- L’emancipazione femminile e i nuovi ruoli: lo scontro tra i sessi
- Uomini nuovi e nuovi ruoli maschili
- Sulla crisi del rapporto e sulla possibilità di superarla
- Sulla confusione contemporanea dei ruoli sessuali: nuovi tipi di relazioni e di famiglie.
- Sulla paura di amare, su sesso, Eros, desideri e tabù.
- Ripartire da sè
- Riemergere dalle ferite
- Sull’anima e sull’amore dopo la vita
- Le nuove coppie: insieme liberi
- Per una nuova cultura dell'amore (contro l'amore romantico)
- Empatia: al di là delle parole, l’eros dell’anima
- Siamo tutti in rete
1) L’emancipazione femminile e i nuovi ruoli: lo scontro tra i sessi
-“Donne” (The Women), regia George Cukor, con Norma Shearer, Joan Crawford, Rosalind Russell, commedia, USA 1939.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****½)
(sugli albori della presa di coscienza da parte delle donne della loro identità ed autonomia)
Una ricca signora borghese americana tradita dal marito va a Reno per ottenere il divorzio. Lì incontra altre donne con lo stesso problema e ciò è l’occasione per interrogarsi su quale è il modo corretto di rapportarsi agli uomini ed al proprio marito, mettendo a confronto diversi punti di vista.
Una gradevole commedia che descrive con grande sarcasmo il fenomeno della donna-oggetto da esibire, delle separazioni ed i primi albori dell’emancipazione femminile. Il comportamento della protagonista, che lotta per la sua autonomia, viene però esaltato mettendo in evidenza la differenza sostanziale tra essere donne per se stesse, con una propria identità, ed essere femmine e cioè vivere solo in funzione degli uomini.
-“Il visone sulla pelle” (That Touch of Mink), regia Delbert Mann, con Cary Grant, Doris Day, commedia, USA 1962.
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sulla donna come oggetto da esibire)
Film di un’epoca in cui per fare sesso si doveva prima capitolare a nozze o...regalare un visone; esso racconta infatti la schermaglia tra un ricco industriale (che vuole sesso oltre che una compagna da esibire) e una donna non più giovanissima, ma illibata che punta, oltre che al visone, anche a farsi sposare e mantenere.
Il film racconta in modo emblematico il fenomeno della donna oggetto. Negli anni della ricostruzione e del boom economico le donne del ceto borghese, ancora non autonome, accettano di buon grado di farsi oggetto di esibizione della vanità del maschio che le accompagna, anche se in questo modo venivano private di una loro propria identità. Gli uomini ne pagano il prezzo diventando spesso, essi stessi, vittime di donne che più che all’amore puntano ai soldi ed a farsi mantenere.
-“Lulù”, regia Walerian Borowczyk, con Ann Bennent, Michele Placido, drammatico, RFT-It.- Fr. 1980.
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sullo scontro tra i sessi e l’arma femminile della seduzione)
È la storia di una donna che attraversa la sua epoca innescando il desiderio e seminando morte e rovina.
Il film, rispetto alle precedenti versioni (Lo spirito della terra (1895) e Il vaso di Pandora (1904) di Frank Wedekind non fa della protagonista una donna fatale, ma una donna con una femminilità del tutto naturale.
Qui è il semplice Eros della natura che innesca nell’uomo cacciatore il desiderio della preda e non il potere erotico distruttivo e vendicativo della donna fatale, che gioca pericolosamente con l’uomo stimolandone il desiderio di possesso e di dominio.
-“Monalisa smile”, regia Mike Newell con Julia Roberts, Kirsten Dunst, commedia, USA, 2003.
(CRITICA *½ , PUBBLICO ***)
(sulle prime avvisaglie dell’emancipazione femminile nell’America anni ‘50)
E’ la storia di una pioniera dell’emancipazione femminile, di un’insegnante che getta i semi di una nuova consapevolezza femminile che porterà molte delle sue allieve a lottare per la loro autonomia e a uscire dalle convenzioni che relegano le donne in un ruolo a servizio dell’uomo e della famiglia.
Il film documenta i contrasti tra la mentalità conservatrice e bigotta, che vedeva come fine ultimo per una donna solo la sua realizzazione nel matrimonio, e gli albori dell’emancipazione femminile negli anni ‘50 in USA.
-“Una donna sposata” (Une Femme marine), regia Jean-Luc Godard, con Bernard Noel, Macha Meril e Philippe Leroy, commedia, Francia 1964.
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(donne anni ‘60: sulla cultura romantica dell’amore e sull’alienazione della donna)
È la storia di una donna sposata borghese e della sua vita banale divisa tra marito ed amante; una vita superficiale (e per questo poco soddisfacente) all’avvio della società dei consumi e dei condizionamenti dei messaggi mediatici e pubblicitari.
Il film racconta il periodo precedente agli anni ‘70 in cui verrà attuata la separazione tra sesso ed amore.
-“Down with love. Abbasso l’amore” (Down with love), regia Peyton Reed, con Renèe Zellweger e Ewan MacGregor, commedia sentimentale, Usa 2003.
(CRITICA *** , PUBBLICO ***)
(sulle donne anni ‘60: contro il romanticismo come strumento per sottomettere le donne)
È la storia di una casalinga che ha scritto un libro contro il romanticismo, ma poi invece ci ricasca.
Il film descrive, in maniera comica, la geniale intuizione che è da qui (dall’abbandono dell’ideale romantico del principe azzurro) che deve iniziare qualsiasi reale processo di crescita delle donne e di emancipazione dagli uomini.
-“Pazzi in Alabama” (Crazy in Alabama), regia A. Banderas, con Melanie Griffin e Lucas Black, comico, Usa 1999.
(CRITICA **½ , PUBBLICO ***).
(sulle donne anni ‘60: sul processo di emancipazione delle donne e della lotta per la rivendicazione della parità dei negri d’America, avviato in parallelo negli anni ‘60)
Il desiderio di libertà della metà degli anni ‘60 affianca una vedova, che si è liberata del marito, ad un ragazzo di colore, che ha a che fare con il razzismo.
Il film racconta in modo comico un momento assai importante della storia americana, un processo che per quanto riguarda la parità razziale sembra essersi concluso, ma non ancora per ciò che riguarda l’emancipazione femminile.
-“A walk on the moon Complice la luna” (A walk on the moon), regia T. Goldwyn, con Diane Lane e Viggo Mortensen, drammatico sentimentale, USA 1999.
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sulle donne anni ‘60/70: sul processo di emancipazione delle donne parallelo al movimento hippy negli USA)
Negli anni degli hippies, del Concerto di Woodstock e del primo uomo sulla luna, anche le donne cominciano a pensare di poter avere anche loro relazioni sentimentali extraconiugali, ma è solo una prova.
Il film racconta l’avvio della contestazione alla morale borghese americana e della rivoluzione sessuale portata avanti dal movimento hippy in America e i riflessi sul processo di emancipazione femminile. Il film sembra lasciar intravedere la possibilità di avviare questa rivoluzione all’interno della coppia, magari anche con la collaborazione del marito che deve rivedere tutti i suoi schemi.
-“Essere donne” (Felix), regia Margarethe Von Trotta, Eva Maties, Christel Buschman, drammatico, Germania 1988.
