Appena rientrati da Locarno dove abbiamo visto Hong Sang-soo vincere il Pardo per la migliore regia con “Our Sunhi“, assistiamo ad un grande recupero d’inizio stagione: ad un anno dalla sua presentazione a Cannes, arriva infine nei nostri cinema (grazie all’immancabile Tucker di Udine) il film “In Another Country” con protagonista Isabelle Huppert, vera mattatrice, nei panni di tre donne molto diverse alle prese con l’amore in un paese molto lontano dal nostro, la Corea.
Un racconto nel racconto, sotto forma di episodi, che si svolge in riva al mare, su una solitaria spiaggia, dove tre donne dovranno fronteggiare un bagnino, uno seduttore e una moglie gelosa. I personaggi con cui tutte e tre le figure femminili interagiranno saranno, infatti, sempre i medesimi, che però terranno comportamenti differenti a seconda della situazione e soprattutto dell’interlocutrice, fermo restando che, trattandosi sempre di un’attraente donna francese, tutti verranno sedotti dal fascino della straniera. E le tre dame avranno sempre il volto dell’attrice francese che, ad ogni cambio di mise corrisponderà un cambio di personalità.
©Tucker Film
Il regista Hong Sang-soo gioca sui luoghi comuni per dar vita ad una commedia dal retrogusto amaro dedicata ai sentimenti nell’era attuale. Il quadro che emerge è a tratti ridicolo e a tratti desolante, perché alla fine di solitudine si tratta: da un lato c’è sempre una donna con le sue fragilità ed i cui sogni s’infrangono e dall’altro ci sono uomini dalle vite incompiute.
“In Another Country” ironizza sui bizzarri esemplari di tipico maschio coreano, senza però scivolare nella commediola leggera ai limiti del frivolo o becero. Hong Sang-soo rimane molto lontano dalla risata crassa, ha un tocco leggero, e soprattutto vuole omaggiare il cinema francese e lo fa proprio con la scelta della sua prima donna, Isabelle Huppert.
©Tucker Film
Nonostante le numerose finezze, l’espediente della stesura di una sceneggiatura per creare una storia nella storia, il cambio d’abito della protagonista il cui colore corrisponde all’ardore e al carattere della donna impersonata, il bagliore del cielo che segue l’umore dei personaggi, e nonostante le gag fini, qualcosa non convince del tutto: la tripartizione non è sufficiente a conferire abbastanza ritmo al film quindi alcuni punti sembrano eterni. Di fatto, l’attrice francese è l’unica sulle cui spalle grava ogni singola inquadratura e forse questo elemento ha avuto il suo peso, nello zavorrare l’opera.
La pellicola, nell’insieme si potrebbe definire “carina”: lenta come solo i film orientali posso essere, sorprendentemente autoironica e sempre discreta. Voto globale non superiore all’appena sufficiente perché troppo in punta di piedi, poco colorata, per nulla sgangherata. Opera lontana dal genere horror in cui i coreani sono irraggiungibili, vicina al gusto del cinema d’essai, per lo più per palati fini e curiosi. Qualcosa di diverso, poco conformato e molto adatto alle sale di un Festival, non idoneo però al sold out del cinema il sabato sera. Consigliata la versione in lingua originale.