Pubblicato da mmagliani su ottobre 25, 2011
Intervista di Marino Magliani
Nunzio Festa, Farina di sole (Senzapatria, 2011).
Una piacevolissima sorpresa, un romanzo costruito a quadri, fatto come di alte maree che si ritirano e ogni volta lasciano sul campo di battaglia una vita sconfitta. Ne parliamo con l’autore.
- Nunzio Festa, com’è nata l’idea di questo romanzo (si può chiamare romanzo?) politico che racconta le piaghe della prima repubblica e incontra persino Cesare Battisti?
Questo mio breve romanzo politico, civile, romanzo in quanto volevo fare un’opera innamorata delle vie del romanzo ma non degli schematismi di certi romanzi della contemporaneità, è stato ispirato dalla necessità di scrivere pagine che fossero rappresentative della mie idee più importanti: dunque troverete, come tu caro Marino, che sei tra l’altro stato il lettore più attento e intelligente del testo prima della sua pubblicazione, hai già sottolineato, come nel testo per esempio s’incontri Cesare Battisti: la cavia più bella di questo tempo, l’ex combattente, ma oggi scrittore e soggetto messo al muro, che m’ha fatto aderire alla causa del gruppo internazionale di solidarietà a suo favore. Per la libertà. Per la giustizia. Ma in questo mio romanzo ho provato a ragionare sul concetto stesso d’identità. Come sui tanti momenti di furto statale della prima repubblica e d’ogni repubblica possibile, almeno fin quando l’idea di governo e amministrazione saranno quelle oggi in piazza e il potere continuerà a reggersi.
- Le grandi parti del libro sono quelle in cui l’io narrante racconta la sua immobilità, e poi quando appare la voce della madre, le cose che lui le detta, e infine le immagini di un passato epico, riuscitissime, attraverso le campagne desolate e popolate dai banditi nel sud: il Risorgimento. La rivendicazione di un popolo spogliato, depredato. La scoperta del nemico: i piemontesi.
Come dicevo, infatti, ho tentato di ragionare sull’identità. E lettrici e lettori mi diranno il resto. Allo stesso tempo non è possibile, a maggior ragione oggi, non far parlare le madri che reggono spesso il mondo sulle proprie spalle. Mentre rispetto al “quadro”, riprendendo il tuo stesso mirato termine di descrizione, che narra il passato attraverso il racconto delle gesta d’un pezzettino di Mezzogiorno in rivolta, che di certo non stava facendo la rivoluzione eppure almeno allora faceva ‘tumulti’ (riprendo in questo caso la terminologia recentemente ripresa dai TQ), la natura vissuta dai briganti, per esempio, è già di per sé affascinante, inoltre condita dalle tane di questi modesti rappresentanti degli ultimi che riuscirono e vollero fare lotta armata contro l’invasione dell’oppressore piemontese inviato dal potere d’allora, diventa superba. Magari oggi ci fosse quel coraggio d’inventare resistenza e almeno in un certo senso rispettare il territorio nel e sul quale si vive.
- Senzapatria è un editore che mi sembra cerchi voci come la tua, la ricerca del linguaggio, l’originalità. Cose che altrove farebbero storcere il naso. L’avevano letto in molti prima di Cannella?
Per dire tutta la verità e soltanto il vero, devo affermare che oltre a diversi miei amici e conoscenti scrittrici e scrittori, poetesse e poeti ecc., pochi editori avevano letto Farina di sole. Comunque bocciandolo. In quanto, a parte la struttura ammetto difficile della trama, del racconto, hanno pensato di darmi qualche ideale pacchettina sulla spalla e farmi auguri. Invece Carlo Cannella, oltre a leggere alla velocità della luce il dattiloscritto, è stato sempre corretto ma soprattutto ha sposato immediatamente la lingua e gli ambienti dello scritto. Mai infatti finirò di ringraziarlo. Come devo ringraziare anche te che oggi mi poni questi interrogativi interessantissimi e dopo avermi sostenuto durante il periodo di difficoltà della proposta editoriale.
- Tu sei anche poeta e editore. E sei un artista del Sud, della Basilicata, di un posto tra terre, ma che per uno come me che se n’è fatto un’idea vaga, assomiglia a un posto di frontiera.
Vivo nella Lucania della marginalità. Dei margini non affrontati. La mia Basilicata è un piccola nave che perde passeggeri in continuazione: sa di spopolamento e di consumi sbagliati. Si fa d’alcol e di droga. Non legge. E dalle sue vene partono globuli verso altri posti. In crisi e senza crisi. Quando più e quanto meno, eppur sempre. La mia terra è fatta da piccole comunità che difficilmente superano le cinque mila entità. Paesi che distano decine di chilometri uno dall’altro, spesso comunque moltissimi di per sé, e che in più paiono separati da fiumi di distanza. Quando Arminio fotografa essenzialmente le sue Zone, mette parole che sono anche delle zone mie, utili a spiegare persino le mie, di zone. Se non ci sbrighiamo, innanzitutto noi di queste lande finiremo inghiottiti prima dagli uomini purtroppo rapaci e poi dalle frane che sono l’unico fenomeno naturale capace di tenerci in pensiero.