(CRITICA ** , PUBBLICO **)
(sulle donne anni ‘80 post femministe)
Un racconto sulle donne attraverso il punto di vista di un uomo immaturo che, lasciato da sua moglie, va in cerca di avventure che lo aiutino a superare la solitudine. Incontra donne libere, disinibite, emancipate, liberate dalle lotte femministe degli anni ’70, ma anche isteriche, aggressive e scontente.
Un film che mette a nudo le difficoltà di incontro tra due immaturità quella maschile ed anche quella femminile; sulla opposizione tra i generi creata dal femminismo, opposizione che ha solo provocato angosce, incomprensioni e difficoltà di incontro tra i sessi.
-“Una donna tutta sola” (An Unmarried Woman), regia Paul Mazursky, con Jll Clayburgh e Alan Bates, commedia sentimentale, Usa 1977.
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(donne anni ‘70: sulla nuova autonomia femminile)
È la storia di una quarantenne con figlia, abbandonata dal marito, che scopre il piacere della libertà. Anche se troverà un altro amore, preferirà continuare a vivere da sola.
Il film descrive il processo di crescita e la nuova autonomia e identità femminile che, proprio attraverso il dolore di una separazione, scoprirà che è possibile vivere bene, anzi meglio, se non si vive solo in funzione di un uomo. Un film che a suo modo ha aperto una frattura nella certezza del “per sempre e sotto lo stesso tetto”.
-“Speriamo che sia femmina”, regia Mario Monicelli, con Liv Ullmann, Catherine Deneuve, Philippe Noiret, commedia, Italia 1986.
(CRITICA ***½ , PUBBLICO ****½)
(sul rifiuto degli uomini da parte delle donne postfemministe degli anni ‘80)
È la storia di una madre con due figlie, una governante e un ex marito. Le donne scoprono che stanno bene tra di loro e senza uomini, così sperano in un nascituro di sesso femminile.
Il film racconta il sogno di molte donne post femministe di un nuovo matriarcato e di un mondo senza uomini.
-“Un giorno per caso” (One Fine Day), regia Michael Hoffman, con Michelle Pfeiffer e George Clooney, commedia sentimentale, Usa 1996.
(CRITICA **½ , PUBBLICO ****)
(donne anni ‘90: sulla condizione dei separati e le difficoltà femminili di gestire lavoro, figli e nuove relazioni sentimentali, difficile, ma possibile)
Lui e lei divorziati ce l’hanno con l’altro sesso e hanno ambedue il problema di far quadrare l’impegno per i figli con il loro lavoro. Gli opposti si attraggono: lei, efficientissima, vuole fare tutto, lui la lascia fare. Si incontrano, si amano, la storia è a lieto fine.
Il film racconta la possibilità di riuscire a ricreare nuove relazioni sulle ceneri di quelle andate in frantumi e gli equilibrismi richiesti dalla nuova autonomia femminile di donne divise tra la carriera ed il desiderio di famiglia.
-“Volti” (Faces), regia John Cassavetes, con John Marley, Gena Rowlands, drammatico, USA 1968.
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(impietoso esame sulla vita di coppia della borghesia americana)
E’ la storia di 192 un matrimonio in crisi a Los Angeles e un’indagine sui desideri di fuga e sulle contraddizioni di uomini e donne. Ambedue i partner tenteranno un’evasione, lui con una prostituta, lei al ballo con le amiche.
Il film fa parte della tetralogia di Cassavetes; quattro film per indagare i rapporti di coppia negli anni ‘70 (Volti del 1968, Mariti del 1970, Minnie e Moskowitz del 1971, Una moglie del 1974).
Questo film racconta, come in Jules e Jim, dell’esistenzialismo di un altro periodo di totale decostruzione delle regole borghesi e dei tentativi di evadere dalla tirannia del matrimonio che, vissuto in modo formale, crea angoscia e insoddisfazione.
Racconta di un rapporto malato e i danni provocati dall’ipocrisia, dai segreti, dalle menzogne nascoste dietro la facciata di una coppia perbene. Le regole sociali prevalgono nonostante la dolorosa alienazione e incomunicabilità che rapporti di questo tipo provocano.
-“Una moglie” (A Woman under the influence), regia John Cassavetes, con Peter Falck, Gena Rowlands,, drammatico, USA 1974.
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(sulle difficoltà del matrimonio e sulla nevrosi femminile per il ruolo obbligante, subalterno e faticosissimo)
Racconta la vita di una delle tante famiglie americane: lui capocantiere, lei a casa con tre figli. Lei finisce in clinica con un esaurimento nervoso, quando esce sarà l’affetto dei figli a sostenerla al posto di quello del marito.
Il film fa parte della tetralogia di Cassavetes; quattro film per indagare i rapporti di coppia nella nostra era (Volti del 1968, Mariti del 1970, Minnie e Moskowitz del 1971, Una moglie del 1974). In questo film si indagano le difficoltà di maturazione soprattutto maschile e la conseguente nevrosi di una moglie non sostenuta nel suo difficile e pesante compito di condurre la casa, allevare i figli ed accudire i nonni. Con questo film Cassavetes fa un’analisi puntuale del forte legame che esiste tra le storie personali e la società e i suoi valori, mettendo a fuoco la mentalità conservatrice e consumistica della borghesia operaia americana negli anni ‘70. In questo contesto racconta la fragilità femminile, ma anche il dolore di una donna che cerca, e non trova, amore nella coppia.
Come in altri, film Cassavetes sembra fermarsi all’analisi e una domanda resta insoluta: la famiglia è il palcoscenico o la causa della nevrosi, è la sua prigione o l’ancora di salvezza?
2) Uomini nuovi e nuovi ruoli maschili
-“Il gladiatore”, (Gladiator), Ridley Scott con Richard Harris, Russell Crowe, Storico, USA,
2000.
(CRITICA **½ , PUBBLICO ****½)
(un uomo con il cuore e con le palle in epoca romana)
-“Master e Commander” (The Far Side of the World), regia Peter Weir. Con Russell Crowe,
Richard Stroh, avventura, USA 2003.
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(un uomo con il cuore e con le palle in epoca napoleonica)
-“Brave Heart. Cuore impavido” (Braveheart), regia Mel Gibson, con Mel Gibson, Sophie
Marceau, avventura, USA 1995.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(un uomo con il cuore e con le palle nella Scozia del XIII secolo)
Gli archetipi, in epoche e contesti diversi, di uomini forti, coraggiosi, ma anche dai buoni sentimenti o teneri e protettivi con moglie e prole, uomini per i quali le donne vanno pazze.
-“Il cuore degli uomini” (Les coeur des hommes) regia Marc Esposito, con Bernard Campan,
Gerard Darmon, commedia, Francia 2003.
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sulla necessità degli uomini di adeguarsi ai capovolgimenti provocati dall’emancipazione femminile
e su diverse tipologie di uomini)
Quattro inseparabili amici, ormai attorno ai cinquanta, si confrontano con quattro diverse storie sentimentali.
Un modo per raccontare gli uomini dei giorni nostri, quattro diversi stereotipi maschili: dal macho seduttore erotomane, all’imbranato, passando per il geloso e il timido mammone.
