James Franco sconvolge, spiazza e divide con il suo Child of God, libera trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Corman McCarthy. In concorso a Venezia 70, il film vede nel ruolo principale di Lester Ballard, killer, maniaco, necrofilo emarginato dalla società e isolato in un bosco, il bravo Scott Haze, che è arrivato al Lido insieme al regista.
James Franco, perché hai scelto di portare sullo schermo questo romanzo di McCarthy?
James Franco: Io amo Corman McCarthy, e ho amato subito questo romanzo, sin da quando l’ho letto la prima volta, circa sette anni fa. Ciò che mi ha impressionato è la descrizione della solitudine, anche perché io sono sempre stato affascinato da tematiche come la solitudine, appunto, l’emarginazione, l’alienazione.
Infatti anche negli altri tuoi film tratti quasi sempre il tema della solitudine. Sembra una costante del tuo cinema…
James Franco: Effettivamente anche quando ho raccontato le storie di artisti, di un poeta, di Bukowski è stato così. Ma quei film erano concentrati su un individuo che ha già un’esperienza sua del mondo e che per alcune incomprensioni è stato spinto all’emarginazione, all’isolamento. Qui invece abbiamo Lester, che vorrebbe far parte della società ma non ne è capace.
Sembra che ormai ci hai preso gusto a fare il regista…
James Franco: Mi piace molto fare il regista, anche se non credo ci sia molto differenza tra recitare e dirigere. In entrambi i casi si tratta di portare una storia sullo schermo e in entrambi i casi si hanno delle responsabilità. Facendo il regista bisogna solo ampliare queste responsabilità.
Come definiresti il tuo film?
James Franco: Il mio è un film violento, ma credo che non sia estremo nel mostrare la violenza, tutt’altro. La cosa più estrema e violenta del film è il suo argomento, il suo soggetto. Da un’idea del genere poteva nascere un horror, o un thriller, ma io invece ho preferito concentrarmi sullo studio del protagonista. Non è un film costruito sulla violenza, ma sul personaggio.
Ultimamente il cinema sta attingendo molto dalla letteratura. E’ il segno che è difficile oggi inventare qualcosa di completamente nuovo?
James Franco: Non è assolutamente vero che non si può creare nulla di nuovo. A me piace rifarmi alla letteratura degli autori che amo, McCarthy, Faulkner, mi sembra di poter collaborare con loro, è come se loro entrassero nel mio mondo.
Sei stato ispirato anche da qualche film?
James Franco: Ci sono tanti film che mi hanno influenzato, almeno stilisticamente. Amo molto i fratelli Dardenne, Gus Van Sant, ad esempio. Ma credo che il modello che più ho seguito sia Taxi Driver perché anch’esso esplora un comportamento estremo senza essere né un horror né un thriller.
Scott Haze, come ti sei preparato a questo ruolo molto fisico?
Scott Haze: Mi sono ispirato molto anch’io al personaggio di Taxi Driver, ma anche al Joker di Heath Ledger. Poi sono stato diverso tempo in Tennessee e ho cercato di incontrare tante persone, per capire il loro modo di parlare e di comportarsi. Lì avevo un amico che possedeva una casetta nel bosco, me la sono fatta prestare e sono stato quasi tre mesi in isolamento, mangiando solo una mela e un pezzo di pesce al giorno. E’ stata un’esperienza difficile, ma per me questo film era un’occasione unica e volevo arrivare pronto sul set.
Com’è James come regista?
Scott Haze: Molti registi si intromettono troppo nel processo attoriale, con James invece non è stato così. Mi ha lasciato completamente libero. Non mi ha mai fatto sentire a disagio e i ha guidato nel modo migliore possibile.
foto Federica De Masi © Oggialcinema.net
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net