Non facciamo che raccontarci storie, nulla è reale
Sentite, ho letto questo libro un mesetto fa e ringrazio la mia grafomania teppista imbrattatoria di fogli di guardia, perché grazie agli appunti presi durante la lettura posso onorare il mio impegno mensile con Sul Romanzo.
Ecco, quello che ho appena fatto con il primo paragrafo di queste circa 3500 battute è un esempio della più evidente caratteristica della narrativa contemporanea sottolineata da Shields nel suo saggio, e cioè la preponderanza dell'Io, la tensione alla sincerità narrativa. Che, poi, sinceri non si potrà mai davvero essere dato che, ad esempio, chi vi scrive ha consapevolmente messo in atto una strategia di comunicazione autoreferenziale e performativa (ma dicendovi anche questo sono ulteriormente sincera... o forse continuo a fingere di esserlo[1]).
Dunque, l'Io e la sincerità: fateci caso, John Barth che parla dell'uso del corsivo subito dopo averlo usato ne è un esempio. E con questo vi ho parlato del primo punto.
La principale riflessione di Shields nell'analisi della narrativa statunitense (avevo dimenticato di aggiungere 'statunitense', prima? È che per me, adesso, è questa la letteratura contemporanea tout court, perdono) si articola però attorno ad un altro aspetto, e cioè il furto. Fame di realtà è un collage di furti d'autore: frasi estrapolate da testi, interviste, film o semplicemente dalla memoria dell'autore, che rielabora idee sentite e inconsapevolmente registrate. È questa l'unica possibilità offerta agli scrittori, secondo Shields, l'appropriazione e revisione di materiali eterogenei. Non ha senso il diritto d'autore, e soprattutto è dannoso perché limita la crescita e lo sviluppo del pensiero. Per difendere la sua posizione, l'autore espone questa idea attraverso le parole degli altri, montando i frammenti in sezioni contrassegnate dalle lettere dell'alfabeto (il che dà il senso della condensazione enciclopedica dello scibile letterario contemporaneo), e avrebbe evitato di indicare i nomi dei 'proprietari' delle frasi (dove li ricordasse, perché non sempre lo fa) se la casa editrice, per tema del Male del Secolo (gli avvocati) non gli avesse imposto l'indicazione bibliografica (ma Shields consiglia di strappare le pagine finali, e di godersi il testo senza voler dare a ciascuno il suo). Il mio giudizio sulla cosa: la posizione di Shields è condivisibile, ma solo fintantoché ne fa una analisi del panorama letterario contemporaneo, in cui è sempre più difficile essere originali (o tempora, o mores! direi, per prima nella storia), ma non la condivido più nel momento in cui se ne fa un Manifesto, perché, a questo punto, il tutto 'sa di Avant-Pop' che, per me, è la peste nera (aspetto con ansia la risposta saggistica promessa da Zadie Smith, che ha anticipato di non condividere le idee di Fame di realtà). Insomma, il furto va bene, ma la prima preoccupazione dovrebbe essere contenutistica, e questo aspetto rischia di perdersi nell'ansia di avanguardismo avantpopparo.
Il terzo aspetto – che, essendo in sottotitolo all'articolo, non posso dimenticare – e cioè la funzione immaginativa della memoria. La narrativa è invenzione, e memoire, saggio e fiction non sono separate da demarcazioni nette perché tutto è filtrato dall'Io narrante, menzognero per natura. Di più: ciascuno di noi è narratore di se stesso, perché costruisce la propria identità attraverso le narrazioni di sé che racconta a se stesso in primo luogo, e agli altri poi. Nulla di quello che crediamo di aver vissuto è avvenuto nel modo in cui lo ricordiamo perché nel momento stesso in cui lo ricordiamo, lo romanziamo. Sicché, leggo dai miei preziosi appunti imbrattatorii, 'le implicazioni della ricerca della realtà – o mimesi – in narrativa sono ontologiche: esiste davvero, la realtà?'
(Ah, la bibliografia: D. Shields, Fame di realtà, Fazi, 262 pagg., euro 18,50).
[1] Il più cristallino scritto sull'impossibilità della sincerità letteraria è il racconto Caro vecchio neon di David Foster Wallace (ancora e sempre), in Oblio, Einaudi (← e qui ci sarebbe da introdurre una nuova nota sulla querelle relativa ai diritti di pubblicazione fra Minimum fax e la Casa editrice dallo struzzo con lo stomaco di ferro).