Interessante la tesi del film che legge i nuovi caratteri maschili come il risultato e l’adattamento degli uomini al processo di emancipazione femminile.
-“Mariti” (Husbands), regia John Cassavetes, con John Cassavetes, Ben Gazzarra, Peter
Falk, drammatico, USA 1970.
(CRITICA *** , PUBBLICO ***)
(sulla crisi di ruolo e sull’immaturità maschile)
Tre professionisti di New York, sconvolti per la morte di un amico, mettono in crisi il senso della loro vita. Tentano così una fuga illusoria dalla banalità della loro vita quotidiana.
Si sentono prigionieri della loro classe e dei loro ruoli e, in modo grottesco, tentano una ribellione al senso di solitudine ed alla aggressività richiesta dal mondo del lavoro.
Il film fa parte della tetralogia di Cassavetes; quattro film per indagare i rapporti di coppia nella nostra era (Volti del 1968, Mariti del 1970, Minnie e Moskowitz del 1971, Una moglie del 1974).
In questo film il vagabondaggio viene assunto come strumento di ricerca di una nuova dimensione, di qualcosa di più che si sente necessario, ma non si riesce a decifrare. Anche in questo film (come in Scia d’amore) viene messa in luce la nevrosi e l’immaturità maschile dovuta al contrasto tra l’ essenza biologica e il ruolo imposto, oltre che alle difficoltà o alla noia, di matrimoni convenzionali nei quali tuttavia alla fine torneranno a rifugiarsi.
-“Uomini” (Manner) regia Doris Dorrei, con Heiner Lauterbach e Uwe Ochsenknecht, drammatico,
Rft 1985.
(CRITICA *** , PUBBLICO ***)
(sull’integrazione nel sistema del sesso maschile)
Per sottrarre l’amante alla moglie (un giovane alternativo ex sessantottino), il marito, un uomo di successo sul lavoro, lo fa assumere e lo trasforma in uno yuppie.
Il film mette in evidenza le contraddizioni di un’epoca in cui molti giovani ribelli sembrano voler mettere in discussione tutte le regole borghesi, tra le quali quelle dei matrimoni convenzionali.
Molti di essi, però non riusciranno a resistere alle lusinghe del sistema che hanno tentato di minare e che invece li ingloberà.
-“L’uomo senza passato” (Mies vailla menneisyyttä), regia Aki Kaurismäki, con Markku
Peltola, Kati Outinen, drammatico, Finlandia 2002.
(CRITICA ****, PUBBLICO ***½ )
(sui condizionamenti sociali e la perdita d’identità degli uomini)
La storia di un uomo senza nome che, aggredito al suo arrivo a Helsinki, finisce in ospedale senza memoria.
Scapperà dalle istituzioni per trovare rifugio ed accoglienza presso le rigide donne dell'Esercito della Salvezza. Dopo varie peripezie approderà ad un lieto fine.
L’amnesia come desiderio di rinascita in un film che con poche parole fa uno scandaglio critico del neoliberismo, della globalizzazione, del sistema bancario, della società del profitto e dei danni provocati sugli uomini.
-“Volevo solo dormirle addosso”, di Eugenio Cappuccio con Giorgio Pasotti, Giuseppe Gandini,
drammatico, Italia 2004.
(CRITICA ***, PUBBLICO ***½ )
(sulle dure regole del mondo del lavoro e l’integrazione nel sistema del sesso maschile e sulle
difficoltà che ciò provoca nelle relazioni)
È la storia di un giovane trentenne che si deve occupare della formazione, selezione ed anche riduzione del personale in una multinazionale dove la legge del profitto prevarica qualsiasi atteggiamento umano. Nel giro dei licenziamenti anche la sua stessa posizione è a rischio. La lotta sui due fronti, del licenziatore e del licenziabile, comporta uno stress che non lascia spazio per l’amore.
Un film che fa uno spaccato intelligente sulla realtà lavorative di molti uomini alle soglie del 2000, dove i rapporti di forza e la precarietà nel mondo del lavoro sembrano assorbire ogni energia.
Le donne spesso, ancora escluse da queste realtà, non capiscono e gli affetti si frantumano in un campo di battaglia dove alle difficoltà del lavoro si aggiungono quelle delle identità maschili e femminili incompiute ed ancora ancorate ai vecchi schemi: quello del capofamiglia principale responsabile del mantenimento della moglie e della prole, e quella di una donna che non ha ancora capito le contraddizioni di una visione romantica dell’amore.
-“Tre uomini e una culla” (Trois hommes et un couffin), regia Coline Serrau, con Roland
Giraud, Michel Boujenah, commedia, Francia 1985.
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(sulla modificazione dei ruoli)
La figlia neonata di una modella viene depositata fuori dalla porta del padre, un aitante donnaiolo ignaro della sua paternità e che divide la casa con altri due uomini. Una rivoluzione nella vita di tutti e tre, che si alternano nella gestione della piccola, provando le gioie e i dolori della paternità.
Sulla maldestrezza degli uomini nel loro nuovo ruolo di padri, attenti e premurosi, e sulla nuova affettività maschile che, dopo anni di inibizioni, viene finalmente liberata dal nuovo ruolo a loro imposto dall’emancipazione femminile.
-“About a boy. Un ragazzo” (About a boy) regia Paul e Chris Weitz, con Hugh Grant e Toni
Colette, commedia, GB/Usa/Francia 2002.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sui Singles, la paura dell’impegno e la noia dei rapporti superficiali, sulla lotta tra i sessi)
Nessun uomo è un’isola. Storia di un quarantenne Single incallito e felice che cerca solo storie superficiali, ma che entra in crisi ed è spinto a crescere da un dodicenne che invade la sua vita.
Uno dei tanti film che mette in luce l’aridità a cui approda chi vuole fuggire all’impegno di una relazione seria e del matrimonio. Sembra infatti voler sottolineare che tutti gli uomini, in un’epoca in cui la loro affettività è stata finalmente liberata, hanno bisogno di amare e di dare senso alla loro vita anche attraverso i figli.
-“Sideways. In viaggio con Jack” (Sideways), regia Alexander Payne con Paul Giamatti,
Virginia Madsen, commedia, USA, 2004.
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***½)
(due tipi di uomini a confronto, un playboy e uno normale)
È la storia di due quarantenni, amici fin dal liceo, che intraprendono un viaggio in giro per cantine nei vigneti della California.
Ambedue vivono la frustrazione di sentire di aver fallito tutto nella propria vita: uno è un incallito playboy l’altro si sta per sposare senza molta convinzione.
Un altro film che tramite il viaggio delinea la ricerca di sé e del senso della vita; il film mette in luce l’aridità esistenziale a cui porta la mancanza d’amore e il passaggio da una conquista all’altra, ma anche l’accettazione di vivere in modo inconsapevole dentro le convenzioni. Il viaggio e le riflessioni porteranno profondi cambiamenti nelle loro vite.
-“Alfie”, regia Charles Shyer con Jude Law, Marisa Tomei, commedia, Gran Bretagna, USA
2004.
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sulla crisi di un playboy e sulla necessità di incontri tra anime)
Un remake di un film degli anni ‘60 che racconta la storia di un giovane playboy a New York. Anche questa è la storia di un uomo che gioca con il sentimento dell’amore, sempre attento a non cadere nella trappola.
