che ha risvolti inquietanti: Facebook non si accontenta solo di analizzare ciò che condividiamo, vorrebbe sapere anche cosa non condividiamo e perché.
Due ricercatori – Savik Das della Carnegie Mellon University e Adam Kramer, data scientist di Facebook – hanno pubblicato lo studio Self-Censorship on Facebook (auto-censura su Facebook), dopo aver analizzato il comportamento di quasi 4 milioni di iscritti al social network per 17 giorni. L’obiettivo della ricerca era capire le ragioni che spingono gli utenti a non pubblicare ciò che hanno già scritto nel box per l’aggiornamento di stato. I due ricercatori hanno verificato che sette utenti su dieci a volte scrivono qualcosa che però non si trasforma in un post nel giro di dieci minuti. Sono cioè stati in grado di capire se quegli utenti digitavano qualcosa sulla propria tastiera, anche se sostengono di non essere in grado di sapere che cosa sia stato scritto (dato che i contenuti non sono stati inviati sui server di Facebook).
La domanda che ci accoglie nella nostra home page di Facebook assume quindi sfumature inquietanti: la possibilità di analizzare quello che viene scritto ma non pubblicato potrebbe non essere così lontana. I ricercatori sono interessati proprio a capire cosa autocensuriamo e perché: ogni post non pubblicato, infatti, rappresenta per il social network una perdita di valore. Facebook, dunque, è davvero interessata a quello che stai pensando e il solo fatto di digitarlo senza pubblicarlo potrebbe consentire all’azienda di proporre contenuti e messaggi pubblicitari utilizzando anche ciò che non viene pubblicato.
Le conseguenze potrebbero essere anche altre e più gravi. Il recente scandalo del Datagate ci pone infatti un ulteriore interrogativo: chi potrebbe spiare quello che alla fine abbiamo deciso di non pubblicare?
La soglia di attenzione per la difesa della nostra privacy forse dovrà essere ancora alzata. E, in qualche caso, faremo meglio a tenere i pensieri nella nostra testa, senza farli arrivare nemmeno alla tastiera.
Magazine Economia
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