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Fascismo in tempo di pace

Creato il 20 aprile 2013 da Danemblog @danemblog
In Italia si torna ciclicamente a parlare di fascismo, con buona frequenza, sempre dopo qualche dichiarazione sghemba di un qualche personaggio pubblico, membro della classe dirigente, del nostro paese. Succede sempre così: quando c'è qualcosa di importante nell'aria, quando fioccano comunicati, parole e prese di posizione, c'è altrettanto qualcuno che ci (ri)casca. Qualcuno che commette il peccato originale, di autoassolvimento dalla vergogna del fascismo. E qualcun altro che su questo ci specula.
L'occasione per parlarne - era da un po' che volevo farlo -, viene oggi dalla decisione di Grillo di presenziare per protesta Piazza Montecitorio. Il gioco dei giornalisti, semplice e pigro, è stato quello di definire l'iniziativa del M5S come una nuova "marcia su Roma" – Grillo in questi minuti si sta recando proprio a Roma, in camper. La distorsione giornalistica è ovvia, nonostante quel che si possa dire del Movimento e qualche scivolone di qualche componente (anche di spicco come quella volta che tutti ricordano), l'accusa di apologia di fascismo è da altre parti che va ricercata.
L'indulgenza italiana nei confronti del Duce e del suo periodo, parte da una questione semantica. Si accede a frasi e avvenimenti, a parole e gesti, con facilità e agilità, senza soppesare bene lo scenario che possono evocare. I giornalisti, in questo sono maestri. Ma a voler essere seri e a spostando il ragionamento su qualcosa di diverso dalla ricerca di titoli da prima pagina, va detto che il fatto si inquadra in un insieme più ampio, per lo più basato su un errore storico, o forse meglio sarebbe dire storiografico, diviso su due campi.
Il primo, la raffigurazione del Duce come un buon padre di famiglia, un passionale latin lover, un grande statista, un esempio da seguire. Ideatore di un preostorico made in italy (lasciatemi passare la licenza, per definire l'autoarchia), un tutore e riqualificatore ambientale (chissà perché quando si parla delle "cose buone" fatte dal regime, si cita sempre la bonifica dell'Agro Pontino, sia che si abiti ad Aosta che a Catania), l'oracolo dei valori sacri al nostro mondo: famiglia, patria, onore.
Il secondo campo in cui si coltiva quest'indulgenza, è quello del pre '38, si potrebbe definire così: si lascia passare con generosità, che se non fosse stato per quell'alleanza con Hitler, Mussolini le avrebbe azzeccate tutte . E qui ruota un punto importante: l'imputare al nazismo (ai tedeschi che ci volevano rubare il Mondiale, ma noi tié!) la tragedia del genocidio e le colpe della seconda guerra mondiale.
Il guaio storiografico dietro a questa bonaria interpretazione, sta nel non considerare che già prima di quel fatidico '38, Mussolini aveva provocato, più o meno direttamente, la morte dei suoi oppositori: da Matteotti a Gobetti, da Gramsci ai fratelli Rosselli, da Amendola a don Minzoni. E per altri c'erano state punizioni corpolari e persecuzione. Il potere preso con la violenza, le leggi liberticide già in atto da una decina d'anni, i brogli e la distruzione della democrazia. E poi le leggi raziali fasciste, per confutare definitvamente quella volontà di pulizia dell'anima sullo sterminio ebraico che arrivarono proprio in quel '38.
Tralasciando l'intima psicoanalisi personale, sulla volontà tutta nostrana di far passare quel pezzo di buono che può esserci in mezzo ad un male infinito come la panacea di quel male stesso, occorre riflettere anche che visti dall'esterno siamo davvero ridicoli. Ridicoli, non trovo migliori definizioni. L'Italia è l'unico paese in cui destra rima ancora con fascismo. I conservatori italiani, non sono emblema di legalità, merito, responsabilità, nazione: complice anche il personaggio che ha condotto i giochi su questa sponda politica in questi ultimi, lunghi, anni. Ma la questione è più ampia, Berlusconi è solo un complice, non privo di colpe sia chiaro. I saluti romani alle manifestazioni del PdL sono solo il sintomo di questo male. Un male che si fonda su un'ignoranza, su un errore interpretativo (storiografico appunto), su un conseguente falso mito e soprattutto su un'aberrante superficialità e un lassismo schiacciante.
E intanto gli altri ci guardano e ci inquadrano per quel che siamo: qualche giorno fa, David Miliband si è dimesso dal ruolo di direttore non esecutivo nel consiglio del Sunderland (squadra di calcio del Tyne and Wear, Inghilterra del nord, che milita in Premier League) dopo la decisione del club di affidare l'incarico di tecnico a Paolo Di Canio. Le ragioni: incompatibilità con le posizioni e le passate affermazioni poltiche dell'ex calciatore, ora allenatore, italiano, troppo filo-fasciste.
La ridicolezza della nostra posizione, sta nel fatto che non solo siamo miti e comprensivi con qualcosa di mostruoso e sbagliato, fino al punto di elevarlo ad esempio in parte positivo: non solo, noi continuiamo ad essere attaccati a quel periodo con un senso affettivo che pesca nei ricordi, patriottismo starato, e morbidamente protetto, per essere un pezzo della nostra storia.
L'antifascimo è un valore: un valore da coltivare e tramandare, un valore da insegnare e somministrare, un valore che dovrebbe sponsorizzarci al di fuori dei nostri confini, un valore sul quale dovrebbero poggiare i primi passi i nostri figli. Un valore che una volta affermato, sarebbe l'unica soluzione di discontinuità, con quel nostro terribile passato, nemmeno troppo remoto.
E comunque sarebbe già bene, che per preservare questo valore, si preservi anche i termini che lo contraddistinguono da usi impropri e strumentali.
Poi certo, definire "colpo di stato" la scelta di un candidato diverso dal proprio, rientra in quelle starature semantiche simili a quelle che definiscono una protesta "marcia su Roma".

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