Come in altri film del genere, prima o poi l’aridità di chi conduce una vita senza sentimenti viene a galla, procurando un malessere che porterà il protagonista a capire che le relazioni non possono essere giocate solo al livello dell’immagine, delle apparenze, senza andare mai in profondità.
Il film nella sua apparente banalità in realtà afferma un dato che anche molti altri film confermano (v. Un mondo di marionette di Bergman) che solo un rapporto che riesce ad aprirsi alla dimensione dell’anima è realmente soddisfacente e in grado di soddisfare l’innato desiderio di intimità.
-“L’uomo che amava le donne” (L’Homme qui aimait les femmes), regia François Truffaut,
con Charles Denner, Brigitte Fossey, drammatico, Francia 1977.
(CRITICA *** , PUBBLICO ***½ )
(sul desiderio di conoscere se stesso attraverso le relazioni con le donne)
È la storia di un uomo che ha amato molte donne nella sua vita e ha scritto un libro su tutte le sue relazioni d’amore prima di morire. Un uomo solo che ha scelto la solitudine accompagnato e rallegrato da più donne, forse meglio che sentirsi comunque solo con una sola moglie?
Un’altra storia di un dongiovanni che, nonostante abbia molte donne, riesce a impostare con tutte un rapporto d’amore perché è totalmente privo di desiderio di dominio e di possesso. Un comportamento forse dovuto al suo rapporto con la madre, ma anche al fatto che il protagonista riesce a vedere la bellezza dell’animo femminile, l’equilibrio e l’armonia del loro modo di amare e quindi ama tutto il genere femminile senza distinzioni. È una specie di dongiovanni intellettuale che, attraverso le donne, conosce se stesso. Un’ anticipazione forse sull’idea di amore espanso, amore universale, sul futuro dell’amore.
LE SOLUZIONI E I NUOVI PARADIGMI DEL RAPPORTO DI COPPIA
3) Sulla crisi del rapporto e sulla possibilità di superarla
-“L’amante perduto”, regia R. Faenza, con C.Hinds, J. Aubrey, P.Law, drammatico, It.-GB-Fr.
1999.
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(Sull’amore senza confini e sulla possibilità di superare la crisi matrimoniale)
E’ la storia di un rapporto coniugale a Tel Aviv messo alla prova dalla perdita, avvenuta sedici anni prima di un figlio piccolo, dall’allontanamento di lei dal marito perchè si innamora di un giovane ebreo francese, mentre la loro figlia si invaghisce di un ragazzo palestinese. Il marito pazientemente e saggiamente aspetta che tutto passi, e passerà.
Il superamento della crisi matrimoniale come metafora politica sulla necessità della pacifica convivenza tra i due popoli; ma forse è assai più di una metafora perchè la guarigione collettiva e l’eliminazione delle guerre passa attraverso un percorso di maturazione del singolo e della coppia.
-“Eyes wide shut” (Sogno a occhi aperti), regia Stanley Kubrick, con Tom Cruise, Nicole
Kidman, drammatico, Gran Bretagna-USA 1999.
(CRITICA ****, PUBBLICO ***)
(l’esplorazione nel subconscio da parte di una coppia adulta e normale, che rischia di naufragare
nei gorghi della psiche dove Eros e Thanatos, Amore e Morte, s’incontrano)
In cinematografia il doppio reale oppure onirico è una costante, quasi un genere. Anche in questo caso i due protagonisti (Bill e Alice) si sdoppiano, lei in sogno, lui nella realtà, per esplorare la parte più nascosta di se stessi e per dare spazio ai desideri di trasgressione sessuale inconsci.
Il film descrive lo scontro tra una vita ben regolata, confortevole, votata all’ordine ed alla logica, e il desiderio, il richiamo dell’irrazionale e di forze oscure. Esso rappresenta un’ intensa indagine su amore e sessualità all’interno di una coppia tradizionale. La crisi come momento di maturazione di se stessi e della coppia.
Grande film sull’ inquietudine, sulla paura del sesso e della parte nascosta di sé che proprio nel sesso emerge, perchè il sesso è una cosa seria e misteriosa, a volte anche dolorosa, da esplorare insieme; un luogo dove esitono incrostazioni spesso difficili da rimuovere. Argomenti che Kubrick affronta con una vena grottesca e talora da humour nero, ma riuscendo ad aprire anche uno spiraglio di fiducia sul futuro della coppia.
-“Storia di noi due” (Story of Us) Story of Us, regia Rob Reiner, con Michelle Pfeiffer e Bruce
Willis, commedia, USA 2000.
(CRITICA *½, PUBBLICO ***)
(sulla crisi e la possibilità di superarla passando a una fase più matura di amore)
Una coppia in crisi, dopo 15 anni di matrimonio, sperimenta la separazione, ma poi riusciranno a tornare insieme in un rapporto più maturo.
Un film che racconta meglio di altri come una coppia, tenuta insieme da un rapporto che resta superficiale, arriva alla crisi per la mancanza di dialogo, la reciproca incomprensione e la noia della routine.
I dialoghi sono una splendida sintesi di cose che tutte le coppie si trovano a dire.
Il finale, nonostante il lieto fine, non è banale perchè fa capire come sia sbagliato darsi per scontati mentre c’è ancora un mondo da scoprire nell’altro e la volontà di farlo rende il rapporto più maturo.
-“Pleasantville”, regia Gary Ross, con Toby Maguire e Reese Witherspoon, commedia, USA
1998.
(CRITICA **½, PUBBLICO **)
(sulla necessità di accettare il cambiamento)
Il film è una metafora, è la storia di due ragazzi che entrano dentro al loro telefilm preferito.
Un film sulle convenzioni sociali, sulla necessità di piacere agli altri e di vivere dentro agli schemi, come quelli proposti dai media, vivendo così una vita in bianco e nero. La rinuncia di una vita vera - a colori - con passioni, dolore, sentimenti ed anche sesso, a favore di una vita convenzionale apparentemente tranquilla e felice. Un film che inneggia, anche se in un modo un po’ difficile da comprendere e con un ritmo un pò lento, alla vita ed alla accettazione delle difficoltà dovute ai cambiamenti; i cambiamenti sono la vita stessa. Accettare i cambiamenti significa anche accettare i rischi e il dolore che la vita e il matrimonio comportano.
Il film è un inno alla vita come processo di conoscenza di sé, processo che passa anche attraverso la conoscenza e l’accettazione dei cambiamenti e il rispetto della personalità dell’altro.
-“Insieme per caso” (Unconditional Love), regia P.J.Hogan, con Kathy Bates, Rupert Everett,
commedia, Usa 2002.
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sull’amore incondizionato)
Una donna romantica, abbandonata dal marito, trasferisce il suo bisogno d’amare idolatrando un divo dello spettacolo.
Quando questo muore, lei si inserisce nella sua vita e nella sua casa, disposta a continuare ad amarlo anche se lui non c’è più. Invece di affliggersi per le continue delusioni ed abbandoni scopre la sua capacità d’amare incondizionatamente il divo, ma anche il marito che alla fine tornerà da lei.
