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«Breve riposo dona alla mamma, Signore. Svegliala, falle un caffè e rimandala subito qui. È mia mamma, capito? O riporti giù lei o fai venire su me. Scegli tu. Ma in fretta. Facciamo che adesso chiudo gli occhi e quando li riapro hai deciso? Così sia.» La mattina dei funerali mi chiusi in camera e attesi che la bara fosse uscita di casa. Abbassai le serrande, mi infilai all'incontrario sotto le lenzuola e salii a bordo del Sottomarino con un bisogno disperato di dichiarare guerra al mondo intero. Ma non riuscivo più a trovare i nemici. Erano tutti dentro di me. Una mattina era sparita «per fare delle commissioni». L'avevo vista tornare di lì a qualche giorno, ancora più triste. In casa ci dividevamo i compiti: papà la accarezzava con le parole e io le parlavo con le carezze. Ma la mamma sembrava non ricambiare nessuno dei due. Non essere amati è una sofferenza grande, però non la più grande. La più grande è non essere amati più. Perché avrei dovuto continuare a comportarmi bene, se tanto non c'era più nessuno a dirmi bravo? La mamma era argomento tabù. Una sola volta osai chiedergli quale fosse, in una classifica ipotetica delle disgrazie, la più meritevole del primo posto: la scomparsa prematura di una moglie o di una mamma? (…) Mi tenne un discorso molto razionale che durò tre semafori rossi e si concluse in retromarcia al parcheggio con questo dispaccio solenne: eravamo sistemati male tutti e due, ma dei due chi stava messo peggio ero io, perché una moglie la puoi sostituire, una mamma no. Il mio cervellino arrancava in cerca di risposte. Se mi fossi alzato sulle punte, avrei visto che al mondo esistevano incongruenze ben peggiori: guerre, epidemie, inondazioni. Ma Belfagor sapeva spingermi solo verso il basso. E da lì l'unico orizzonte che riuscivo a scorgere era quello della mia piccola vita. In fondo la mia vita è la storia dei tentativi che ho fatto di tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo. «Fai bei sogni. Anzi, fateli insieme. Insieme valgono di più.» «I “se” sono il marchio dei falliti! Nella vita si diventa grandi “nonostante”.» Per attutirmi l'impatto col mondo reale Belfagor aveva foderato di ovatta i miei sensi. Niente mi appassionava, neanche la trasgressione. Non mi ubriacavo, non mi drogavo e non fumavo spinelli, al massimo qualche sigaretta a stomaco vuoto. Non amavo gli sport estremi e gli orari sballati: ho visto più albe al risveglio che andando a dormire. Non ero né di destra né di sinistra, ma liberaldemocratico, che a diciotto anni è come preferire il chinotto al Cuba libre. Non so se in amore vince chi fugge, ma di sicuro chi perde rimane lì dov'è: immobile. « “Se” fossi cresciuto con la tua mamma, adesso avresti meno paura di cadere. Ma avresti anche meno bisogno di volare. “Nonostante” lei non ci sia più, è tempo che incominci a sbattere le ali.» Dovevo agire, però. I mostri del cuore si alimentano con l'inazione. Non sono le sconfitte a ingrandirli, ma le rinunce. Ero finalmente qualcuno. Il sogno di scrivere si era materializzato in forma imprevedibile, quando avevo creduto di non desiderarlo più. Se un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la vita a nasconderlo dietro una nuvola di scetticismo, ma non riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali disperati, come la noia e l'assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione. Le donne non si conquistano con le corde vocali, ma con gli orecchi. Noi maschi sprechiamo tempo a rintronarle di battute memorabili quando l'unica cosa che ci chiedono è di prestare attenzione ai loro pensieri. Il dolore apre squarci che consentono di guardarsi dentro. Nello stomaco di tutti galleggia un'ingiustizia che abbiamo subìto e consideriamo inaccettabile. La prova dell'inesistenza di un disegno superiore che, se ci fosse, non avrebbe mai potuto permetterla. La mia specialità consisteva nel trovarmi a disagio ovunque fossi. Avevo bisogno di una salita e invece ho preso una scorciatoia. Ho cercato di cambiare la mia vita senza cambiare me. Ancora una volta mi ero illuso che la vita fosse una storia a lieto fine, mentre era soltanto un palloncino gonfiato dai miei sogni e destinato a esplodermi sempre fra le mani. È nulla il morire. Spaventoso è il non vivere. Non è poi così vero che si desidera ciò che non si è mai avuto. Quando si sta male, si preferisce ciò che ci appartiene da sempre. «Non siamo scimmie evolute, ma divinità decadute!» «E la vita?» «Mi fa paura l'idea di sprecarla. Se la morte è un viaggio, immagino che la vita sia il prezzo del biglietto.» Io sono lo specialista del Dopo e conosco tutti i trucchi per trasformarlo in Mai. Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi.
♥ I miei scarabocchi su "Fai bei sogni" di Massimo Gramellini
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