Da un’articolo di La Repubblica
Figlio unico: 7 miti da sfatare
In Italia sono ormai sempre più diffuse le coppie che scelgono di fermarsi al primo figlio. Una decisione accompagnata ancora oggi da stereotipi e pregiudizi. A molti, infatti, sarà capitato di sentirsi dire che il bimbo diventerà più viziato, prepotente o timido. Oppure che rischia di diventare grande troppo in fretta. Ecco il parere dell’esperta e i falsi miti più comuni che accompagnano il figlio unico
Papà, mamma e un bambino. La famiglia formato a tre è una realtà sempre più definita nel nostro Paese. Come conferma il rapporto Istat 2014 secondo il quale crescono le coppie senza bambini e i figli unici: ormai più del 46 per cento delle famiglie italiane ha un solo bimbo. Il figlio unico, pur essendo in aumento, rimane tuttavia accompagnato da svariati e infelici luoghi comuni. Idee che hanno trovato ben poco riscontro nella letteratura scientifica e che forse non aiutano, nel loro modo di porsi e pensare al loro bambino così come a se stesse, le coppie che, per svariati motivi, si fermano al primo figlio. Come fanno notare gli psicologi Edoardo Giusti e Claudio Manucci nel libro “Figli unici. Psicologia dei vantaggi e dei limiti” (Armando editore), non esiste una “sindrome del figlio unico”. Si ritrovano semmai delle caratteristiche psicologiche più ricorrenti. Diversa è la struttura del rapporto, non dell’amore, tra genitori e più figli e genitori e figlio. Ma ogni bimbo è diverso e unico, che abbia fratelli o no. E grande è la variazione tra figli unici così come tra le famiglie dove crescono. I possibili elementi di costruzione dell’individuo, le circostanze che ci rendono ciò che siamo sono molteplici e complesse, in parte anche inafferrabili. In ogni famiglia si creano condizioni, “costellazioni” emotive e relazionali irripetibili che hanno un significato diverso e impattano in modo originale su ognuno. Avere o non avere fratelli è solo uno dei possibili fattori che influiscono sullo sviluppo e sull’immagine di sé.
È comunque necessario sgombrare il figlio unico dai miti che lo sostengono per coglierne la specificità. Vediamone alcuni tra i più comuni:
“È viziato e capriccioso”
Attenzioni, tempo, risorse, disponibilità non significano vizi. Non esiste il “troppo affetto”. Esiste l’incapacità di comprendere i reali bisogni del piccolo e di rispondervi in modo adeguato e coerente. Esiste il disagio, la difficoltà di un bimbo e il suo tentativo di predominare su un adulto disattento. Questo indipendentemente dalla presenza di fratelli.
“Ha difficoltà a socializzare, non è abituato a stare con gli altri”
Certo, i fratelli offrono condizioni di vita fondamentali e irripetibili. Anche se gran parte del lavoro teorico psicoanalitico si è focalizzato soprattutto sugli aspetti negativi della relazione tra fratelli come la competitività, ci sono chance uniche in questa esperienza. Ma gli “unici” non sono disagiati se hanno possibilità di sperimentarsi in rapporti con i pari. Studi su vasta scala negli Stati Uniti e in Cina hanno dimostrato che hanno tanti amici quanti i loro coetanei con fratelli.
“È aggressivo e prepotente”
Secondo alcune ricerche sarebbe invece più cooperativo e meno competitivo, in quanto cresciuto fuori da gelosie e litigi classici della rivalità fraterna. In effetti l’abuso, in senso fisico e verbale, tra fratelli è piuttosto frequente. I bimbi con fratelli sono abituati a condividere e collaborare ma anche a competere e subire. Aggressività e prepotenza sembrano fisiologiche ma influenzano il modo in cui si impara a stare con gli altri. Una ricerca condotta nel Regno Unito nel 2010 ha addirittura correlato inversamente la felicità al numero di fratelli. La metà dei 2500 adolescenti intervistati ha attribuito il motivo della propria infelicità al fatto di essere vittima di bullismo, prepotenza, invasione da parte dei fratelli.
“È un bimbo solo e isolato”
Il figlio unico può sembrare più solo. In un certo senso lo è, ma si può essere soli anche avendo fratelli. Spesso c’è un figlio unico, per motivi diversi, anche in una famiglia numerosa. Non sono i fratelli ad assicurare compagnia, sostegno e vivacità alla nostra vita relazionale. Sono le relazioni qualitativamente appaganti con gli altri, fratelli o non. Solo poi non significa solitario o non saper fare amicizia e andare d’accordo. Sapersi consolare, farsi compagnia, avere a che fare con la propria solitudine costruttiva è per esempio una grande risorsa che più facilmente appartiene all’”unico”.
“Diventa grande troppo in fretta”
Quando l’unico modello arriva dai genitori, può succedere che il bambino copi il loro comportamento, i loro discorsi e i loro modi. Risultando “adultizzato”. È un bambino che ha più bisogno di relazioni paritarie, diverse da quelle asimmetriche con i genitori. In questo va incentivato.
“È più dipendente”
La mancanza di fratelli a cui appoggiarsi può invece renderlo autosufficiente prima. Certo, essere l’unico bimbo significa avere tutto puntato su di sé: attenzioni, cure, aspettative, responsabilità. Un vantaggio, ma anche un carico pesante. Il triangolo padre-madre-bambino può essere rinforzante e stimolante, ma anche fagocitante. E intralciare il processo di autonomia e emancipazione. Si tratta di dinamiche delicate in qualunque famiglia ma probabilmente amplificate nei nuclei a tre.
“Si inventa amici immaginari per compensare la solitudine”
La fantasia degli amici immaginari non appartiene solo ai figli unici, isolati o disagiati. È una creazione positiva abbastanza comune. Tutti i bimbi possono aver bisogno di affrontare solitudine, paura, preoccupazioni con l’aiuto di un compagno creato da loro stessi.