Il film sembra aprire, anche se in modo illogico e farsesco, uno spiraglio su una capacità d’amare più matura: l’amore incondizionato non ha bisogno di essere ricambiato ed è sufficiente per essere felici, anzi lo si è di più.
4) Sulla confusione contemporanea dei ruoli sessuali: nuovi tipi di relazioni e di famiglie.
-“Io amo Andrea”, regia Francesco Nuti, con Francesco Nuti, Francesca Neri, Agatha De La
Fontaine, commedia, Italia 1999.
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(Un film sulla confusione contemporanea dei ruoli sessuali)
Un veterinario divorziato si innamora della disinibita Francesca che però è innamorata e convive con Andrea, una donna.
Dopo schermaglie rivali lui si mette con Andrea e ci fa un bambino.
Una commedia romantica che descrive un moderno ‘menage a trois’, mettendo a fuoco la contemporanea, non così rara, confusione in materia di sessualità.
-“Tutto su mia madre” (Todo sobre mi madre), regia Pedro Almodovar, con Cecilia Roth,
Marisa Paredès, Penèlope Cruz, drammatico, Spagna-Francia 1999.
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(su un nuovo concetto di famiglia come nucleo fondato sull’amore non necessariamente solo tra un
solo uomo e una sola donna)
E’ la storia di una ragazza madre che perde il figlio diciassettenne in un incidente e che va alla ricerca del padre che non sapeva di esserlo.
Il padre ha cambiato sesso, diventando Lola che ha messo incinta anche Rosa, suora laica, rendendola sieropositiva e che morirà dando alla luce un altro bambino.
Drammi umani che diventano commedia e che raccontano l’importanza della solidarietà, gettando uno sguardo sul futuro dell’amore e su un nuovo modello di famiglia fondata sull’amore, senza necessarie distinzioni di sesso, nè limitazione di numeri.
-“Together” (Tillsammans), regia L.Moodysson con L. Lindgrem, commedia, Svezia, Danimarca
2000.
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(su possibili alternative alla famiglia ed ai rapporti di coppia tradizionali)
Il film racconta la storia di una ragazzino che viene portato dalla madre, in fuga da un marito violento, a casa di uno zio sessantottino che vive in una specie di comune.
Un mondo inaspettato e divertente di coppie non sempre di sesso diverso e non sempre uguali all’interno del quale anche lui proverà le prime attrazioni amorose.
Tra spinelli e politica il film racconta con ironia, ma anche forse con un pò di nostalgia, un periodo in cui si è tentato di mettere in discussione la morale borghese e la famiglia come struttura chiusa. Sulla scia dell’epopea hippy si è tentato un modo diverso di amare e di fare sesso.
Un tentativo poi fallito per l’errore che si è fatto - per opporsi all’ideale romantico - di separare il sesso dall’amore. Le premesse non erano invece sbagliate perché erano le premesse di un amore non più chiuso, ma espanso che riguarda la coppia, ma che coinvolge anche chi le sta intorno; con la possibilità, descritta anche in questo film come già in altri, di sentirsi tutti legati da un comune filo d’amore, non rivali gli uni agli altri, ma immersi e partecipi di un unico flusso dentro il quale l’unicità dei rapporti viene tacitamente messa in discussione.
-“Le fate ignoranti”, regia Ferzan Ozpetek con Margherita Buy e Stefano Accorsi, drammatico,
Italia 2001.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulla famiglia allargata polisessuale e multirazziale tenuta insieme da solidarietà e amore)
In scena, un triangolo atipico. Una donna medico scopre il tradimento del marito dopo la sua morte improvvisa. Rendendosi conto di aver vissuto con uno sconosciuto, inizia così un viaggio alla ricerca di indizi che le forniscano una testimonianza della persona che ha amato.
Scopre così un mondo sconosciuto, tra omosessuali, transessuali e malati terminali. Persone che il marito ha amato e frequentato, che quindi lei avvicina con curiosità cercando di capire. Alla fine si lascerà coinvolgere da questo nuovo modo di pensare e di amare, inizialmente inconcepibile per la sua morale borghese.
Scoprirà così la possibilità di un amore più ampio, più espanso di quello di una coppia tradizionale, basato sulla solidarietà e sulla verità, sull’accettazione degli altri così come sono.
Un film coinvolgente che emoziona per la carica di umanità con una trama analoga a quella di Tutto su mia madre di Aldomovar e, come questo, sempre in bilico tra dramma e commedia. Un film che come Together apre ad un concetto di famiglia più ampio allargato, ma senza gli errori e le ingenuità degli anni ‘70.
È una ricerca che si limita a sgretolare le false convinzioni della morale borghese senza tuttavia dare risposte; un teorema aperto, per ora senza un risultato certo, ma che tuttavia sussurra che nulla è definito.
In questo periodo di confusione e di transizione dominato da nuove e vecchie paure, il film apre uno spiraglio lasciando intravedere che dall’ attuale crisi del rapporto di coppia - dovuta al mutato ingrediente dell’autonomia femminile - sta emergendo il futuro delle relazioni e dell’amore: si sta faticosamente e dolorosamente imparando ad avere relazioni sulla base di un livello di coscienza più elevato, imperniato sulla solidarietà e sul perdono, sulla apertura agli altri senza separazioni di sesso, ceto, credo o razza con la possibilità di sentirsi tutti legati da un comune filo d’amore, non rivali gli uni agli altri, ma immersi e partecipi di un unico flusso dentro il quale l’unicità dei rapporti viene anche qui tacitamente messa in discussione.
-"Mine Vaganti", regia di Ferzan Ozpetek - 2010, con Riccardo Scamarcio, Nicole Grimaudo, Alessandro Preziosi, commedia, Italia 2010
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)(sulle nuove regole dell'amore: gli interrogativi sulla attuale sessualità maschile)
In una tradizionale famiglia del Sud, schiava del perbenismo, vi sono dei sovversivi che ne stravolgeranno tutte le regole. La nonna, vittima di un matrimonio combinato, non ha saputo ribellarsi ed ha amato segretamente per tutta la vita il cognato. Per questo dà tutto il suo appoggio al nipote che non ha il coraggio di dichiarare la sua omosessualità e il suo amore per il compagno di studi, finchè -dopo varie peripezie- riuscirà a far accettare al padre le sue scelte totalmente diverse da quelle che il padre aveva gia fatto per lui: discendenza nella conduzione dell'azienda di famiglia e matrimonio di convenienza con la figlia del socio in affari.
Ai tempi di Freud era la sessualità femminile ad essere un mistero, oggi è invece quella maschile che sta ponendo molti interrogativi .Anche questo ultimo film di Ozpetek, come già il precedente Le fate ignoranti, racconta, con un insieme multicolore di personaggi, una storia di omosessualità e dell’ attrazione tra uomini (attrazione che non si capisce se escluda del tutto dal mondo affettivo maschile, e non solo sessuale, le donne, oggi sempre più spesso destinate a restare, come la giovane interprete di questo film,“a bocca asciutta”).Il film fa riflettere: in questo mondo in continua liquefazione e trasformazione e davanti ai sempre più frequenti casi di sovvertimento delle regole sembra ormai banale limitarsi a gridare allo scandalo anche davanti al fenomeno del diffondersi dell’omosessualità maschile, in tutte le sue, più o meno divertenti, sfaccettature.Ozpetek si mette dalla parte dei sovversivi, delle “mine vaganti”e li descrive con estrema simpatia. Quello che traspare da questo film è un messaggio anche qui, come ne Le Fate Ignoranti, appena sussurrato, trasversale: la crisi dei valori delle strutture relazionali, famigliari e persino sessuali potrebbe non essere la fine, il crollo del mondo, ma l’inizio radioso di una nuova era.
