La notizia del 30% di vittime donne di omicidi volontari si trova a pagina 13 del Report sulla sicurezza Ferragosto 2013 presentato ieri, e da molti è stata presentata come la conferma del “femminicidio” in corso. Ma la realtà – posto che anche una sola donna uccisa costituisce un crimine gravissimo verso il quale è doveroso fare giustizia – è che, come molti tentano di spiegare da tempo, non esiste un allarme “femminicidio”. Perché? Semplice: anzitutto perché è costante, in Italia, il calo di donne uccise: 192 nel 2003, 181 nel 2006, 156 nel 2010, 124 nel 2012. Numeri dinnanzi ai quali si potrebbe ribattere che è la componente percentuale sul totale, e non il numero assoluto degli omicidi di donne, a determinarne l’effettiva diminunzione.
E qui ci troviamo di fronte a un aspetto singolare, nel senso che la percentuale di donne uccise, in effetti, non è diminuita nel tempo, anzi è leggermente cresciuta. Quindi l’allarme “femminicidio” esiste? No, continua, fortunatamente, a non esserci. Infatti, spulciando le oltre 450 pagine del Rapporto Criminalità Italia del Ministero dell’Interno si legge che «questo mutamento è dovuto al fatto che sono diminuiti gli omicidi commessi nell’ambito della criminalità organizzata» (p. 128). In altre parole gli uomini non si sono improvvisamente trasformati in mostri assassini, ma è cambiato il modus operandi (meno spargimento di sangue) «della criminalità organizzata», di gran lunga la più alta responsabile di omicidi nel nostro Paese.
L’allarme “femminicidio” – contrariamente a quanto si racconta – si presenta nemmeno se si considera quanto accade fra le mura domestiche. Infatti, se da un lato è vero che più dell’80% degli omicidi ha come autori degli uomini, in ambito domestico la percentuale di vittime femminili non è dell’80% ma del 58,7% (Gli omicidi in ambiente domestico in Italia, Eures 2006; 1-12:5). Forse gli uomini, rispetto alle donne, uccidono più fuori che dentro casa? Sembra dirlo il già citato Rapporto Criminalità Italia del Ministero dell’Interno, che afferma che «le donne commettono omicidio soprattutto verso maschi» e questi omicidi «solitamente avvengono nei confronti del proprio partner, in ambienti quindi familiari». Tutti omicidi commessi per autodifesa? Difficile.
Anche perché esiste – parimenti grave ma censuratissimo, tanto è vero che, per definirlo, dobbiamo ricorrere a ricerche straniere – un problema di violenza domestica ai danni degli uomini, i quali, quando questa non è repiproca, la agiscono per primi solamente nel 3% dei casi (Straus – Gelles (1989) Physical Violence in American Families: Risk Factors and Adaptations to Violence in 8,145 Families), ma non la denunciano quasi mai, vale a dire in meno dell’1% dei casi (Roberts – Springer (2007) Social work in juvenile and criminal justice settings (III Ed.)). Tutto questo per dire che le donne sono “cattive” e gli uomini “buoni”? No, certamente. Semplificare è sempre sbagliato. Anche quando, complici i mass media, si racconta un allarme “femminicidio” che non esiste.