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Fare il pane tra pensieri casti e non

Da Annaaprea55

La scrittrice Isabel Allende dice che le persone che hanno bisogno di provare tutto prima o poi cadono nella tentazione di fare il pane. Quanto è vero.

Salvador Dalì -1926 - Cestino di pane

Salvador Dalì -1926 – Cestino di pane

Fare il pane in casa è un gesto di creazione, disse pane e pane fu.
Per chi ama cucinare è un desiderio cui talvolta non ci si può sottrarre. L’ultima volta che ho preparato il pane ho pensato all’amore e alla gravidanza. Manipoli, affondi le mani nell’impasto, modelli una forma, la benedici, poi aspetti la lievitazione e, nel frattempo, ti viene una curiosità: vuoi guardare a che punto è quel tuo segreto nutrimento…
Allora, quasi di nascosto, sollevi un pizzo di tovagliolo per controllarne il gonfiore e ti godi quel profumo che ti sorpassa.

C’è  un senso di miracolo nell’osservare la crescita dell’impasto nutrito dal tepore della cucina.

Mi sono ricordata di un vecchio libro di Isabel Allende, Afrodita, (Feltrinelli, 1998) dove c’è un pezzo di commovente bellezza proprio a proposito del fare il pane.

Ricordo la cucina di un convento di Bruxelles, quando fui testimone reverente della misteriosa copula tra il lievito, la farina e l’acqua. Una suora laica con spalle da scaricatore di porto e mani delicate da ballerina, preparava il pane in stampi rotondi e rettangolari, li copriva con un telo bianco lavato e rilavato mille volte e li lasciava riposare vicino alla finestra, su un bancone di legno medievale.Mentre lavorava all’altra estremità della cucina si verificava il semplice miracolo quotidiano della farina e della poesia, il contenuto degli stampi prendeva vita e un processo lento e sensuale si produceva sotto quei bianchi tovaglioli che, come lenzuola discrete, coprivano la nudità delle pagnotte. La pasta cruda si gonfiava in sospiri segreti, si muoveva soavemente, palpitava come un corpo di donna che si dà all’amore. L’odore acido della pasta in fermento si mescolava al respiro intenso e vigoroso dei pani appena sfornati. E io, seduta su una panchetta da penitente, in un angolo buio di quella grande stanza di pietra, immersa nel calore e nella fragranza di quell’evento misterioso, piangevo senza sapere perché…

L’anima ha certi momenti superiori, sono picchi di senso che ti colgono quando tutto il resto è come ritirato e guardi l’essenza delle  Capita persino in cucina il disvelamento, accade d’improvviso…le cose perdono il loro contorno e una pasta lievitata ti fa pensare all’amore, al sesso, alla gravidanza.
Allora piangi “senza sapere perché”. Non vi capita?



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