5) Sulla paura di amare, su sesso, Eros, desideri e tabù.
-“Una relazione privata” (Una liaison pornographique), regia Frèdèric Fonteyne, con Nathalie
Baye, Sergi Lopez, drammatico, Francia 1999.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sul sesso e sul delicato lavoro da fare insieme per abbattere i muri che spesso creano l’inconscio
e le fantasie erotiche in esso depositate)
Lei e lui, un uomo e una donna senza identità, si incontrano in una anonima stanza d’albergo: vogliono dare sfogo alle proprie fantasie erotiche, con soddisfazione reciproca e senza coinvolgimenti emotivi. Invece fa capolino un amore
inaspettato, che i due non hanno il coraggio di vivere.
Un film personale, intenso, più drammatico di quanto il titolo originale lasci intendere, perché la pornografia a cui allude non è altro che l’incrostazione nell’inconscio di dimensioni erotiche difficili da rimuovere ma che è necessario saper vedere ed elaborare; un lavoro fatto in due è un reciproco atto d’amore che può avvicinare molto una coppia. I protagonisti del film infatti saranno avvicinati da questa esperienza molto intima, ma la paura di provare sentimenti, provocata da una cultura che ha teso a separare l’amore dal sesso, finirà per prevalere.
-“Nell’intimità” (Intimacy), regia Patrick Chereu con Mark Rylance e Kerry Fox, Francia 2000.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(Dal sesso all’amore basato su reciproci bisogni ed infelicità)
Una storia eroticamente cruda ed esplicita (al limite del pornografico) ed esistenzialmente disperata raccontata da personaggi di cui il film inquadra solo i corpi nell’atto sessuale consumato ogni mercoledì nello squallido appartamento di lui.
Da questa trama essenziale appena traspare la probabilità di un reciproco passato infelice alle spalle.
Anche qui, come in Una relazione privata, l’iniziativa è della donna. Ambedue vogliono fare solo sesso senza parlare e senza sapere niente l’uno dell’altra. Anche in questo film i coinvolgimenti emotivi che affiorano sono temuti ed evitati.
Un racconto sulla separazione tra sesso ed amore e sulla mancanza di intimità che caratterizza i rapporti con il partner, con gli altri, con il mondo e, a volte, persino con se stessi.
Il sesso diventa così uno strumento per provare solo piacere fisico, ma che in realtà spesso diventa intimità d’anima e prelude ad una rinascita, una riscoperta di sè e dell’altro e quindi all’amore.
Anche in questo film come in Una relazione privata la storia finisce perché ambedue non riescono a parlarsi: perché forse l’incomunicabilità è il prezzo che l’uomo e la donna moderna pagano per adattarsi alla struttura di un mondo in continuo cambiamento.
-“Il corpo dell’anima”, regia Salvatore Piscitelli, con Roberto Herlitzka e Raffaella Ponzo,
Italia 1999.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(dal sesso all’amore e sulla capacità di lasciarsi con gratitudine)
Dal sesso all’amore in una relazione matura. Un anziano e colto scrittore scopre il sesso grazie ad una cameriera ignorante e disinibita; nonostante la diversa estrazione i due protagonisti riescono ad entrare almeno per un certo tempo in un contatto profondo d’amore.
Il film racconta come, abbandonati tutti gli schemi e le aspettative, sia possibile riuscire ad entrare in contatto con l’anima dell’altro, a vedersi solo come persone. Racconta inoltre come, quando l’attrazione finisce, sia possibile lasciarsi con gratitudine per quello che si è riusciti a darsi reciprocamente.
-“Nove settimane e ½” (Another Nine and a Half Weeks), regia Adrian Lyne, con Kim Basinger
e Mickey Rourke, drammatico, Usa 1986.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
Il film racconta come le fantasie maschili di uno yuppie si tramutino in ossessioni erotiche; il desiderio di possesso e di violenza che esse incarnano portano poco alla volta ad alzare il tiro del gioco al quale una seducente gallerista inizialmente non si oppone.
Se la messa a nudo per comprendere e gestire le pulsioni più recondite non è sostenuta dall’amore, prestarsi può essere solo pericoloso ed umiliante.
-“Lucia y el sexo”, regia Julio Medem, con Paz Vega, Tristàn Ulloa, drammatico/romantico,
Francia/Spagna 2001.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
Una complicata storia d’amore, di morte, ma anche di resurrezione. Attorno a Lucia, una cameriera, e al suo fidanzato, uno scrittore, ruotano altri personaggi che incontrano per varie coincidenze del destino. Alla fine, su un’isola, verranno messe a fuoco le dinamiche e i lati oscuri che avevano messo insieme le varie coppie.
Anche in questo film come già in Tutto su mia madre, Together e Le fate ignoranti si mette in evidenza come
una capacità di amare nuova e matura possa far sentire tutti i personaggi, legati da un comune filo d’amore, non rivali gli uni agli altri, ma immersi e partecipi di un unico flusso dentro il quale l’unicità dei rapporti viene anche in questo film tacitamente messa in discussione, così come anche il significato del sesso.
Il motore della storia, infatti, è essenzialmente il sesso, ma qui (contrariamente a Intimacy e Una relazione privata) il sesso è unito all’amore.
Anche in questo film come in Intimacy particolari anatomici, e non più solo femminili, e orgasmi vengono messi in scena senza malizia né falsi pudori, ma abbinandoli in tutta la loro naturalezza all’amore ed alla dolcezza. Il sesso viene così raccontato in modo esplicito, ma senza malizia e finalmente elevato dal luogo limitante della pornografia in cui il cinema finora l’aveva relegato.
Una storia surreale che è un inno alla vita ed al sesso, vissuti in modo spontaneo e naturale.
Il sesso è solo una delle dimensioni dell’essere umano e oggi, contrariamente al passato, viene riconosciuto come il punto di partenza, non più di arrivo, di una relazione che si fortificherà in seguito.
Il film fornisce, come già altri hanno fatto, uno spiraglio sul futuro dell’amore, del sesso e delle nuove relazioni, con una storia che, anche se diversa, scorre parallela a quella del libro di Paolo Coelho Undici minuti, uscito, non a caso, nello stesso anno. Ambedue utili messaggi soprattutto per i giovani, ma non solo.
-“Kinsey”, con Liam Neeson, Laura Linney, regia di Bill Condon, storico, USA-Germ. 2004.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sull’emancipazione sessuale e le sue confusioni)
Il film racconta la vita privata e professionale del biologo USA Alfred Kinsey che nel 48 con le sue pubblicazioni sul sesso degli uomini e delle donne diede il via alla rivoluzione sessuale, con tutte le sue difficoltà e contraddizioni, teorizzando la separazione tra sesso ed amore.
