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È stata una manifestazione indimenticabile per la forza, la combattività e l’entusiasmo di chi vi ha partecipato. Un entusiasmo contagioso, che dà senso al nostro impegno politico, testimonia che non chinare la testa serve a qualcosa, lottare ogni giorno ha un significato, può essere davvero utile e necessario per cambiare la società in cui viviamo.
A fare da contraltare a tutto questo, c’è stata la violenza e una gestione della manifestazione da parte delle forze dell’ordine semplicemente intollerabile. Il ministro Maroni si deve dimettere, perché è politicamente responsabile di ciò che è accaduto: dell’utilizzo da parte della polizia di armi con proiettili di gomma, del lancio di lacrimogeni ad altezza d’uomo e del ferimento di oltre 200 manifestanti. Tra questi alcuni sono gravi. C’è Jacopo, per esempio. Un ragazzo veneziano di 19 anni che è in ospedale con traumi molto gravi perché una granata lacrimogena lo ha colpito al torace. A lui e a tutti gli altri compagni va la nostra solidarietà incondizionata, il nostro abbraccio più fraterno.
Quello che è successo in val Susa ci deve però fare riflettere a fondo, perché sono passati dieci anni dall’omicidio di Carlo Giuliani, dalla mattanza della scuola Diaz e dalle torture di Bolzaneto e sembra che nulla sia cambiato. Aprire una riflessione seria sulle forze dell’ordine, sui loro compiti, sul loro addestramento, sul loro rapporto con la legge e la democrazia non è più rinviabile. Dobbiamo farlo nell’interesse di tutti, e in primo luogo delle stesse forze dell’ordine, che più agiscono in questa maniera e più accrescono nell’opinione diffusa la diffidenza e il distacco quando non il risentimento e il rancore. Sentimenti che, come si sa, non producono mai nulla di positivo.
Le violenze prodotte nella valle da parte di alcuni gruppi di manifestanti non sono condivisibili. Non producono alcun consenso (tutt’altro) e non servono a nulla.
Ma la retorica e l’ipocrisia della stragrande maggioranza della politica e dell’informazione italiana è vergognosa.
La Repubblica (un giornale che ambisce a rappresentare un elettorato democratico e progressista) a metà mattinata riprendeva sul suo sito internet i numeri della questura, parlando di 2mila manifestanti. Nel primo pomeriggio spiegava invece che circa 10mila manifestanti (black block, anarchici e gruppi provenienti dall’estero) si erano staccati dai cortei ufficiali per attaccare la polizia schierata. 10mila facinorosi che si staccano da un corteo di 2mila persone. A volte il servilismo e la malafede sono talmente sfacciati da produrre un effetto comico.
Fassino parla di «violenti e facinorosi» e firma un comunicato congiunto con il presidente leghista della Regione Piemonte in cui ribadisce «l’importanza strategica della Tav e la volontà di andare avanti senza farsi intimorire» (perché questa è l’unica cosa che a loro interessa veramente). Il Presidente della Repubblica parla di «violenza eversiva», diversi parlamentari del Pdl addirittura di «terrorismo».
Le parole sono importanti e ognuno dovrebbe imparare ad assumersi la responsabilità di quelle che usa.
E allora, con tutta franchezza, bisogna dire che oggi abbiamo visto all’opera due violenze, distinte ma complementari. La prima violenza è quella delle forze dell’ordine, che hanno ingaggiato uno scontro con i manifestanti (con tutti, non soltanto con quelli che si sono personalmente resi protagonisti di episodi del tutto estranei alle pratiche e al sentire comune del corteo) che soltanto per caso e per fortuna non si è concluso con la morte di qualcuno.
La seconda violenza è quella di una politica (e delle istituzioni che questa politica occupa e finisce per rappresentare) totalmente insensibile alla volontà dei cittadini. Che va avanti come se niente fosse, che impone con la forza l’interesse privato e il profitto di pochi.
Ma una classe politica che ha bisogno degli elicotteri, dei cordoni di polizia, delle spranghe e dei lacrimogeni per imporre i propri capricci non ha alcun futuro.
Il futuro invece lo hanno in mano quelle ragazze e quei ragazzi che, con il sorriso sul volto e nel cuore una voglia irrefrenabile di cambiare il mondo, si sono dati appuntamento in val Susa e tanti altri se ne daranno nelle prossime settimane. Noi siamo tra loro, sempre più convinti di stare dalla parte giusta.
Simone Oggionni - Coordinatore nazionale Giovani Comunisti
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