di: Fabio Marcelli
Per un malinteso con la redazione questo post è stato pubblicato in anticipo qualche giorno fa. Lo riprongo oggi che è il giorno giusto. Con in più questo video della canzone che Silvio Rodriguez ha dedicato al comandante. Con un pensiero ad Angelo Di Carlo, disoccupato romagnolo che si è dato fuoco l’altroieri a Montecitorio.
Qual è il nesso? Primo, che a Cuba, con tutti i suoi problemi, nessuno sente il bisogno di suicidarsi.
Secondo, che per evitare questi ed altri (290 negli ultimi tre anni per motivi legati alla crisi) suicidi dovremo prima poi deciderci a seguire l’esempio di Fidel e dei suoi compagni. Con tutte le specificità del caso italiano, ovviamente. E inventandoci una nostra originale rivoluzione che presumibilmente seguirà strade diverse ma con l’obiettivo comune di una società più giusta, egualitaria ed umana.
E rieccovi il post.
Molti anni fa, ma neanche moltissimi a dire il vero, accadevano ancora, in questo mondo, ribellioni e rivoluzioni di gente stanca di vivere da schiavi, che rovesciava regimi apparentemente invulnerabili. Ciò successe, ad esempio, nel 1959 a Cuba. Erano arrivati su di una mitica barca, il GranMa (nonna), poco tempo prima, in 82 e di essi solo 12, fra di loro un italiano, Gino Doné, sopravvissero. Ma nel giro di tre anni, con l’appoggio della popolazione, primi fra tutti i contadini, vinsero, entrando all’Avana. Parliamo di Fidel, di Ernesto, di Raùl, di Camilo.
Da allora Cuba è simbolo di ribellione all’ordine imperiale, esempio per tutto il Terzo Mondo e l’America Latina in particolare. Da allora contro Cuba si sono scatenate macchinazioni di ogni tipo, dalla tentata invasione della Baia dei Porci, respinta dalla mobilitazione popolare, al terrorismo indiscriminato, contro cui si sono mossi i cinque agenti arrestati e detenuti oramai da quasi quattordici anni nelle carceri statunitensi, al discredito organizzato con fondi versati a piene mani alla stampa di tutto il mondo (sarebbe interessante sapere quanti di questi soldi sono pervenuti a giornali italiani, magari “indipendenti” e pure “di sinistra”) con la conseguenza che, in effetti, non sempre Cuba gode di ottima stampa, specie nei Paesi che non brillano per informazione sugli esteri, come ad esempio il nostro. E già mi immagino i commenti indignati che si riverseranno su questo post da parte dei cagnolini di Pavlov “formati” dalla “libera stampa” e dall’ancora più libera televisione.
Già mi pare di leggerli… Ma come? Se a Cuba non c’è la libertà? Se a Cuba non c’è la democrazia? Ma di quale libertà e democrazia stiamo parlando se i grandi “specialisti” mondiali in materia, come gli autoproclamati Freedom House, hanno stilato una classifica di violatori della libertà dalla quale, per fare un esempio, risulta assente la Colombia, primatista mondiale in uccisione di sindacalisti? O l’Honduras, dove un golpe ha rovesciato, qualche anno fa, il legittimo presidente e continuano le persecuzioni ai danni degli oppositori, con omicidi mirati e sparizioni. Che serietà dimostrano questi sedicenti paladini dei diritti umani, che rispetto pretendono?
A Cuba, in un quadro latinoamericano per lunghi e sanguinosi decenni contraddistinto da enormi violazioni dei diritti umani, non è mai avvenuta una sparizione, mai si è avuto un episodio di tortura. Quanto alla democrazia, il popolo vota i suoi rappresentanti, dal livello locale fino a quello nazionale. Certo, non possono scegliere tra un Romney e un Obama, ma tutto sommato se ne fregano altamente. E fanno bene, visto che, come negli Stati Uniti o altrove, la commedia del bipolarismo o del pluralismo partitico nasconde la sostanziale fedeltà di tutte le forze politiche a un sistema economico comunque caratterizzato da sfruttamento, esclusione, oppressione, polarizzazione sociale. A Cuba è garantito un alto livello di istruzione non solo a tutti i cittadini ma anche a ventisettemila studenti stranieri provenienti dall’America Latina e dal resto del mondo, come ha ricordato qualche tempo fa Antonio Guerrero, uno dei cinque combattenti antiterroristi imprigionati da quasi quattordici anni negli Stati Uniti, in una sua lettera ai giovani cubani.
Certo, a Cuba non mancano i problemi. Frutto in buona parte dell’embargo più volte condannato dalle Nazioni Unite ma ancora praticato dagli Stati Uniti, in parte di errori, anche gravi, più volte riconosciuti dagli stessi dirigenti cubani. Problemi economici, cui si tenta di trovare soluzione attraverso vie originali, come quella tracciata dall’ultimo congresso del Partito comunista cubano e discussa democraticamente da milioni di Cubani. Problemi di prigionieri di coscienza, accusati di avere tradito la patria e di assecondare le trame imperialiste, la cui reclusione suscita qualche preoccupazione anche in buona fede. Quasi tutti peraltro sono stati liberati. E le denunce di violazione dei diritti umani sono sicuramente gonfiate ed eccessive, se è vero che l’ultimo rapp0rto di un ente autorevole come Amnesty International si limita ad alcune generiche accuse, mentre si sofferma giustamente sulla pena di morte negli Stati Uniti.
Problemi che, in massima parte, sarebbero risolti se gli Stati Uniti e i loro servi sparsi per il mondo desistessero dalla loro oramai più che sessantennale campagna contro Cuba. E prendessero atto del fatto che tanto non ce la fanno a destabilizzare i Cubani. I tranquilli, ironici Cubani. Pacifici ma non disposti a farsi mettere i piedi in testa da nessuno. E il loro grande leader, Fidel, che oggi, 13 agosto 2012, compie 86 anni. Fra gli ultimi esponenti di una generazione di rivoluzionari che ha cambiato il mondo, in attesa della prossima leva, che ci consenta di uscire dall’attuale disastrosa situazione del pianeta. Buon compleanno comandante!