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La Festa della Repubblica, fra la cultura e l'ignoranza della Lega Nord
Oggi Sul Romanzo sospende le attività per ricordare la Festa della Repubblica, rimandando a domani quanto era previsto. Qualcuno potrebbe sostenere che tale festività nulla abbia a che fare con la letteratura, sbagliato.
Le elezioni del 2 e 3 giugno erano incerte, da un lato forte era il desiderio di punire il Re, il quale aveva accettato le prepotenze del fascismo. Dall’altro lato si desiderava spostare a una data diversa il referendum, i monarchici avrebbero guadagnato migliaia di voti per esempio dai prigionieri non ancora rimpatriati. Nonostante la situazione delicata, l’89% del paese andò alle urne. Si narra che al Viminale giunsero prima i dati del sud e sembrava tutto imprevisto: la Monarchia dominava, la parte meridionale del paese era ancora lontana dai venti repubblicani. Poi il peso significativo del nord fu fondamentale, alla fine la differenza di circa due milioni di voti consegnò la vittoria alla Repubblica, con un paese diviso a metà: nel nord vinse con più del 60% l’anima repubblicana, al sud circa la stessa percentuale in favore di quella monarchica. Soltanto due le province settentrionali in controtendenza: Cuneo e Padova, per ragioni che sarebbe lungo spiegare in questa sede. All’indomani dell’esito la situazione non si presentava definita e serena, tanto che per esempio a Napoli vi furono morti e feriti, proteste contro la bandiera tricolore senza lo scudo di Savoia. Giorni di transizione fra ricorsi e malcontenti. Il 13 giugno 1946 Umberto di Savoia abbandonava il paese, deciso a collaborare senza ulteriore spargimento di sangue.
Giorni, mesi e anni difficili, gli intellettuali del paese erano divisi, ma il sentimento nazionale era condiviso dai più.
“La cultura italiana è stata particolarmente provata nelle sue illusioni. Non vi è forse nessuno in Italia che ignori che cosa significhi la mortificazione dell’impotenza o un astratto furore. Continueremo, ciò malgrado, a seguire la strada che ancora oggi ci indicano i Thomas Mann e i Benedetto Croce? Io mi rivolgo a tutti gli intellettuali italiani che hanno conosciuto il fascismo. Non ai marxisti soltanto, ma anche agli idealisti, anche ai cattolici, anche ai mistici. Vi sono ragioni dell’idealismo o del cattolicesimo che si oppongono alla trasformazione della cultura in una cultura capace di lottare contro la fame e le sofferenze?”[29 settembre 1945, Il Politecnico, a firma del fondatore della rivista, Elio Vittorini]
La fame e le sofferenze del periodo che precedettero la nascita della Repubblica Italiana furono il vero obiettivo del dibattito culturale, in altre parole come allontanarsi nel migliore dei modi da orrori già vissuti. E gli intellettuali parteciparono, unitamente alla formazione del nuovo sentimento nazionale, alla discussione; non è un caso che molte riviste culturali nacquero in quegli anni, da Il Politecnico di Vittorini alle Cronache Sociali di Dossetti, da Il Ponte di Calamandrei a Belfagor di Russo e Omodeo. La brama di contribuire a promuovere una nuova cultura, che ispirasse non soltanto l’intellighenzia, altresì le masse. Le voci non avevano la medesima foggia, non c’era un’unità affettata, tuttavia chiaro era l’intento: stimolare il dibattito, formare nuove menti, cercare possibili soluzioni condivise per un paese che stava vivendo uno dei periodi più incerti della propria storia dal 1961.
I letterati non stettero a guardare: Pavese, Rebora, Fortini, Pratolini, Gatto, Banti, Morante, quanti nomi si potrebbero elencare? Non perché solo viventi in quegli anni, giacché impegnati ad aumentare gli stimoli culturali, qualcuno anche assai vicino alle tematiche della Resistenza e della Repubblica, consapevoli che il territorio italiano poteva vincere le proprie difficoltà unendosi, contribuendo ognuno ad abbandonate vecchie diatribe. Sì, il repubblicano e il monarchico potevano condividere un unico elemento: l’unità nazionale. E pur fra avversità considerevoli quella fu la voce dominante. E questa dovrebbe essere ancora oggi, fra destra e sinistra del paese, così lontane, così litigiose, nel giorno della Festa della Repubblica. Non solo i politici, anche gli artisti, anche i semplici amanti della letteratura e della cultura, tutti.
L’Italia è un paese dai mille problemi, ciononostante il nostro unico e vero collante non può che essere l’orgoglio di essere italiani, di sentirsi uniti in un’unica barca. I ministri leghisti che oggi non sono a Roma alla parata dimostrano la loro piccolezza culturale, la loro ignoranza; Bossi, Calderoli, Maroni e tutti coloro che pensano che il 2 giugno non sia importante per il paese si vergognino, rappresentano gli ultimi rimasugli di feccia culturale del paese.
Art.54 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”.
Art.67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
La Padania è una sciocchezza storica e sarebbe bene che i leghisti iniziassero a capirlo, loro, che intanto mangiano a Roma per essere coerenti.
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