Benvenuti a questa nuova puntata di Fantasy e vin brulé, la rubrica di Sul Romanzo dedicata alla letteratura fantastica. Dopo lo scorso numero, dove abbiamo parlato dell’ultimo romanzo di Margaret Atwood, vi regaliamo una chiacchierata in esclusiva con uno degli scrittori fantasy più acclamati del momento: Joe Abercrombie. Proclamato dalla critica come “l’erede di George Martin”, autore della trilogia di The First Law (La Prima Legge, Gargoyle, 2013) e dell’acclamatissimo The Heroes (2011), ha firmato di recente in Italia con Mondadori, per cui è stato pubblicato il primo capitolo della sua nuova trilogia: Il mezzo Re. Sul Romanzo, in collaborazione con Gianni Falconieri e Fantasy-italiano, ha incontrato Abercrombie al suo educational tenutosi nella giornata di venerdì 31 ottobre al Lucca Comics & Games.
Nell’aula della scuola elementare di Villa Gioiosa, Abercrombie – omone barbuto dalle spalle larghe – siede di fronte alla lavagna e osserva divertito la quindicina di persone che prende posto in cerchio attorno a sé. Non ha preparato alcun discorso, nessuna presentazione power-point, vuole che sia una chiacchierata informale e i presenti lo accontentano. La prima domanda è quasi di rito e Abercrombie, tra una battuta e l’altra, non si sottrae.
Come è diventato uno scrittore?
Be’, sono ancora a metà strada, sorride. Ai tempi del mio primo romanzo, scrivere era ancora quasi solo un hobby. La necessità di scrivere è nata dopo anni di lavoro nella TV, nella musica e nei giochi, come produttore ed editor. Sapete, fare l’editor è come essere un idraulico: un professionista che arriva a casa, entra nel bagno, sistema quello che c’è da sistemare e se ne va con discrezione, lasciando indietro nulla di se stesso. A un certo punto ho sentito il bisogno di creare qualcosa che mi appartenesse davvero più che fare l’idraulico sulla creatività degli altri.
Proprio per la TV, nel 2008, per la BBC ha partecipato alla serie Worlds of fantasy, al fianco di autori quali Terry Pratchett, Michael Moorcock e China Mieville. Com’è scrivere sceneggiature rispetto allo scrivere narrativa?
Nello script-writing impari a scrivere utilizzando il numero minimo di parole possibili. È incredibile quanto concisi si possa arrivare a essere. La narrativa invece vive di descrizioni; i dialoghi non devono solo essere verosimili ed eleganti ma devono veicolare informazioni, sia sul plot che sul modo di essere dei personaggi. Tutte queste funzioni, sullo schermo, sono lasciate all’immagine, alla recitazione e al linguaggio del corpo. Per questo motivo però a scrivere per la Tv non ci si sente tanto padri creatori di un mondo – come per un romanzo – quanto costruttori di un’impalcatura che reggerà il lavoro successivo del resto della produzione.
Dopo la serie Tv di A Game of Thrones tratta dai romanzi di Martin e dopo quella annunciata dall’opera di Terry Brooks, vedremo una serie dedicata a La Prima Legge?
Stiamo lavorando alla serie da diversi anni ormai. Potrebbe uscire a breve. Ma è sempre meglio non parlare di queste cose sino al momento in cui sono davvero là fuori!
Ha intitolato questo educational Il fantasy secondo me. Ora non può che dirci quale sial’idea che Joe Abercrombie ha del fantasy.
Da ragazzo leggevo Il Signore degli Anelli almeno una volta all’anno. Presto iniziai a leggere molto altro fantasy “tolkieniano” sul mercato, ma sempre più ero frustrato nel trovarmi tra le mani libri zeppi di personaggi piatti, con una morale facile di “bene” che trionfa sul “male” etc.. Fui attratto dal così detto low-fantasy, in cui – più che leggere di piccole personalità che diventano eroi alle prese con la crisi del loro mondo – si leggeva di personaggi forti costretti in contesti angusti e tutt’altro che eroici. Devo dire la verità: all’inizio temevo che anche Martin stesso avesse scritto qualcosa di banale in tal senso, poi mi sono ricreduto.
Che parte ha il tema violenza in questa sua visione del genere?
La rappresentazione della violenza è molto importante per me. Cerco di superare la dissociazione tra il cosa la violenza sia davvero e il come sia solitamente mostrata. Le battaglie di Tolkien sono oggettivamente dei massacri e la loro efficacia narrativa risiede nel fatto che i nemici sono orchi – il male assoluto – e non altri esseri umani. Ma se Aragorn avesse massacrato un esercito di una nazione rivale? La verità storica sulla guerra è che se sei bravo con la spada difficilmente sarai un buon re. Ci tengo a mostrare cosa la violenza generi negli uomini proprio perché non abbiamo il lusso di combattere orchi. È davvero possibile essere un eroe e un violento allo stesso tempo? Nel fantasy eroico siamo abituati a leggere di battaglie che cambiano le sorti di un mondo. Nella realtà spesso i grandi massacri non creano conseguenze di rilievo se non nei singoli che li hanno vissuti. Questo è il mio obiettivo: stare dentro la testa dei personaggi di fronte al dolore e alla paura, per mostrare come vengano da essi cambiati.
E la caratterizzazione dei personaggi è infatti ciò che i lettori amano di più nei suoi romanzi. Quanto li lascia liberi di determinare il plot o quanto si devono piegare alla storia?
Ho sempre scritto dopo una minuziosa pianificazione della trama. All’inizio di The First Law, per esempio, il plot ingrana lentamente perché sono stato molto attento a descrivere i dettagli in modo da inserire i personaggi con più gradualità possibile. Ora mi butto a capofitto nel plot. Organizzo di meno e mi fido dei miei personaggi, lascio loro spazio, libertà, perché possano risaltare nella loro coerenza a costo di dover modificare il plot stesso per rispettarla. Trama e personaggi devono camminare insieme.
Al contrario che con la violenza sembra che lei sia limitato nell’esplicitare il sesso, come per esempio ha fatto Martin.
Forse è vero. Ci ho pensato spesso e, con il senno di poi, avrei potuto fare meglio in tal senso. Ho affrontato il sesso a livello di tensione erotica tra i personaggi più che nel dettaglio esplicito, suggerendolo e nascondendolo di continuo. Ai lettori però devo dire questo non è dispiaciuto.
Un’ultima domanda. Spostandoci di nuovo verso l’editoria, cosa pensa Joe Abercrombie del self publishing?
Penso che la morte dell’editoria tradizionale sia stata dichiarata troppo presto. Ci sarà sempre bisogno di un intermediario tra scrittore e lettore. Si crede erroneamente che il self-publishing possa permettersi questo rapporto diretto, ma la realtà è che l’unico SP di qualità, quello che a volte spicca e riesce, è quello in cui l’autore – da solo o con l’aiuto di editor freelance – fa bene il lavoro dell’editore. Il lavoro rimane. Inoltre, un autore deve rimanere un autore. Fare il lavoro dell’editor e quello del marketing significa per un autore dissipare delle energie che dovrebbe riservare al solo processo creativo e allo studio. Personalmente non potrei mai auto-pubblicarmi. Mi piace davvero che le mie opere vengano “editate”. Realizzi che nessuno è perfetto e che tutti possono migliorare. Devono.
Joe Abercombie si inchina agli applausi e firma le copie dei suoi romanzi. Al curatore di Fantasy e vin brulé rimane un selfie con due vere facce grim-fantasy. Alla prossima puntata!
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