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Che parole trovare per un uomo licenziato un anno fa dalla Fiat per motivi disciplinari (pare avesse usato un badge altrui per accedere al servizio mensa) e da allora disoccupato?
Stanco, ferito, depresso, esasperato...?
La vicenda è tristerrima non solo per l'incertezza, che definirei criminale, in cui verte l'esistenza stessa dello stabilimento siciliano che i vertici Fiat intenderebbero smantellare a fine anno: ma anche per la facilità con cui i licenziamenti disciplinari vengono messi in atto nella nostra società che sembra confondere il serio con il faceto, la faciloneria con i drammi, la realtà, diciamolo pure, con la fantasia pubblicitaria proposta in tutte le salse dalla maggior parte dei media per ventiquattr'ore al giorno.
E' possibile al giorno d'oggi, dopo decenni di conquiste sindacali (ormai drammaticamente messe in discussione) che un dipendente venga licenziato per il solo fatto di essere andato in mensa con il badge di un collega?
Che non è un'azione lecita, d'accordo. Ma chi è senza peccato, come disse qualcuno che non a caso è stato protagonista di un processo-farsa seguito da una condanna a morte barbaramente eseguita, scagli la prima pietra. E i vertici Fiat non fanno sicuramente eccezione. La punizione, come disse qualcun altro che, seppure ateo e illuminista, ha fatto eco al primo, ha da essere "proporzionata a' delitti".
Un licenziamento per un badge è uno dei tanti aspetti dell'abuso di potere tanto evidente nella nostra società contemporanea, che viene fra l'altro attuato tramite il controllo. Ma questa è un'altra storia.
Il fatto drammatico di Termini Imerese è doloroso per l'umanità ferita su cui ha puntato improvvisamente i riflettori: stuoli di giovani disoccupati ma anche uomini di mezz'età il cui posto di lavoro, fino a ieri una ragionevole certezza, è oggi messo in discussione. Apprendisti con stipendi minimi e gli straordinari sottopagati accanto a lavoratori di lunga data che si ritrovano improvvisamente precari. Giovani mariti e padri instabili, anziani prossimi al sogno di una pensione che vengono mandati a casa. Cassintegrati, precari della scuola, disoccupati e inoccupati, licenziati per motivi disciplinari (si legga per nessun valido motivo) e chi più ne ha più ne metta.
Come non aspettarsi, prima o poi, l'angoscioso esplodere di una condizione che non è più soltanto individuale ma sociale, dalle dimensioni ormai spropositate, un dramma che mina l'Italia alle radici (il primissimo articolo della nostra Costituzione non sancisce forse che la nostra è una repubblica democratica fondata sul lavoro?) e per il quale le risposte della nostra classe politica risultano da tempo inadeguate?
Troppe domande oggi. Che di fronte ai volti dei protagonisti del dramma di ieri restano disattese. Inascoltate.
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