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Farsi male e stare meglio, secondo Howard

Da Quipsicologia @Quipsicologia

Torno sul tema dell’autolesionismo, cioè del farsi male procurando dei danni al proprio corpo senza però avere l’intenzione di uccidersi. Ne ho già parlato il mese scorso nel post Quando tagliarsi fa sentire meglio: cutting, cutter e autolesionismo.

Ci torno perché ho appena finito di leggere Skippy muore, un libro molto bello scritto da Paul Murray, irlandese. In Skippy muore ho infatti trovato, tra tante altre cose, una descrizione ben fatta di cosa prova chi giunge a farsi male.

Farsi male, ad esempio tagliandosi con un rasoio (cutting) oppure spegnendosi addosso le sigarette (burning), è l’unico modo che alcune persone sentono di avere a disposizione per interrompere delle emozioni spiacevoli che sono diventate troppo intense.

Emozioni come la rabbia o l’odio, la sensazione di essere vuoti e buoni a niente, la tristezza possono a volte diventare così acute da temere di  impazzire, di non farcela ad andare avanti. Quasi si stesse per scoppiare. Farsi male mette un freno a tutto questo: l’attenzione passa dal dolore mentale al dolore fisico e col farsi male la persona ha l’illusione di avere ripreso il controllo su se stessa, di avere scaricato la tensione e trovato un sollievo.

Farsi male secondo Howard

Nel libro di Murray Skippy muore, Howard è docente di storia in un college di Dublino. È stato sospeso dall’insegnamento e la sua vita, lontana dalla routine delle lezioni, comincia a sfaldarsi: Howard trascorre le giornate davanti alla TV, bevendo birra e mangiando quello che gli capita, immerso nel caos e nei ricordi.

Farsi male e stare meglio, secondo Howard

Farsi male e stare meglio: solo un’illusione

Gli trilla tutto nella testa come una campanella. Spegne la macchina fotografica e la mette giù. Prende le fotografie e le matrici e i biglietti, ma la scatola gli scivola dalle mani e gli oggetti, che si era tanto sforzato di non ricordare in tutti i giorni precedenti, si spargono sul pavimento come orfani fuggiti dalla caverna di un orco. Emette un ruggito, si piega di nuovo per raccogliere la roba, ma questa volta riesce anche a bruciarsi un gomito sulla candela. Ma vaffanculo! Cazzo! Digrigna i denti per la rabbia, stende il braccio e caccia la mano con il palmo verso il basso dentro la fiamma. La tiene lì più a lungo possibile, e poi ancora un altro po’, fino a che tutti i pensieri nella sua testa sono cauterizzati, e poi ancora un poco. Lacrime gli solcano le guance, chiude le palpebre e vede i fulmini. Il dolore è stupefacente, come scoprire un nuovo mondo sotto questo qui, un mondo crudo e vivido e frenetico. L’aria si riempie dell’odore di carne bruciata. Infine, con un grido tira indietro la mano e barcolla fino al bagno.

Tutta la mano è inerte; è come una sostanza aliena, un coagulo di fuoco o di dolore puro innestato sul suo braccio. Quando ci fa scorrere sopra un po’ di acqua fredda è come se tutto il suo corpo fosse colpito da qualcosa – come un cavaliere lanciato in una giostra, o come due onde che si scontrano, materia e antimateria. Ci si dimentica sempre che il dolore fa male, di quanto sia concreto, e privo di senso dell’umorismo. Rimane lì in piedi a piangere, l’acqua gli martella dentro la carne, l’agonia gli strilla nell’orecchio come un allarme. La sua mente, tuttavia, sospesa al di sopra di questa scena, si è fatta d’improvviso cristallina. [grassetto mio]

Per Howard, bruciarsi interrompe quel tumulto di pensieri angoscianti in cui è precipitato. Howard giunge a farsi male in modo abbastanza casuale, ma quando avviene non si tira indietro, anzi. Il dolore fisico, concreto, cancella tutto e prende il posto di emozioni per lui troppo intense e insopportabili. Il dolore fisico è una voragine che risucchia ogni cosa e che Howard sente svuotargli e pulirgli la mente. È solo un’illusione ma in quel momento Howard ancora non lo sa.

Per approfondire

Murray P. (2010). Skippy muore. Isbn Edizioni.

Photo credit: morgueFile

L'articolo Farsi male e stare meglio, secondo Howard è apparso per la prima volta su Qui psicologia - la psicologia, detta in modo semplice, a Roma e a Sant'Oreste.


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