Oggi 8 marzo, festa della donna, non possiamo non parlare di qualcosa di legato a questa festa dal significato profondo ma, purtroppo, come tutte le cose, ormai commercializzata e resa banale con spogliarelli e serate vuote. Il mio modo di trattare l’argomento è quello di parlare di donne che si sono distinte in qualcosa legato alla nostra bevanda preferita. L’anno scorso abbiamo parlato di Kasia Vermaire, prima donna a ottenere il titolo di tea sommelier in Olanda. Quest’anno voglio raccontarvi una storia molto più vicina a noi, una storia che ho scoperto per caso ma che mi ha da subito attirato perché ho sentito molto vicino a me.
Sto parlando di Gabriella, oggi proprietaria del Chà Tea Atelier, in passato pubblicitaria, prima in agenzia poi, dalla nascita delle due bimbe, come freelance. Una vita frenetica, senza orari, solo emergenze che la trattenevano in ufficio fino a tardi e nei weekend.
La passione per il tè di Gabriella è nata ai tempi dell’università. «L’ultimo anno l’ho trascorso a Granada – racconta – dove c’erano tantissime tetèrias in stile arabeggiante. Fu in una di queste che per la prima volta sentii un tè in foglie perché il resto non mi piaceva». Prima di quell’esperienza, Gabriella beveva solo caffè: «Per me il tè era qualcosa per quando si stava male e la mamma ti metteva in infusione una bustina per farti passare il mal di pancia». Altra cosa che trovò interessante era il rito che accompagnava questa bevanda:«Dopo l’università ci vedevamo in questi posti, bevevamo il tè seduti su dei grandi cuscini, chiacchieravamo, con tranquillità. Mi piaceva molto».
Tornata in Italia, Gabriella continuò a cercare tè in foglia, «soprattutto neri che sono la varietà più conosciuta in Occidente». Non era sempre facile trovarli e allora, appena si muoveva dall’Italia, ne faceva scorta o chiedeva agli amici in partenza per l’estero di portargli come pensierino. «In giro vedevo queste sale da tè, questi negoziati,… e mi piacevano tantissimo. Mi chiedevo ‘Perché in Italia non esiste niente di simile?’ ma ancora non avevo deciso di dedicarmi completamente al tè».
Sono passati tanti anni da quel viaggio a Granada e oggi Gabriella non riesce più a bere i tè che beveva all’inizio, «non ne ho uno preferito, tutto dipende dalle stagioni e dal momento della giornata. Mi piacciono i tè puri verdi cinesi e gli oolong perché è una famiglia molto varia che mi sembra interessante da scoprire. I pu erh li bevo solo in autunno e in inverno, soprattutto dopo cena, mentre i bianchi non mi esaltano, non mi danno le stesse emozioni che mi danno gli altri».
Non male vero? Anch’io, sinceramente, penso spesso ‘Ma perché non apro un negozietto mio?’, lontano dalle delusioni, dalle fatiche, dagli sfruttamenti, dalla frenesia del mondo del giornalismo (che per certi versi assomiglia molto a quello della pubblicità!)? Chissà,… intanto, cari lettrici, godiamoci questa festa con un momento di relax, una tazza in mano del nostro tè preferito, un bel libro e una leggera musica di sottofondo…