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Falkland-Malvinas: si riaccendono le tensioni anglo-argentine per il petrolio

Creato il 27 ottobre 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi
di Giuseppe Dentice

Sono passati quasi trent’anni dalla guerra tra Regno Unito e Argentina per il controllo dell’arcipelago delle Falkland-Malvinas (in inglese Falkland, in spagnolo Malvinas) nell’Atlantico Meridionale. Ad agitare nuovamente le relazioni tra i due Paesi vi è ora la possibilità che sotto le acque dell’arcipelago si nasconda un cospicuo giacimento di petrolio.

La nuova controversia, accesasi negli anni Novanta all’indomani di alcune esplorazioni britanniche che portarono alla luce quest’importante scoperta, si è accentuata nel corso dell’ultimo anno e in particolare dallo scorso mese di settembre, quando la compagnia britannica Rock Hopper Exploration ha annunciato un investimento di oltre 2 miliardi di dollari per l’avvio delle estrazioni nell’area in questione. L’obiettivo è produrre 120.000 barili di greggio al giorno. Secondo le stime del governo britannico, il valore delle riserve nelle Falkland sarebbe di 350 milioni di barili di greggio, circa il 50% in più rispetto a quelle presenti nel Mare del Nord.

Falkland-Malvinas: si riaccendono le tensioni anglo-argentine per il petrolio

Areadei giacimenti petroliferi. Fonte: Falklands Government Oil Companies

Se tecnicamente le prime estrazioni cominceranno solo nel 2016, proprio sulla reale quantità di riserve rimangono tuttavia molti dubbi: infatti, a fronte delle ricerche condotte nell’ultimo decennio dalle società Desire Petroleum e Falkland Oil and Gas che hanno confermato l’esistenza di grandi riserve, l’americana ExxonMobil e l’olandese Shell – due delle cosiddette “sette sorelle del petrolio” – hanno abbandonato i propri progetti di esplorazione in quanto i giacimenti non sarebbero di dimensioni tali da giustificare grandi investimenti di fondi ed infrastrutture. Solo la Rock Hopper, sulla base delle scoperte fatte dalla propria piattaforma Sea Lion, ha deciso di proseguire i programmi di esplorazione ed estrazione.

La presenza o meno di idrocarburi e la loro quantità nel sottosuolo dell’arcipelago e nelle acque atlantiche circostanti, non toglie la riapertura dell’attrito tra Argentina e Gran Bretagna: al di là del puro aspetto economico-commerciale, la controversia sul petrolio è riflesso del perenne scontro relativo alla sovranità dell’arcipelago che si trascina da 198 anni. Una conferma di ciò sembrerebbe provenire anche dalla decisione di Londra, nell’autunno scorso, a pochi mesi dall’inizio delle trivellazioni, di avviare un programma di potenziamento militare nell’arcipelago, pare anche con test missilistici, che hanno, ovviamente, inasprito le relazioni già tese tra i due Paesi.

Risorse energetiche e rafforzamento della presenza militare in un territorio considerato nazionale, sono state sufficienti per far preoccupare il Paese sudamericano che, attraverso una nota ufficiale della Presidente Cristina Fernandez-Kirchner inviata al Premier britannico David Cameron, ha ribadito la propria volontà di riprendere i negoziati sulla questione della sovranità territoriale e, allo stesso tempo, ha chiesto il blocco delle perforazioni. Per il momento, l’unica misura concreta presa, lo scorso anno,dal governo argentino è quella riguardante un permesso speciale che devono ottenere tutte le navi che vogliono salpare dai porti argentini per le Falkland. Ad oggi però, tale provvedimento non pare aver fruttato come si sperava a Buenos Aires, tant’è che, come riportato dal quotidiano argentino “Clarin”, la sospensione anche dei collegamenti aerei tra le Malvinas e il Cile, isolando di fatto l’arcipelago, sarebbe l’opzione più accreditata dallo stesso governo argentino pur di bloccare le trivellazioni.

In questo contesto politico già teso, l’Argentina sembra poter contare sull’appoggio del resto dell’America Latina e, in particolare, del Brasile, anch’esso impegnato in opere di esplorazione dei fondali oceanici a largo delle proprie coste. Le recenti scoperte di giacimenti offshore nella fascia costiera a circa 190 km tra Niteroi, vicino Rio de Janeiro, e San Paolo da parte della spagnola Repsol, potrebbero rendere il Brasile, entro il 2017, non solo autosufficiente dal punto di vista petrolifero, ma anche in grado di esportare un milione di barili di greggio al giorno. Non a caso, anche il Presidente Dilma Rousseff ha minacciato Londra di non concedere più scalo alle navi britanniche provenienti dall’arcipelago qualora continuasse le esplorazioni nell’Atlantico Meridionale. Nelle intenzioni di Brasilia – come in quelle del Venezuela di Chavez –, le politica di appoggio alle rivendicazioni di Buenos Aires sulle Malvinas e sul suo petrolio rientra in un comune piano di contenimento – economico e politico – delle influenze inglesi o statunitensi ancora fortemente presenti nel continente latino, aggiornando così la famosa “Dottrina Monroe” (l’America agli Americani). Così, dinanzi al proseguire dell’intransigenza britannica, l’Argentina potrebbe giocarsi la carta della solidarietà latinoamericana, e sudamericana in particolare, ponendo la questione in chiave anti-colonialista, sapendo bene che questo tema è, ancora oggi, molto sentito in tutto il continente. Sebbene l’atteggiamento sudamericano sulla questione sia di fermo e incondizionato appoggio all’Argentina, la posizione di alcuni Paesi andini (Perù e, in particolare, Cile, che mantiene con Buenos Aires alcune controversie relative ai territori antartici a sud del 60° parallelo australe) è assai più misurata e attenta alla salvaguardia dei loro rapporti politici ed economici con il Regno Unito. Inoltre, l’apparente forza dell’asse argentino-brasiliano potrebbe rompersi facilmente qualora ci sarà, come preannunciato da William Hague, Ministro degli Esteri inglese, l’appoggio britannico alla richiesta brasiliana di un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nonostante la profonda ferita subita nel 1982, Buenos Aires non ha mai cessato le proprie rivendicazioni su un territorio considerato ancora, a distanza di due secoli, indebitamente occupato da Londra. Tuttavia, se sul piano economico e diplomatico ci saranno nuovi scontri, in quanto nessuno dei due Paesi vorrà lasciarsi sfuggire un’opportunità di grande valore, un nuovo ricorso all’uso della violenza armata sembra potersi escludere, sia perché il ricordo delle numerose perdite (circa 900 morti argentini a fronte di poche decine britanniche) è ancora vivo, sia perché i tentativi di integrazione sub-continentale latinoamericana non sono sufficienti a sostenere un’opzione del genere, sia infine perché entrambi i Paesi (soprattutto la Gran Bretagna, impegnata anche nella corsa alle riserve di oro nero nell’Artico) non hanno in questo momento bisogno di aprire un nuovo scenario bellico.

La sensazione generale è che si propenderà per un ritorno della diplomazia e ai negoziati internazionali, in quanto tanto il governo argentino, quanto quello britannico potrebbero trovare più conveniente portare il caso dinanzi alle Nazioni Unite per cercare di risolvere la questione Falkland-Malvinas una volta per tutte applicando il tanto dimenticato diritto internazionale. 

* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

 


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