Un’ utile testimonianza sul periodo dell’avvio della rivoluzione sessuale e, con essa, di tutti gli equivoci ancora in atto.
A tutt’oggi una vera rivoluzione sessuale non è stata ancora compiuta e in materia di sesso si è ancora tutti analfabeti.
-“Bella di giorno” (Belle de jour), con Catherine Deneuve, Jean Sorel, Michel Piccoli, regia di
Luis Buñuel , drammatico, Fr.-It. 1967.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulle perversioni femminili nascoste e il percorso per comprenderle e trascenderle)
Il film racconta le difficoltà sessuali femminili e le nascoste perversioni di una moglie di un medico, che di nascosto si prostituisce. L’obiettivo però è quello di tentare di comprenderle, anche se tutto avviene tra senso di colpa ed ansia di espiazione masochistica.
Il tema della doppia personalità, della realtà e del sogno, del sesso e della negazione del sesso, già presente nelle storie di altri film (Eyes wide shut) sembra però in questo film non trovare spiegazione.
-“Belle Toujours” con Michel Piccoli, regia di Manoel de Olivera, drammatico, Spagna 2006.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sugli inganni dell’amore, sulla solitudine e sulle scelte che ogni persona è chiamata a compiere)
Il film rappresenta l’epilogo di Bella di giorno, ma qui la donna, rimasta vedova, si è liberata del suo inconscio masochistico, l’ha compreso e, quindi, trasceso. Avendone compreso forse l’origine, rifiuta il tentativo dell’amico rincontrato di stare nuovamente al gioco del potere maschile e della sottomissione/umiliazione.
L’ inquadratura della statua di Giovanna d’Arco all’inizio e di un gallo solo e spaesato alla fine, sembrano dichiarare la volontà del regista di fare di questo film il manifesto della recente emancipazione della donna dai giochi di potere maschili.
-“Le particelle elementari” (Elementarteilchen), regia Oskar Roehler. con Moritz Bleibtreu,
Christian Ulmen, drammatico, Germania 2006.
(CRITICA**, PUBBLICO ***)
(sul binomio amore e sesso e sul fallimento della liberazione sessuale auspicata dal movimento hippy)
Due fratellastri che si erano conosciuti da ragazzi hanno in comune solo la madre hippy che li ha fatti allevare dai rispettivi nonni paterni; hanno caratteri completamente diversi, ma non essendo stati amati, una stessa inclinazione alla infelicità.
Quando si rincontrano da grandi uno è diventato un importante ricercatore di genetica ed è sessuofobo e rifugge da ogni contatto fisico, l’altro è insegnante ed è invece erotomane, malato di sesso.
Mentre il primo si lascerà andare all’amore con una vecchia compagna di scuola, il secondo avrà una intensa relazione sessuale con una donna new age, ma il sesso per tutti e due, in modo diverso, diventerà un problema, per i problemi fisici in cui incorreranno le due donne.
Il film descrive l’attuale generazione e riflette sulla sessualità nei nostri giorni e sulla liberazione sessuale auspicata dai loro genitori hippies. In realtà tale liberazione non è avvenuta perché la sessualità, separata dall’amore, è divenuta per la maggior parte delle persone un condizionamento negativo più che una fonte di piacere. Il film non trae conclusioni, pone solo un importante interrogativo e invita a riflettere.
6) Ripartire da sè
-“La finestra di fronte” regia Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Massimo Girotti,
Raoul Bova, drammatico, Italia 2002.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(la crisi come occasione di crescita personale)
Una storia che racconta il malessere della protagonista che, come accade a molte altre donne, crolla sotto il peso del lavoro e della gestione famigliare rimpiangendo i tempi dei sentimenti e delle passioni.
Avvia così una analisi di se stessa che la porterà a un nuovo equilibrio che avrà effetti positivi anche sulla sua relazione.
Il film dimostra come le crisi, quando diventano occasione di analisi anche su di sè e non si limitano alla colpevolizzazione ed al vittimismo, possano essere momenti di crescita personale e delle relazioni.
-“Pane e tulipani”, regia Silvio Soldini, con Licia Maglietta, Bruno Ganz, commedia, It.-Svizz.
2000
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sui sentimenti personali)
Un’ altra donna logorata dalla gestione famigliare e priva di riconoscimento. In questo caso la protagonista coglie l’occasione di essere stata dimenticata all’autogrill per evadere. Lascia infatti la famiglia e se ne va a Venezia dove proverà una vita e una nuova relazione che sarà l’occasione per rinascere a vita nuova anche tornando in famiglia.
Un film che evidenzia la necessità, soprattutto per le madri di famiglia, di non annullare totalmente la propria identità di lasciarsi degli spazi di autonomia; per essere brave madri e mogli non è necessario il martirio, ma l’equilibrio e una identità forte al di là del ruolo che si ricopre.
7) Riemergere dalle ferite
-“Alice non abita più qui” (Alice Doesn’t Live Here Anymore), regia Martin Scorsese, con
Hellen Burstyn e Alfred Lutter, drammatico sentimentale, Usa 1975.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(un ritratto di donna coraggiosa)
È la storia di una donna che, rimasta vedova con un figlio dodicenne parte per un viaggio on the road per tornare al suo paese di origine; nel viaggio si mantiene tornando a fare la cantante, la professione che già faceva prima di sposarsi.
Dopo varie disavventure troverà ancora l’amore.
Il film narra della forza e creatività del “sesso debole” e della possibilità di rinascere anche dopo il lutto.
-“Stregata dalla luna”, regia Norman Jewison, con Cher,Nicolas Cage, commedia, Usa 1987.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulla paura d’amare ancora, dopo una ferita)
Anche questa è la storia di una giovane vedova italo-americana che vive nel quartiere Little Italy di New York, dove la cultura della famiglia meridionale sembra resistere a tutto e che, dopo varie indecisioni, troverà ancora l’amore.
Film sulla paura d’amare e sulla possibilità di rinascere dalle ferite in seconde nozze.
-“Soffio”, regia Kim Ki-duk, con Chang Chen, Park Ji-a, (drammatico, Corea del Sud 2007.
(CRITICA *** , PUBBLICO *** )
È la storia di una coppia in crisi, e del tradimento e ribellione della protagonista che vede il suo desiderio di donare amore frustrato da un marito superficiale e maschilista. Decide così di donarlo a un condannato a morte che vive nel rimorso di aver ucciso moglie e figlio. Il film termina con un vissero felici e contenti più maturo perchè costruito sulle precedenti sofferenze e incomprensioni e su una nuova possibilità di incontro tra uomo e donna.
Il film apre uno spiraglio sul futuro delle relazioni facendo comprendere che, se prima il matrimonio (simboleggiato da una camicia che vola dal balcone) alla prima crisi lo si buttava via, oggi forse, un’acquisita maturità permette di recuperarlo.
Un film che parla attraverso i silenzi.
8) Sull’anima e sull’amore dopo la vita
-“21 grammi” (21 Grams), regia Alejandro Gonzalez Inarritu, con Sean Penn, Benicio Del
Toro, drammatico, USA 2003.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sull’anima, sul destino e il libero arbitrio)
Un miscuglio di amore, vendetta e redenzione unisce tre personaggi legati da un tragico incidente. 21 grammi è il peso che si perde quando si muore, forse è il peso dell’anima?
