“Holy Motors” è il racconto di ventiquattro ore nella vita di Monsieur Oscar (Denis Lavant), un cinico banchiere che gira per Parigi a bordo della sua limousine, accompagnato solo dalla segretaria-autista Céline (Edith Scob), attraverso i dieci appuntamenti di lavoro della giornata. Ma il lavoro di Oscar si rivela essere quello di vivere dieci vite differenti; il protagonista viaggia da una vita all’altra, cambiando in continuazione identità, vivendo di continuo vite in prestito, esistenze che non gli appartengono: un’industriale, un assassino, un mendicante, un padre di famiglia, ora uomo, ora donna, giovane o vecchio.
“Holy Motors” è un film del regista francese Leos Carax sulla finzione e sulla recitazione, che diventa un mezzo per vivere e rivivere diverse esistenze, finché questa finzione non comincia a confondersi con la realtà, o più semplicemente finché la realtà non scompare del tutto e restano solo situazioni artificiali e personaggi fittizi, copie di copie che si incontrano in ruoli diversi sulla stessa scena.
“Holy Motors” è un film sul cinema e sull’amore per il cinema, una corsa rocambolesca che attraverso le tante interpretazioni del protagonista ci accompagna in una decina di generi cinematografici differenti: fantascientifico, sentimentale, noir, musical (la scena di canto con la bellissima Kilye Minogue, ma anche il piano sequenza con le fisarmoniche) e comico-grottesco (la lunga scena con Monsieur Merde, forse uno dei momenti più alti dell’interpretazione di Levant, di una fisicità impressionante). La pellicola è un omaggio a un certo cinema del passato, ma è anche incredibilmente moderno e fuori dagli schemi classici. “Holy Motors”, grazie ad una struttura episodica e al suo incredibile protagonista è anche genuinamente divertente, un film che fa sorridere e appaga lo sguardo con soluzioni visive audacissime. E poi c’è Denis Levant, volto bestiale e mimica esplosiva, capace di passare in un solo film attraverso un ventaglio ampissimo di ruoli diversi, una maschera malinconica nascosta sotto tante maschere diverse.
Il lungometraggio di Carax è un film unico, l’opera di un artista che può permettersi di giocare liberamente con il mezzo cinematografico, di sconvolgerlo e strapazzarlo a piacimento, sconvolgendo e strapazzando anche lo spettatore, per scuoterlo dal torpore di un cinema tutto uguale. Verso la fine del film il regista ha inserito nella colonna sonora una canzone del cantautore francese Gerard Manset che getta una luce malinconica su tutta la pellicola. Si intitola “Revivre” e recita: “Noi vorremmo ri-vivere, che significa vivere ancora la stessa cosa, il tempo del riposo non è ancora venuto”. Si tratta della vita di mr. Oscar e di quella di tutti noi: è la condizione umana, nel suo incessante, meccanico perpetuarsi sempre uguale. Come dei motori, appunto, dei “motori sacri”.
di Alessandro Burgio