Quanto conta il pensiero nel compiere un atto qualsiasi? Quanto vale l’impulso e la mancata riflessione nel ritrovarsi, poi, in condizioni critiche o addirittura morti? Riflettevo sulla scomparsa del giovane liceale leccese, Andrea De Gabriele, una morte che sento come un fatto terribile, angosciante. La dinamica dell’incidente è stata tutta all’insegna della fatalità, sicuramente. O no? Andrea, da quello che ho visto in televisione, s’è arrampicato su una recinzione molto alta, aiutandosi con una sedia – e già questo è stato un atto improprio – recinzione che delimita il cortile della scuola frequentata, da un pozzo luce di pertinenza di un vicino centro commerciale. Il ragazzo doveva recuperare la sua giacca finita sul lucernario che copre il pozzo luce. La giacca era finita lì per caso? Per colpa di qualche scherzo idiota dei compagni? Non è dato di sapere. Fatto sta che Andrea ha scavalcato la recinzione. Alta, molto alta, fatta proprio per evitare che qualcuno potesse arrampicarsi e oltrepassare quel limite. La giacca finita oltre poteva essere recuperata in altro modo per certo, ma il ragazzo ha scelto la via più semplice, quella che non doveva essergli sembrata un pericolo. Il pensiero ragionevole, quello che gli avrebbe potuto salvare la vita, non s’è affacciato nella sua mente; la campanella stava per suonare, bisognava fare in fretta per tornare a casa. Andrea a casa non ha fatto più ritorno. Piango la morte di questo ragazzo come insegnante e mi dispero, come madre, al pensiero di quei genitori che se avessero potuto fermare il tempo, bloccare il loro figlio prima che scavalcasse, avvertendolo che la fretta non porta consiglio, che la recinzione era alta, accidenti! – non è necessario che ci sia un cartello per dirti che quella recinzione tu, alunno, figlio, non devi scavalcarla per nessuna ragione al mondo – quei genitori l’avrebbero fatto mille e mille volte, urlando di rabbia per il pensiero senza riflessione del loro ragazzo. I ragazzi sono così, nella maggior parte dei casi, e non va bene. Si parla e straparla di sicurezza a scuola e poi succedono cose così. Così come stamani, a scuola, quando ho bloccato un ragazzino di terza, ripetente, che vive perennemente nei corridoi, mentre giocava a cavalcioni sulla ringhiera che delimita le scale. Gli ho detto di scendere e alle sue proteste gli ho ricordato che la ” fatalità ” poteva fargli mettere in fallo un piede, oppure poteva incastrarsi in malo modo tra i ferri della ringhiera. Gli ho ricordato la vicenda di Andrea e lui di tutta risposta ha ribattuto: Oh ‘ssore’ mi porti sfiga! La dabbenaggine che si è coniugata con la superstizione.