Fenomenologia del renzismo: seconda parte. O del che tutto cambi affinché nulla cambi, ma in silenzio. E senza carisma.

Creato il 09 marzo 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Rina Brundu. La prima parte? La prima parte della fenomenologia renzista non serve buttarla giù nero su bianco perché la conoscono tutti. Dunque c’era un giovane sindaco fiorentino che vestito alla Fonzie andava nello studio di Maria de Filippi a parlare ai ragazzi. E poi c’era lo stesso sindaco fiorentino che predicava sulla necessità di “rottamare” l’intera classe dirigente del PD perché incapace di parlare al mondo che cambiava, infine c’era sempre quel Fonzie in riva all’Arno che, dalla sua poltrona di sindaco, dopo avere detto al Premier incarica di “stare sereno”, lo ha liquidato velocemente e altrettanto velocemente ne ha preso il posto.

Fin qui nulla di speciale avrebbe concluso il grande segretario fiorentino, l’altro, quello che rispondeva al nome di Niccolò Machiavelli e che queste miserrime dinamiche umane le conosceva come nessuno. Il problema è il “dopo”, ovvero “la seconda parte” di cui si è detto nel titolo. Se il buon giorno si vede dal mattino infatti non c’è da stare allegri dei “risultati” ottenuti dal renzismo durante le due prime settimane di rodaggio. Oggidì, rispetto ai primi 7 giorni di presidenza Renzi – giorni nei quali lo stesso Premier e il suo entourage ministeriale parevano avere optato per una forte visibilità mediatica – sembrerebbe esserci stato soltanto un impercettibile cambio di rotta.

A primo guardare si sarebbe quindi portati a pensare che si sia finalmente optato per una sana politica dell’ora et labora, ma in silenzio. Again: il problema? Il problema è che mi riesce difficile pensare che la squadra governativa, Premier compreso, sia particolarmente attratta (attratto) dalle filosofie francescane. Non un loro demerito, un problema dei tempi. Ne deriva che quando la cenere copre la brace io mi domando sempre che cosa stia realmente accadendo nel cuore dell’incendio. Una possibilità molto probabile, per esempio, è che la seconda parte di una sua ideale fenomenologia descriva il renzismo come una dottrina di mera proposizione ma non di realizzazione. Quasi come se il propellente usato abbia già sviluppato la sua quantità di calore e già provocato la relativa spinta in avanti. Il renzismo sarebbe perciò una dottrina di azione ma non di reazione; una dottrina che in virtù della sua particolarissima natura ha già esaurito il suo compito, ancor prima di nascere da un punto di vista strettamente operativo (ma anche politico).

Il rischio? Il rischio è che un simile pensiero-politico diventi la concezione gattopardica per eccellenza, alla maniera di un razzo-seduto che non spiccherà mai il volo ma la cui presenza ingombrerà l’orizzonte della piattaforma di lancio per molto tempo a venire. E, sotto la sua ombra immobile e immobilizzante, molte stranezze potranno accadere. Per non scontentare nessuno: vedi Obama, vedi Putin, vedi i sindacati, vedi le imprese, vedi i media-che-contano (già tutti cooptati), vedi i pensionati, vedi gli insegnanti, vedi gli alunni. Che poi il renzismo sembra molto portato verso la didattica al punto che il metodo renzista lo si potrebbe già sostituire al metodo Montessori.

Il problema (di nuovo!) è che per risolvere i problemi delle generazioni post-digitali non basta più salvaguardare l’indipendenza e il rispetto per il naturale sviluppo mentale dei ragazzi. Serve altro: altrimenti ti bacchettano loro. Serve per esempio anche soltanto il carisma per convincerli della bontà delle tue lezioni e delle tue intenzioni. E, no!, nonostante tutto Matteo Renzi non è John Fitzgerald Kennedy, questo si può già dirlo con una data sicumera nonostante il poco tempo passato dal ricevimento dell’incarico. E il carisma di quel mitico presidente americano gli manca.

Ma magari mi sbaglio, tutto può essere.

Featured image, il lancio di un missile Redstone progettato da von Braun per il Mercury.


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