Curioso vedere, uno dopo l’altro, in concorso al 66° Festival del film di Locarno, opere diversissime ma incentrate sullo stesso, spinoso, argomento: l’amore condiviso. Ovvero sottratto a qualcun altro, rubato, complicato. “Ma perchè sono l’argomento dei tuoi film?” chiede sorpresa Sunhi, protagonista di Our Sunhi di Hang Sangsoo. Sta parlando con uno dei tre uomini che frequenta, contemporaneamente. Tre amici, alla ricerca di se stessi, prima che del riscontro sentimentale dell’altra persona, che guarda caso è la stessa. Lei sa tutto, non è una femme fatale, ma una studentessa confusa, con il sogno di fare cinema – anche se, le dicono, “chi fa cinema è brutta gente”.
C’è ironia e voglia di raccontare l’assurdo delle relazioni nell’agrodolce commedia degli equivoci del regista coreano, dove l’insistenza su alcune iterazioni (il pollo, le stesse frasi dette e ridette di continuo, come a sottolineare con umorismo che i meccanismi sentimentali talvolta si somigliano un po’ troppo) provoca risate silenziose e involontarie, mentre si segue la vicenda di una ragazza “innocente e un po’ strana” che alterna i tre uomini in una giostra di malintesi emotivi.
Di tutt’altro spessore e intensità il melodramma Une autre vie firmato Emmanuel Mouret, che vede Jasmine Trinca – ormai sempre più intensa- nel ruolo di una candida pianista che s’innamora, per caso, di un addetto agli allarmi domestici. La passione, tenuta a freno sulle prime per via di una terza persona – la fidanzata di lui, una splendida Virginie Ledoyen dal sorriso struggente – finisce per esplodere in una relazione che, a sorpresa, ha del soave. A discapito di facili moralismi, Mouret non racconta lo squallore di una storiella clandestina, ma piuttosto l’incanto contagioso di quella che pare la più bella storia d’amore di tutti i tempi, incorniciata da fotografia, musiche e toni fiabeschi. E invece è la realtà: due anime si cercano, si trovano e intanto scelgono di ritagliarsi una bolla tutta loro fatta di scambi e condivisioni genuine.
L’altra faccia della medaglia, come sempre, è la sofferenza nera di chi c’era già, l’egoismo raddoppiato, le menzogne e i sensi di colpa senza fine, che calpestano la dignità di chi capisce quand’è il momento di ritrarsi e abbandonare il campo di battaglia. Fa sorridere che dietro la macchina da presa ci sia un uomo, soprattutto perchè il film è un duello silenzioso tra due donne: una, che si lascia andare ai propri sentimenti soffocando dubbi e incertezze continue. L’altra, che maschera nei sorrisi la disperazione di chi non riesce a tenersi accanto l’uomo che ama. Nel mezzo, tre vite che scorrono, come tante, come tutte, nell’incomprensione della complessità di quel sentimento divino e crudele che i più chiamano “amore”.
di C. Catalli per Oggialcinema.net