I malati della “sindrome del Mi piace” si stanno infiammando nel falò della vanità. Una volta ce ne andavamo in giro a raccogliere pensieri per capire di che pasta fosse fatta la gente. Oggi spalanchiamo la finestra del pc e pensiamo di aver capito tutto dell’altro attraverso la collezione dei “mi piace”, impigrendoci pure a buttar giù un commento decente. Come se poi chi facesse il famigerato clic con la manina su un nostro pensiero, lo avesse realmente letto o compreso! Per la maggior parte è un modo per farsi notare, per manifestare simpatia. Chiediamo pure agli strizzacervelli del web se abusare del “Mi piace” sia una scorciatoia per amplificare un confine, quello tra il personaggio virtuale, convinto di aver seppellito le proprie frustrazioni, e quello reale, colpevole di aver consegnato le insoddisfazioni quotidiane all’agorà finta di Internet.
Durante una recita scolastica del ’78, mi chiesero perché avessi scelto come partner la mia compagna di banco. Io, alzandomi sulla sedia, declamai: “Mi piace perché ha gli occhi a mandarla, il nasino all’insù e divide merenda con me”. Mi avevano insegnato a motivare la mia opinione.Voglio tornare ad esprimere il mio assenso o dissenso perchè penso, senza quel maledetto dito all’insù. E’ ora che il “Cogito, Ergo sum” cartesiano non prenda più sviste, scivolando sul chiacchiericcio della rete.