Un film che, nel racconto di una storia di agonia e rinascita, pone un interrogativo sulla dimensione spirituale, domandandosi quanto della nostra vita è già scritta (le coincidenze forse non sono solo coincidenze) e quanto è lasciato a noi decidere.
-“Al di là dei sogni” (What Dreams May Come), regia Vincent Ward, con Robin Williams,
Cuba Gooding Jr, fantastico, USA 1998.
(CRITICA **½, PUBBLICO ****½)
(sulle anime gemelle e sull’amore oltre la vita)
Alcuni anni dopo l’incidente in cui ha perso i figli e dopo il suicidio della moglie, che non ha saputo consolare, un medico muore e in un fantastico al di là comincia la ricerca della moglie. Lei gli parla attraverso i suoi quadri, le due anime sono così gemelle che si sentono ed alla fine si rincontreranno.
Un film che affronta in modo fantastico il tema delle anime realmente gemelle e dell’amore dopo la vita.
9) Le nuove coppie: insieme liberi
-“L’amore è eterno finchè dura”, regia Carlo Verdone, con Carlo Verdone e Giulia Morante,
Commedia, Italia 2004.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(le nuove relazioni basate sulla reciproca autonomia)
Cacciato di casa più per un tentativo di evasione che per un tradimento vero e proprio, il marito, ospite di una coppia di amici, vagabonda qua e là per tentare di costruire inutilmente un nuovo rapporto, mentre la moglie subito si riaccasa.
Solo alla fine riuscirà a stabilire una relazione seria con la ragazza dell’amico.
Il film evidenzia come le crisi e le tensioni che pensiamo private sono di fatto ormai luoghi comuni, così comuni da diventare comici. Suggerisce così di prendere tutto con più leggerezza. Un fallimento può essere l’occasione per darsi spazio e saper rimettersi in gioco, per provare nuove emozioni. Suggerisce inoltre che nelle nuove relazioni, basate sulla reciproca autonomia psichica ed economica, lo spazio diventa un fattore determinante e bisogna saper sentirsi insieme senza essere sempre necessariamente vicini e vivere sotto lo stesso tetto. Bisogna sentirsi né troppo vicini, né troppo lontani. Lo spazio domestico diventa così la materializzazione del nuovo bisogno di autonomia, meglio vivere in due case separate con le cose un po’ qua e un po’ là, che asfissiarsi reciprocamente e cambiare partner per non sopportazione della coabitazione.
10) Per una nuova cultura dell'amore (contro l'amore romantico)
Lei, un personaggio dolcissimo - lo si capisce poco per volta - ha una sola motivazione nella sua vita ormai distrutta: quella dell’amore per suo figlio. A tutti costi deve farselo riaffidare dai servizi sociali che glielo hanno tolto e per questo ha la necessità di sposare qualcuno, non ha importanza chi sarà quello che risponderà al suo annuncio matrimoniale.Lui invece, un semplice pescatore, vuole una moglie perché a una certa età si usa così, una persona con la quale condividere la vita.
Non sono molti i film che raccontano una storia d’amore fuori dagli schemi dell’amore romantico; questo è uno dei pochi utile per sviluppare una controcultura dell’amore.Non è infatti la storia di una grande passione, ma di un incontro che nasce dall’esigenza di una reciproca necessità di avere una persona da sposare.Tolte tutte le sovrastrutture dell’amore romantico e della passione carnale, rimane solo l’incontro profondo tra due anime semplici e disperate.
Lei è abituata a rapportarsi con gli uomini solo con il sesso, è solo quello che loro in genere vogliono da lei. Appena uscita dal carcere per un delitto, probabilmente non commesso, a cui il film appena accenna, “compra” persino un giocattolo per il compleanno di suo figlio concedendosi a un venditore ambulante. E’ una persona distrutta, non ha piu’ dignità, vive solo per riavere suo figlio; con un Ego a pezzi non ci sono le basi per una grande passione, che invece dell’Ego si alimenta.Lui è un uomo semplice, ma un uomo vero, un uomo temprato dalla dura vita in mare. Per lui il sesso viene dopo, prima viene l’intesa, che sa essere indispensabile per condividere una vita insieme.Le passioni sono frutto dell’Ego e pertanto caduche, mentre l’amore vero è oltre, molto oltre le emozioni, esso è equilibrio, profondità, accettazione senza condizioni, è duraturo ed è il risultato di uno spessore interiore e di una maturità personali acquisiti non senza prezzo, come nel caso dei due personaggi del film.Un film che fa pensare quindi a come i matrimoni combinati di una volta o forse anche quelli odierni combinati da agenzie matrimoniali, quando basati sul rispetto e sulla reciproca accettazione possano essere forse più duraturi di quelli che scaturiscono dalle illusioni dell’amore romantico, dalle errate aspettative che impediscono, di fatto, quasi sempre di vedersi e di accettarsi per quello che si è.Uno splendido esempio di "amore senza essere innamorati"(R.Barthes "Frammenti di un discorso amoroso)
11) Empatia: al di là delle parole, l’eros dell’anima
-“Lost in translation. L’amore tradotto”, (Lost in Translation), regia Sofia Coppola, con Bill
Murray, Scarlett Johansson, sentimentale, USA 2003.
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(esistono mondi differenti che richiedono il silenzio per dirsi)
Un divo della tv americana sul viale del tramonto si incontra in un albergo a Tokyo, dove è andato per girare lo spot di un whisky, con una ragazza carina, trascurata dal marito fotografo di moda e delusa del suo rapporto perchè il marito sembra preferire a lei il lavoro. Lui soffre di insonnia, lei è sempre sola, iniziano così a farsi compagnia girando per la città e senza conoscere la lingua. Parlano poco, ma tra i due accade qualcosa, un’intesa a livello dell’anima.
Il film non racconta una storia, ma uno stato d’animo che le parole non riescono a dire; si perde sempre qualcosa dell’intensità vissuta quando si cerca di tradurla in parole. Lo straniamento di chi si trova in un Paese di cui non conosce la lingua è metafora dell’umana solitudine; ma proprio perchè si è tutti soli si è simili e ciò può provocare una profonda empatia e far nascere un sentimento anche tra persone assai diverse per età. L’Eros dell’anima è più forte dell’Eros del corpo e può creare un’intimità assai più profonda di quella che si può raggiungere attraverso un rapporto sessuale; quando due anime si riconoscono non esistono limiti né di età, né di linguaggi e la comunicazione avviene al di là delle parole.
11) Siamo tutti in rete
-”Babel”, regia Alejandro Gonzalez Inarritu, con Brad Pitt, Cate Blanchett, drammatico, USA
2006.
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulla rete della vita, la solitudine ed il dolore umano e le difficoltà di comunicazione)
Il film racconta una catena di eventi e coincidenze che legano le vite di alcuni personaggi in diverse parti del mondo.
Il dolore umano, che nasce da relazioni e famiglie che non funzionano, è come un’onda che si propaga e coinvolge tutti.
La consapevolezza di essere tutti in rete e l’empatia per la sofferenza altrui è l’unico modo per uscire dalla solitudine e per non sentirsi più stranieri.