Magazine Lavoro
Come è strana la vita. Oggi ad esempio su Facebook, ma anche sui giornali, appaiono spesso i richiami a Luciano Lama e a Bruno Trentin, nonché ad Antonio Pizzinato. Loro sì, si scrive, sapevano fare il “mestiere” del sindacalista, non la Camusso che sa fare solo politica. E molti miei amici e compagni, anche qui su Facebook, plaudono entusiasti a Renzi che, appunto, invita la Camusso a trattare con gli imprenditori i problemi particolari dei luoghi di lavoro perché i problemi generali del lavoro sono affidati esclusivamente a lui e al parlamento. Ora questi amici e compagni oggi tutti seguaci di Lama e Trentin o Pizzinato hanno completamente dimenticato che, ad esempio, fu proprio Bruno Trentin a teorizzare come il sindacato dovesse uscire da una dimensione puramente corporativa per assumere anche il ruolo di “soggetto politico”. Perché una decisione sulle norme del mercato del lavoro, o sul regime fiscale, o sugli investimenti incide sulla condizione del lavoratore più di un rinnovo contrattuale. E il sindacato doveva sapere intervenire con proposte e anche con lotte. Nacque così quel sistema che si chiamò concertazione e che permise ad esempio (altra dimenticanza) l’entrata nell’Unione Europea e che aiutò fortemente (malgrado i ritardi nel prenderne coscienza) nell’azione idonea a isolare il terrorismo armato.
Molti di questi amici e compagni dimenticano così che nella sinistra, nel Pci in particolare, si innescò una fortissima polemica alla fine degli anni 60 e poi nei 70, in modo particolare contro i metalmeccanici e le loro iniziative per costruire i consigli dei delegati al posto delle commissioni interne, contro lo spazio dato solo alle questioni aziendali. L’accusa era di corporativismo e l’incitamento era ad occuparsi dei problemi generali, alle riforme necessarie. E così ad esempio ci fu, il 19 novembre del 1969, un grande sciopero generale per “una politica organica della casa fondata sull’intervento pubblico. E così’ nel 1972 ci fu una importante manifestazione a Reggio Calabria contro “i boia chi molla” ma anche per ottenere una politica di investimenti nel Mezzogiorno.
Storie del passato da seppellire? E però il problema rimane. E’ vero che il sindacato dovrebbe riattivare la sua azione nei luoghi di lavoro, magari per stipulare accordi capaci di coinvolgere anche i precari, come è andata ripetendo proprio la Camusso in casa sua. Come può fare però il sindacato a incidere nelle scelte del governo che (come sostengono anche studiosi e giuristi di diversi schieramenti) non danno risposte esaurienti al tema della crescita e di una occupazione non precaria? Renzi in definita li scaccia dal tavolo delle trattative e li invita con perfida ironia a spedire un’email. Che fare? Saranno costretti a mobilitare, magari unitariamente, categorie e territori. Fino a una fermata generale, se necessaria, senza intenderla come un colpo di bacchetta magica risolutivo. Sarà un bene per il Paese, per un governo che si dichiara di centrosinistra? L’altra strada, suggerita da qualcuno al sindacato è quella di guardare “House of Cards” e pensare a una lobby sindacale da costruire in parlamento per far saltare con tutti i mezzi possibile, l’attuale premier. Ma non siamo in una telenovela.
Certo in quei tempi lontani che ricordavo nessuno avrebbe potuto trattare con disprezzo Lama, Trentin o Carniti e Benvenuto. E nessuno avrebbe usato, come qui su Facebook, termini salaci nei confronti della sorpassata Cgil incapace di usare l'Iphone. Perché? Perché allora il sindacato guidava un movimento unitario forte dentro una situazione economica in crescita. Era temuto e rispettato. Oggi quella forza è da rinnovare profondamente e riconquistare.
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